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Diritti / Opinioni

Liliana Segre, una luce a palazzo

La senatrice a vita, prigioniera ad Auschwitz, è intervenuta in aula durante l’insediamento del governo per annunciare la sua opposizione a eventuali “leggi speciali contro i nomadi”

Tratto da Altreconomia 206 — Luglio/Agosto 2018
La Senatrice Liliana Segre a Palazzo Madama

Nel mondo politico italiano di questi tempi non figurano grandi oratori e mancano anche visioni politiche di un qualche respiro. Una riprova è venuta dal modesto dibattito parlamentare seguito al discorso di insediamento, al Senato, del nuovo presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Scontati gli interventi dei senatori della maggioranza, fiacchi quelli dei senatori d’opposizione. È stato invece dirompente per efficacia, credibilità e importanza dei temi trattati -il razzismo, l’indifferenza, la perdita di memoria storica- il breve discorso di Liliana Segre, arrivata a Palazzo Madama nel gennaio scorso, alla bella età di 87 anni, come senatrice a vita, nominata dal presidente Sergio Mattarella.

La senatrice si è presentata ricordando d’essere fra le poche persone viventi a portare tatuato sul braccio il numero di matricola di prigioniera nel lager di Auschwitz e ha concentrato il suo intervento sopra un punto molto trascurato del contratto di governo firmato da Lega e Movimento 5 Stelle, il paragrafo intitolato “Campi nomadi”, da intendere naturalmente come campi rom. In un italiano incerto e sgrammaticato i due partiti di governo sostengono che “il dilagare dei campi nomadi, l’aumento esponenziale di reati commessi dai loro abitanti e le pessime condizioni igienico-sanitarie a cui sono sottoposti, ha reso tale fenomeno un grave problema sociale con manifestazioni esasperate soprattutto nelle periferie urbane coinvolte”. 

Il contratto prevede di chiudere tutti i campi “irregolari in attuazione delle direttive comunitarie”, il “contrasto ai roghi tossici” e “l’obbligo di frequenza scolastica dei minori”. In apparenza non c’è niente di sconvolgente, ma i titoli a prima vista innocui non riescono a nascondere la sostanza dei provvedimenti annunciati, frutto di pluriennali campagne mediatiche antizigane.

Il superamento dei campi di cui parlano le direttive europee non prevede ruspe bensì la ricollocazione delle persone in normali abitazioni e quindi implica l’investimento di risorse che il nuovo governo non immagina affatto di impegnare. I roghi tossici andranno certamente impediti ma il contratto Salvini-Di Maio spaventa quando considera il diritto-dovere di frequenza scolastica una minaccia più che un’opportunità, visto che prevede in caso di mancato rispetto (peraltro assai diffuso in tutto il Paese)  “l’allontanamento dalla famiglia o la perdita della potestà genitoriale”, come se il governo Conte dovesse impegnarsi per ottenere dalla magistratura (come?) sanzioni così radicali e drammatiche a carico di famiglie già costrette ad affrontare difficili condizioni di vita materiale e morale. “Prima i diritti umani”, verrebbe da dire, parafrasando e ribaltando lo slogan preferito dalle destre nazionaliste.

75190. Il numero tatuato sull’avambraccio di Liliana Segre nel lager di Auschwtiz, dove la senatrice (classe 1930) fu reclusa il 6 febbraio 1944. Trasferita poi nel lager di Malchow, fu liberata il 1° maggio 1945.

Liliana Segre ha colto pienamente il punto: “In quei campi di sterminio -ha detto- altre minoranze oltre agli ebrei vennero annientate: voglio ricordare i rom e i sinti che inizialmente suscitarono la nostra invidia di prigioniere perché le loro famiglie erano lasciate unite. Presto però seguì l’orrore perché una notte furono portati tutti al gas. (Per questo) mi rifiuto di pensare che la civiltà democratica possa essere sporcata da leggi speciali contro i nomadi, se dovesse accadere mi opporrò con tutte le energie che mi restano”. È stato il più politico e il più illuminante degli interventi.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri
“Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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