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L’illusione del gusto – Ae 73

I processi industriali uccidono i sapori, quindi c’è bisogno degli aromi: ne esistono per ogni alimento, dai biscotti ai salumi alle bevande. 2.700 quelli autorizzati in Europa. C’è persino l’aroma “panettone” e quello “fumo”, per i cibi affumicati. Naturali, natural-identici…

Tratto da Altreconomia 73 — Giugno 2006

I processi industriali uccidono i sapori, quindi c’è bisogno degli aromi: ne esistono per ogni alimento, dai biscotti ai salumi alle bevande. 2.700 quelli autorizzati in Europa. C’è persino l’aroma “panettone” e quello “fumo”, per i cibi affumicati. Naturali, natural-identici e artificiali: l’etichetta non aiuta. E il rischio è di non saper più distinguere e apprezzare ciò che è naturale davvero

Quasi uno spot al contrario: chiudete gli occhi e assaggiate il vostro yogurt preferito. Cremoso. Vellutato. Frutta in pezzi. Gusto: fragola. E invece no. Piuttosto, un sapiente mix di molecole sintetizzate in laboratorio: propylene glycol, acqua purificata, glacial acetic acid, ethylacetate, 2 methyl butyric acid, 2-methyl 2-pentenoic acid, hexyl acetate, ethylbutyrate, ethylcaproate, ethyl 2-methyl butyrate, cis 3 hexenol, maltol, furaneol, hedione, methyl cinnamate, beta ionone, dimethyl sulphide, gamma decalactone, gamma dodecalactone.

Più che un sapore, un’illusione costruita in provetta. Un aroma: ecco la parola chiave. Non solo per lo yogurt, dove la frutta vera, quando va bene, raggiunge il 9 per cento. Troppo poca per insaporire il prodotto.

Gli aromi stanno nella stragrande maggioranza di cibi e bevande che consumiamo abitualmente, ogni giorno. Basta leggere qualche etichetta per rendersene conto. Alla rinfusa: biscotti (farina, lievito, zucchero, margarina, sale, aromi), speck (suino, sale, aromi, spezie), bibite (acqua, zucchero, aromi eccetera). Un mercato mondiale da quasi 14 miliardi di euro, controllato da dieci multinazionali che detengono il 65 per cento della torta.

Gli aromi vengono utilizzati in qualsiasi settore -dolci e prodotti da forno, bevande alcoliche e non, gelati, snack salati, prodotti farmaceutici- e sono praticamente infiniti: aromi fruttati, verdure, carni (usati in alcuni prosciutti cotti, per esempio, per ottenere un sapore più deciso). Esistono addirittura l’aroma “panettone” (a volte utilizzato con l’aroma “burro”) e l’aroma “fumo” per i cibi affumicati. La multinazionale Master Taste, tra i suoi prodotti vanta anche una “Italian collection”: pesto, porcini, gorgonzola, mozzarella, salame, pancetta, mortadella…

“Al giorno d’oggi vogliamo prodotti buoni, di massa, che durino a lungo, disponibili in qualsiasi momento dell’anno. E che costino poco”, commenta Laura Tirelli di L’Italiana Aromi, tra le principali aziende nazionali nel settore. Insomma, sostengono gli addetti ai lavori, è il tipo di produzione

-industriale- che non può fare a meno degli aromi: i cibi vengono sottoposti a trattamenti “violenti” (come la pastorizzazione, per esempio), che ne modificano o ne uccidono il sapore,

e hanno una vita mediamente lunga, durante la quale devono mantenere un sapore inalterato e costante, per quanto possibile. Infine, devono avere un prezzo competitivo, obiettivo che l’uso di aromi (specie se non naturali, ma di sintesi) aiuta a raggiungere. Ma non bisogna dimenticare la competizione tra le aziende alimentari, impegnate in una gara continua alla ricerca di nuovi prodotti (e di nuovi sapori) nel tentativo di sbaragliare la concorrenza: gomme da masticare “ice”, yogurt con frutta e verdura o patatine al gusto “grigliata”.

Conferma Fernando Tateo, ordinario di Chimica e tecnologia degli aromi all’Università degli studi di Milano: “Rendere più appetibile un alimento attraverso l’addizione di ingredienti aromatizzanti -dice- significa allargare la base di interesse per il consumo di quell’alimento”.

Lo stabilimento dell’Italiana Aromi è a Carate Brianza, a una trentina di chilometri da Milano: un edificio color sabbia con infissi neri in alluminio e, tutt’intorno, aiuole con pini e querce. Qui ogni anno si producono 1.500 tonnellate di aromi, liquidi o in polvere. 18 mila metri quadrati dedicati a progettare, sviluppare e stoccare sapori e odori commissionati dall’industria alimentare. Qui nascono quelli che la legge italiana definisce “aromi naturali” (estratti, essenze oppure olii ricavati da fiori, frutta, erbe) e “aromi natural-identici” (molecole prodotte in laboratorio ma uguali a quelle presenti in natura). Quasi per nulla utilizzati invece -in Italia- gli “aromi artificiali”, perché la normativa in proposito è piuttosto restrittiva.

Al primo piano dell’Italiana Aromi, nei laboratori con sofisticate strumentazioni elettroniche, con file di boccette di vetro marrone per proteggere il contenuto dalla luce, con provette e addetti silenziosi in camice bianco, nascono le “ricette” messe a punto dall’aromatiere, o flavorist, e tenute gelosamente segrete alla maggior parte dei dipendenti.

I tecnici del settore sviluppo e applicazione realizzano in loco dolci, caramelle, gelati e bevande su cui testano i diversi aromi, assaggiano i prodotti e correggono le note sbagliate.

In questo periodo il lavoro all’Italiana Aromi è piuttosto intenso: specializzata in bevande, nel periodo primavera-estate ha uno dei picchi di produzione, e i laboratori sono pieni di recipienti colmi di infuso di tè. Dopo il controllo qualità, gli aromi vengono immagazzinati al pianterreno, in contenitori cilindrici di acciaio, e riempiono l’aria di un profumo dolciastro. “I natural-identici -spiega Laura Tirelli- sono più versatili dei naturali, ed è possibile ottenere aromi con un maggior numero di note e toni differenti”. Un generico aroma “pesca”, per dire, può essere declinato in pesca matura, gialla, pesca noce… Per questo viene cercata la giusta combinazione di molecole, che possono essere esteri, alcoli, aldeidi, acidi, chetoni, in soluzione di acqua o alcol etilico.

Per i profani, sostanze dai nomi astrusi, ciascuna con caratteristiche peculiari che, sommate a quelle di altre molecole, danno l’aroma desiderato.

Il 2-methyl thiofuroate, per esempio, ha note di cioccolato bianco e prodotti caseari ed è indicato per aromi di fragola, latte fresco o formaggi (in particolare francesi); oppure il 4-methyl-5-vinyl thiazole, per la realizzazione di aromi di arachide, cioccolato, tacchino, pollo, bacon.

L’industria degli aromi è molto attenta a come viene presentato il settore: teme che le persone, se a conoscenza della composizione degli aromi, inizino a non fidarsi più di quello che mangiano.

L’americana Master Taste, con sede anche in Italia, ha preferito non incontrarci neppure, mentre il direttore tecnico di uno dei due più grandi produttori di aromi e fragranze al mondo (una multinazionale con 61 impianti in 31 Paesi) ci ha ricevuti con molta cortesia, spiegandoci le diverse fasi produttive e il lavoro del flavorist.

Poi ha letto questo articolo quando stava per andare in stampa e ha chiesto che il suo nome non comparisse: “Non mi è piaciuto -ha detto- come ha trattato la nostra chiacchierata”. Il tono dell’articolo, in sostanza, metterebbe in cattiva luce aromi e operatori del settore.

Peccato, perché nella “chiacchierata” il direttore tenico ci ha raccontato cose interessanti. Per esempio che “l’aroma, a volte, è talmente particolare da costituire la ‘firma’ di un prodotto”.

Così l’aroma panna di un cono gelato, o l’aroma nocciola di una crema spalmabile, diventano riconoscibili quanto un marchio. Il consumatore, inconsapevole, è l’obiettivo finale di questa guerra del gusto: “A volte i clienti ci fanno richieste molto precise: per esempio un aroma fragola che abbia però una nota fresca ma non un gusto caramelloso. Oppure ci portano semplicemente il prodotto

di un concorrente e ci chiedono di realizzarne uno analogo”.

Sulla scrivania, il direttore tecnico (nonché flavorist) aveva diverse boccette di vetro scuro. In una di queste ha intinto la touche, una strisciolina di carta assorbente, passandomela: profumo dolcissimo e intenso, tipo caramella al lampone. “È l’aroma di un frutto rosso -ha detto- e verrà utilizzato per uno yogurt”. Chi mangerà quello yogurt, sull’etichetta troverà la generica dicitura “aromi” (prevista dalla legge italiana per i natural-identici o per le miscele tra natural-identici, naturali, artificiali), senza sapere che la ricetta dell’aroma lampone non contiene necessariamente sostanze presenti davvero nel frutto, quanto piuttosto molecole che mescolate tra loro suggeriscono ai nostri recettori olfattivi e del gusto un sapore che ricorda quello del vero lampone.

O quello che, sempre più, assoceremo a esso. Così come lo sciroppo per dolci “al gusto di cioccolato” non sa davvero di cacao, la caramella al limone non sa di limone, e così via. “L’aroma però dev’essere visto come un aiuto, non come qualcosa che fa male”. Gli aromi sono controllati e autorizzati dalla autorità sanitarie, è vero: “Secondo la normativa vigente -il professor Tateo- gli aromi si classificano come ‘ingredienti’ e non come additivi”.

Un altro pianeta rispetto a coloranti, conservanti e così via. Differente il parere di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che nel suo ultimo libro Buono, pulito e giusto (vedi Ae n. 71) all’argomento dedica diverse pagine: “Oggi gli studi sugli effetti degli aromi e degli altri prodotti chimici hanno cominciato a rischiarare quello che pareva un cielo buio e impenetrabile; ingerire questi prodotti, in modo continuativo per tutta la vita, ci sottopone a un’altra forma di inquinamento i cui effetti rimangono ancora non del tutto chiariti”.

Ma, secondo Petrini, c’è un’altra cosa su cui vale la pena riflettere: “Questi composti rischiano di assuefare il senso del gusto -avverte-; alzano la soglia di percezione dei nostri sensi facendoci sembrare i prodotti naturali poveri dal punto di vista organolettico e omologano i sapori privandoci della gioia di assaggiare la diversità naturale, varia, ricca e molto gratificante per il palato”.

In etichetta

L’etichetta è reticente. La normativa che regola la produzione di aromi e fragranze in Italia è una legge del 1992 (in recepimento di una direttiva europea), e prevede tre tipologie di aromi: naturali, natural-identici e artificiali. Al consumatore, però, viene raccontato ben poco: la maggior parte dei prodotti in commercio, in etichetta riporta la generica dicitura “aromi”, senza ulteriori dettagli. Nella maggior parte dei casi il termine indica l’uso di aromi natural-identici, o miscele tra le tre diverse tipologie (compresi gli aromi artificiali). Unica certezza è che in quel prodotto gli aromi non sono totalmente naturali o totalmente artificiali, altrimenti dovrebbe essere specificato. Gli aromi autorizzati dall’Unione europea sono 2.700, ma quelli esistenti superano i 10 mila. Le aziende che li producono sono industrie chimiche, e infatti l’associazione di categoria è in Federchimica, che nel settore “aromi e fragranze” conta una quarantina di aziende per circa 800 addetti.

Testa a testa

Il controllo del gusto è un testa a testa tra due colossi: la svizzera Givaudan e l’americana International Flavors & Fragrances (Iff) che, da sole, si accaparrano un quarto del settore a livello mondiale (Europa, Stati Uniti/Canada e Asia/Pacifico i mercati principali. Nel grafico qui sopra le altre imprese principali).

La sfida è serrata sull’innovazione, sul tentativo di interpretare i gusti dei consumatori e di prevedere le tendenze future. Così, Givaudan (5.900 dipendenti) ha filoni wellness (per chi vuole stare in forma: con aromi, per esempio, per zuppe o hamburger vegetariani), ethnic (sempre più diffusa la cucina etnica: aromi “modern mango”, “cool chili” o “curry spice”), indulgence (per chi ama il “nuovo lusso” e piatti elaborati).

Iff (5.300 dipendenti) lo scorso anno ha ultimato uno studio sui consumatori cinesi, per adeguarvi il proprio business. È nato così il rapporto “Five Faces of China” (i cinque volti della Cina), che suddivide in altrettante aree il Paese asiatico: “La ricerca -dicono all’Iff- descrive le condizioni di vita, le convinzioni e lo status economico dei cinque ‘volti’. Ma soprattutto mette a fuoco le tipologie di beni di consumo che ogni gruppo acquista o che aspira ad acquistare e i fattori chiave che li portano a selezionare questi prodotti”.

Dal 2001 Iff è presente nella nuova terra di conquista cinese con una sede a Shangai.

Al cinema una discreta dose di umorismo

“Design alimentare”: così Erich Schlosser sintetizza la funzione degli aromi.

A questo tema il giornalista statunitense ha dedicato una parte del suo bestseller Fast food nation (Marco Tropea Editore, 382 pagine, 8,80 euro), un libro inchiesta che oggi è diventato anche un film (
www.hanwayfilms.com).

Dice Schlosser: “Oggi gli aromi artificiali e naturali sono prodotti dai medesimi stabilimenti chimici (…). Definire uno qualsiasi di questi aromi ‘naturale’ richiede una certa flessibilità nei confronti

del significato delle parole e una discreta dose di senso dell’umorismo”.

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