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Altre Economie

Lezione sul cibo

“Il gusto a scuola” è frutto di un protocollo d’intesa tra ministero dell’Istruzione e Federalimentare. Un progetto che sembra dar spazio a bibite e junk food in classe

Tratto da Altreconomia 143 — Novembre 2012

“Le bibite analcoliche possono contribuire a soddisfare il fabbisogno quotidiano di liquidi. Un consumo moderato di bibite analcoliche può rappresentare un elemento importante nell’ambito di un regime alimentare bilanciato”. Questo è quanto si legge nel portale “Il gusto fa scuola”, l’iniziativa che Federalimentare, la Federazione che rappresenta le associazioni dell’industria alimentare aderenti a Confindustria, ha realizzato in collaborazione con il ministero dell’Istruzione (Miur)  per promuovere l’educazione alimentare nelle scuole. È frutto di un protocollo firmato lo scorso 25 luglio, con cui il Miur si è impegnato “a realizzare strumenti formativi di tipo innovativo rivolti a studenti e docenti per favorire la trasmissione di informazioni e lo scambio di competenze e conoscenze anche attraverso il portale web condiviso www.ilgustofascuola.it”. Il sito è articolato in 3 sezioni, dedicate a insegnanti, famiglie e ragazzi, da cui si viene spesso reindirizzati ai siti di associazioni di categoria come l’Aidepi (che riunisce le industrie del dolce e della pasta italiane, tra le altre Barilla, Ferrero, Galbusera, Saiwa, Unilever). In una delle risposte alle “domande frequenti” sul sito c’è scritto che che “fenomeni quali il ‘km0’, i ‘farmer’s market’ (ovvero gli acquisti dal produttore) e i gruppi di acquisto solidale (Gas) tanto di moda in questo momento, non rappresentano la soluzione a tutti i mali” e “non sono d’altronde esenti da negatività. Guardando all’equilibrio nutrizionale, ad esempio, non è affatto scontato che il ‘km0’ o i ‘farmer’s market’ garantiscano al consumatore una varietà e una disponibilità di prodotti di qualità, in ogni periodo dell’anno, che gli permettano di effettuare scelte consapevoli in linea con corretti stili di dieta alimentare”. Per tutti questi motivi a settembre 2012  il Gruppo 2003 (www.gruppo2003.org) un’associazione che riunisce scienziati italiani altamente citati nella letteratura internazionale, pubblica un appello affinché il ministro Francesco Profumo chiarisca i motivi che lo hanno spinto a firmare questo protocollo. Nell’appello, firmato tra gli altri da Andrea Vania, presidente dell’European Childhood Obesity Group, si legge che “questa iniziativa poggia sul conflitto di interesse di cui Federalimentare è portatrice e l’analisi dei contenuti evidenzia un deficit di trasparenza, per cui è indispensabile una riflessione da parte di quanti hanno a cuore la salute dei bambini e una educazione pubblica non sottomessa a interessi commerciali”. Il progetto nell’anno scolastico 2012-2013 coinvolgerà oltre 77mila classi delle scuole medie italiane, per un totale di circa 1 milione e 600.000 studenti e oltre 148.000 insegnanti, parte da lontano. Da una fase pilota che nell’anno scolastico 2009-2010 ha visto 15 scuole primarie di Milano, Roma e Catania protagoniste di un percorso di educazione alimentare curato da Federalimentare, fino a un primo protocollo -siglato il 22 aprile 2011- che sanciva la condivisione del programma nazionale “Scuola e cibo”. Con un investimento complessivo di 400mila euro Federalimentare ha finanziato un primo ciclo di corsi per 900 docenti nel gennaio 2012 (e un secondo partirà a gennaio 2013 coinvolgendone altrettanti), ha creato il sito www.ilgustofascuola.it e altri strumenti digitali, e ha sovvenzionato la V edizione di “Apertamente”, la manifestazione in cui le industrie alimentari ogni anno aprono le proprie porte al pubblico. Miur e Federalimentare hanno deciso di intitolare questa edizione, che dal 17 al 26 novembre vedrà la partecipazione di circa 130 classi di tutta Italia, “Il gusto fa scuola”. Tra gli obblighi comuni di Miur e Federalimentare, si legge nel protocollo di luglio, c’è quello di “sviluppare ricerche e progetti comuni relativi all’educazione alimentare nell’ottica dell’innovazione tecnologica e alla ricerca scientifica, anche nell’ambito delle iniziative previste a livello europeo, nazionale e regionale e della Piattaforma tecnologica ‘Food For Life’ e successivo Cluster tecnologico nazionale ‘Agrifood’”. La piattaforma Food For Life, come ci spiega Nina Holland, ricercatrice e attivista del Corporate European Observatory, “è un’organizzazione informale messa a punto dalla Commissione europea e guidata dalle imprese; serve ad aumentare la competitività delle multinazionali del cibo, più che a fare ricerca verso un’alimentazione più sostenibile”. Il “cluster” ovvero il distretto, viene formato dalla piattaforma “per trovare soluzioni tecnologiche alle sfide sociali dell’Europa”. Per “Agrifood”, Federalimentare è riuscita a trovare 24 milioni di euro grazie alle imprese alimentari, più della metà dei 47,5 milioni totali che saranno versati dai 77 soggetti del distretto (tra imprese, distretti tecnologici, Università ed enti di ricerca, parchi scientifici e tecnologici) per la realizzazione di 4 progetti di ricerca e quattro di formazione incentrati su: nutrizione e salute, sicurezza alimentare, produzione, sostenibilità. I firmatari del protocollo del luglio scorso sarebbero, inoltre, convinti che “l’unica via per combattere il sovrappeso e l’obesità […] risieda nell’educazione alimentare, abbinata ad un’adeguata attività fisica”. E infatti il problema dell’“eccesso ponderale” (obesità e sovrappeso) è quello su cui più insistono gli esperti. Secondo il rapporto “Okkio alla Salute” dell’Istituto superiore di sanità (2010), che ha “analizzato” 42.155 alunni della terza classe primaria, il 22,9% dei bambini misurati è risultato essere in sovrappeso e l’11,1% addirittura obeso. Una ricerca curata da Steven Gortmarker dell’Università di Harvard e pubblicata sulla rivista “Lancet” nell’agosto 2011, individua come principali soluzioni per far fronte a questo problema l’introduzione di tasse sul junk food, l’obbligo per i produttori di usare etichette a semaforo, la riduzione della pubblicità del cibo spazzatura, e il ruolo della scuola nel ridurre il consumo di bevande zuccherate. Tre diversi studi pubblicati sul “New England Journal of Medicine” l’11 ottobre 2012 affermano che le bibite zuccherate sono indissolubilmente legate all’eccesso ponderale. Lo scorso aprile il ministro della Salute Renato Balduzzi aveva accennato alla possibilità di introdurre anche in Italia una tassa di scopo su alcuni alimenti ricchi di grassi e su alcune bevande: 50 centesimi al litro per gli alcolici e 2,5 centesimi a lattina per le bibite gassate. “L’idea di tassare le bibite gassate, principale causa dell’obesità infantile -ci dice il professor Franco Berrino, direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano- è ottima, ma non 2 o 3 centesimi a lattina, bensì il 20, 30 o 40 per cento del prezzo, così da rendere la tassa un vero deterrente.”. Criticato anche dai ministri Corrado Passera (Sviluppo economico) e Mario Catania (Politiche agricole), Balduzzi ha fatto marcia indietro. E la tassa proposta resta lettera morta. —

Baby, food, business
Sono solo 23 gli ospedali italiani (di cui 5 in fase di rivalutazione) che possono vantare la qualifica di “amico dei bambini”, riconosciuta dall’Unicef alle strutture ospedaliere che “non accettano campioni gratuiti o a basso costo di sostituti del latte materno, biberon e tettarelle, e pratica i dieci passi a sostegno dell’allattamento di successo”. 
Il dm 82/2009 vieta la fornitura gratuita di latte artificiale, ogni tipo di promozione commerciale attraverso il sistema sanitario e di lasciare spazi appositi per le prescrizioni di latte artificiale nelle lettere di dimissione.
Intanto, esce il nuovo dossier di Ibfan Italia, l’International Baby Food  Action Network, www.ibfanitalia.org. Si chiama “Occhio al Codice! Alimentazione complementare e cibi industriali per bambini” e analizza come le industrie del “baby food”abbiano scalzato i sani cibi familiari nell’introduzione degli alimenti complementari al latte, facendo passare l’idea che i bambini abbiano necessità di cibi “speciali” e che i prodotti industriali siano adatti allo scopo, sicuri e salutari, quando invece non è assolutamente così (basta leggere le etichette!). —

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