Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Attualità

“Perché una vita senza plastica è più felice”. Intervista a Chantal Plamondon e Jay Sinha

I due attivisti canadesi hanno aperto 14 anni fa il portale “Life without plastic”, che poi è diventato un libro, ora tradotto in Italia. Sono impegnati nel diffondere le buone pratiche che, collettivamente oltre che come singoli, possiamo praticare per ridurre il nostro impatto ambientale. E far conoscere lo stretto legame tra la produzione di plastica e il riscaldamento globale

Greenpeace in azione al summit G7 ad Ottawa, nel giugno 2018. @David Kawai per Greenpeace

Convinti dell’importanza di fare rete tra i tanti attivisti e studiosi che si stanno occupando del tema della plastica e del suo impatto sul Pianeta, abbiamo incontrato a Ferrara, durante il festival di Internazionale, i canadesi Chantal Plamondon e Jay Sinha, promotori da 14 anni del progetto Life Without Plastic (LWP) -che il prossimo novembre arriverà anche in Europa- e autori nel 2017 dell’omonimo libro, tradotto in italiano dalla casa editrice Sonda (“Vivere felici senza plastica”, 2019). Li abbiamo intervistati.

Chantal, Jay, quali sono le ultime news canadesi in tema di plastica?
LWP 
La notizia principale, dello scorso giugno, è che il Governo di Justin Trudeau ha annunciato la volontà di bandire dal 2021 le plastiche monouso “dannose”, con un provvedimento simile a quello europeo (la direttiva sulle plastiche monouso dello scorso maggio, ndr). Oltre al bando dei sacchetti di plastica, le cannucce, le posate, i piatti e i bastoncini in plastica usa-e-getta, il governo prevede di collaborare con i territori per introdurre nuove per le aziende che fabbricano prodotti in plastica, al fine di accrescere il loro senso di responsabilità. È un provvedimento molto incoraggiante, ma il 21 ottobre ci aspettano le elezioni federali e se il governo che l’ha annunciato non sarà rieletto temiamo che non possa avere futuro, poiché il tema della riduzione della plastica non è attualmente nell’agenda dei conservatori.
D’altra parte, si sta diffondendo un movimento globale sull’economia circolare, che sta richiamando l’attenzione sull’Extended Producer Responsibility (la responsabilità estesa del produttore, EPR, ndr) e propone di ripensare il design stesso degli oggetti in plastica e il packaging in particolare. È un tema importante perché sottolinea la necessità di avere una maggiore attenzione a un riciclo efficace della plastica, che secondo noi non è la principale soluzione -siamo per la riduzione a monte dei rifiuti, prima di tutto-, ma resta comunque una parte della soluzione. Attualmente, meno del 10% della plastica utilizzata in Canada viene riciclata, è proprio il Governo a dirlo.

Come funziona il sistema di riciclaggio in Canada? 
LWP Non molto bene. Non è prevista una divisione dei rifiuti a monte; mettiamo tutti i rifiuti in un unico grande cestino. Solo a livello industriale i rifiuti sono divisi con delle macchine, ma questo processo produce una bassa qualità nel riciclo. Ogni anno i canadesi buttano via oltre 3 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica; circa un terzo viene da prodotti e imballaggi monouso o con una vita molto breve. Di questi, solo poche tipologia di plastica possono essere riciclate efficacemente: il PET (Polietilene tereftalato), il Polietilene ad alta densità (PEHD) e il Polipropilene (PP). Altri tipi sono troppo contaminate con pezzi di carta e altri materiali, e non si riescono a riciclare. Il risultato è che, ora che la Cina non importa più i nostri rifiuti plastici, una grande quantità di questi rifiuti finisce in discarica. Da un lato quindi dobbiamo continuare a sensibilizzare le persone sul tema del riciclo, ma dall’altro serve un investimento in ricerca e tecnologia per aumentare la raccolta differenziata e riuscire a trasformare la plastica in qualcosa di buono.

La narrazione “anti-plastica” oggi è costruita attorno agli oceani. Come possiamo spostare l’attenzione anche sugli altri ecosistemi?
LWP Quando abbiamo iniziato questo percorso, la nostra attenzione non era tanto sull’inquinamento da plastiche, ma sull’impatto dell’inquinamento sulla salute umana e sugli animali. La transizione della nostra attenzione dagli oceani all’ambiente nella sua globalità dovrebbe ripartire da qui. Presto le microplastiche e le nanoplastiche occuperanno un posto sempre più grande tra i temi dell’agenda globale. Sono ovunque: nel mare, nell’aria, nell’acqua, nell’acqua in bottiglia, nel miele, nella birra. E non possiamo vederle. La plastica negli oceani è quello che vediamo con i nostri occhi ed è un grave problema, ma è solo la punta dell’iceberg. Le conseguenze delle microplastiche sulla salute umana sono sempre più evidenti. Gli studi sono chiari: lo scorso giugno l’università di Victoria, in Canada, ha pubblicato uno studio sulla dieta americana che stima che il consumo annuale di microplastiche varia da 39mila a 52mila particelle, a seconda dell’età e del sesso. Stime che salgono a 74mila e 121mila se si considera anche l’inalazione. E chi beve solo acqua in bottiglia può arrivare a ingerire altre 90mila microplastiche. Ora, la domanda è: quali sono gli effetti sulla nostra salute? La plastica assorbe ed espelle sostanze chimiche e tossiche, come pesticidi o metalli pesanti; inoltre contiene sostanze chimiche che agiscono da interferenti endocrini. Vedremo nei prossimi anni gli effetti sulla salute dei bambini, delle donne in gravidanza e degli adolescenti.

Festival di Internazionale 2019, Ferrara. Chantal Plamondon (al centro) e Jay Sinha, autori di “Life without plastic” con Chiara Spadaro, autrice insieme a Elisa Nicoli di “Plastica addio” (Altreconomia, 2019)

Vi definite “attivisti”. In che modo siete in contatto con i movimenti canadesi e globali?
LWP Mi ritengo un’attivista nel mio lavoro quotidiano, proponendo con Life Without Plastic delle alternative concrete e delle soluzioni, aiutando le persone a cambiare in modo sostenibile le proprie abitudini. In questi 14 anni di attività, inoltre, abbiamo sostenuto numerose associazioni e organizzazioni dal basso che sensibilizzano la popolazione e creano consapevolezza su questi temi. E noi stessi, grazie al libro, stiamo tenendo numerose conferenze e incontri nei quali trasmettere questi messaggi.
Abbiamo creato connessioni con la Plastic Pollution Coalition, basata a Berkeley in California, e con il 5 Gyre Institute di Los Angeles, un’organizzazione senza scopo di lucro che ha uno status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.

In che modo possiamo partire dalla plastica per far crescere una sensibilità sul Pianeta che abitiamo nella sua complessità?
LWP 
Rendendo evidenti le connessioni tra la plastica e il riscaldamento globale, che per alcuni sono già chiare, ma è sempre bene ricordarne almeno due. La prima è che la plastica è prodotta da fonti fossili come il petrolio, il gas naturale e il carbone, che a loro volta emanano gas a effetto serra. La seconda è che anche la plastica rilascia gas serra, in particolare metano ed etilene, e il Polipropile (PP), la plastica più diffusa, è quella che ne rilascia in concentrazioni più alte. Partire dalla plastica è utile perché è un ambito nel quale ciascuno di noi può fare la sua parte. Ed è un tema nel quale oggi i giovani sono i veri protagonisti: con un effetto esponenziale di coinvolgimento degli adulti in un cambiamento possibile.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.