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L’Expo e i Rom di Baranzate

Nel campo Rom di Baranzate vivono circa 350 persone, la maggior parte proprietarie del terreno, acquistato circa 25 anni fa. Un anno fa iniziano le procedure di esproprio per i cantieri della manifestazione internazionale. Lo sgombero potrebbere essere avviato già il 15 febbraio

L’Expo 2015 si avvicina e i lavori proseguono a ritmo frenetico. Uscendo dalla Fiera di Rho e proseguendo verso Baranzate, oltre al carcere di Bollate adesso ci sono anche i cantieri a imporsi alla vista degli automobilisti. A pochi chilometri dalla Fiera c’è una via lunga, piena di buche e pozze di acqua e fango, circondata da un mosaico di muretti e reti di cinta su cui si adagiano lamiere e vegetazione. È l’ingresso del campo Rom di Baranzate, dove vivono circa 350 persone, la maggior parte proprietarie del terreno, acquistato circa 25 anni fa. Un agglomerato di casette costruite abusivamente, ma semplici e ordinate, dentro le quali vivono famiglie con bambini e anziani. Un luogo lontano dalla città, dove la vita scorreva con le sue dinamiche quotidiane fino a prima che l’Expo 2015 portasse tensione.

Il 21 dicembre 2011, infatti, sul sito della Regione Lombardia, sul Corriere della Sera e su Il Giorno viene pubblicato un avviso di esproprio dei terreni dell’area in cui verranno eseguiti i lavori di realizzazione di una bretella che collegherà Molino Dorino all’A8 (l’autostrada “dei Laghi”). Un’infrastruttura che passerà esattamente sopra il terreno agricolo che ospita il campo.

Nove mesi dopo, il 13 e 14 settembre 2012, alcuni rappresentanti di Infrastrutture Lombarde S.p.a., società incaricata dalla Regione, si presentano al campo accompagnati da polizia e vigili urbani: scattano foto, visitano ogni abitazione e fanno firmare dei moduli di “presa in possesso” dei terreni, per un valore di appena sette euro al metro quadro.

Il 12 dicembre, ai proprietari dei terreni, non a tutti (per via di un errore di indirizzo: come destinazione è indicata Milano e non Baranzate), vengono inviate le raccomandate con le quali si avvisa che il 15 febbraio il terreno dovrà essere liberato, pena lo sgombero coatto con l’ausilio della forza pubblica.
Una domenica, Viviana, una volontaria che da 2 anni, in assoluto silenzio, si spende per dare una mano a queste persone, che la considerano “una di famiglia”, decide di accompagnarmi al campo. Passiamo casa per casa, riceviamo la cortese accoglienza di Vlad, Giuliano e tanti altri, che vivono con enorme ansia l’approssimarsi del 15 febbraio. La loro preoccupazione è per i figli, che vanno a scuola, studiano e per i quali l’espulsione dal campo sarebbe una tragica frattura con quella che, in tanti, chiamano “integrazione”. “Ho due figli che vanno a scuola – afferma Vlad – e sono nati in Italia, anche se so che per la legge questo non conta. Quando mia figlia scrive in italiano mi emoziono e mi sento orgoglioso. Perché per loro voglio un futuro diverso, migliore. Se ci buttano per strada come faremo?”. “Quando sono venuti quelli di Infrastrutture Lombarde – prosegue Vlad – io non ero in casa, hanno fatto firmare mia moglie che è analfabeta e ha siglato con una X. Poi ho scoperto che si trattava della cessione del terreno, tra l’altro ad un prezzo bassissimo”.

A casa di Milan arrivo mentre stanno cenando. Per senso di ospitalità sbarazzano rapidamente e mi fanno sedere al loro tavolo, offrendomi subito dell’acqua e il pane che la moglie ha appena sfornato. Ha lo sguardo sveglio ed è pronto ad arrivare fino alla Corte Europea di Strasburgo per far valere i propri diritti: “Da qui, senza un’alternativa non me ne vado. Siamo pacifici e disposti a trattare, ma devono darci una soluzione che eviti che la mia famiglia finisca in mezzo alla strada”.

Anche la comunità Rom e Sinti si è mobilitata promuovendo incontri con gli assessori del Comune di Milano (che ha la competenza sulla zona), Majorino e soprattutto Granelli, per cercare una soluzione che impedisca a ben 350 persone, tra cui una settantina di bambini, più donne e anziani (c’è anche un uomo malato e in dialisi), di finire per strada, senza un tetto e senza alcuna tutela. Gli abitanti del campo hanno anche nominato dei legali, al fine di difendere i propri diritti ed opporsi alle procedure attuate da Infrastrutture Lombarde.

Il Comune, dal canto suo, ha fissato per il 23 gennaio un incontro con i rappresentanti della comunità, per proporre delle soluzioni. L’assessore Granelli, attraverso il suo ufficio stampa, afferma: “Ci stiamo già occupando della vicenda, stiamo facendo valutazioni e studiando proposte che formuleremo nel corso dell’incontro del 23 gennaio con i diretti interessati. Preferiamo parlarne direttamente con loro, senza anticipare nulla alla stampa”.

Pressoché identica la posizione del sindaco Pisapia. Il suo portavoce, Marco Dragoni, ci dice: “A fine mese ci sarà una riunione tra il Comune e i soggetti coinvolti nella vicenda e in quella sede sarà stabilito cosa fare. Questo è il metodo migliore per affrontare i problemi. Fino ad allora l’Amministrazione non ritiene di dover fare dichiarazioni che possano anticipare eventuali decisioni che saranno valutate nell’incontro già fissato”.

Nessuno vuole sbilanciarsi, ma intanto nel cuore di tutte le persone incontrate al campo risiede la stessa angoscia. Il primo pensiero è per la famiglia, per i figli e per la scuola. Bambini come gli altri, educati e dolci, ospitali e con gli occhi curiosi a seguire le parole che scambio con i loro padri e le loro madri. C’è un’enorme senso della dignità nelle parole che ascolto e c’è anche il rispetto per  le forze dell’ordine che “fanno il proprio lavoro”. C’è la speranza riposta in Pisapia (“è stato avvocato di molti Rom”, sussurra un uomo) e nell’assessore Granelli. Non ci sono parole violente, né atteggiamenti aggressivi. Questa gente vuole solo continuare a vivere e a far crescere i propri figli, sperando che siano più forti e preparati degli stereotipi insopportabili, dell’emarginazione e dell’indifferenza che viene a loro riservata.

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