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L’evasione fiscale si può recuperare con attività ordinarie. E non con i condoni

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L’Agenzia delle entrate ha presentato a marzo i risultati del recupero dell’evasione nel 2022: 20,2 miliardi di euro, in aumento sia rispetto agli anni della pandemia sia dei precedenti. Mario Turla spiega il perché di questo risultato e mostra l’importanza dell’approccio al rischio e l’applicazione degli algoritmi dell’intelligenza artificiale

Il 9 marzo 2023 il direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini ha presentato i risultati del recupero dell’evasione riguardante l’anno 2022. Il totale recuperato è di circa 20 miliardi di euro, in aumento dopo gli anni della pandemia, ma in incremento anche rispetto al periodo precedente. Che cosa è successo e perché questo risultato? Dando uno sguardo alla composizione delle diverse voci con cui si compone il totale del recupero ne saltano subito all’occhio due, in aumento costante: l’attività di promozione della compliance e gli incassi da cartelle di pagamento “riscossioni”. Questo non fa altro che confermare che l’investimento sui controlli fa aumentare il recupero dell’evasione fiscale e cambia il comportamento delle persone che fino a quel momento si sono posizionate su un comportamento opportunistico. Spinti dal pensiero che tanto nessuno controlla. In passato si era già visto un diverso comportamento del contribuente “opportunista”, proprio quando anni fa veniva confermato come ministro dell’Economia Vincenzo Visco. L’anno successivo alla nomina il gettito fiscale era aumentato, proprio per il differente comportamento attuato sulla percezione dei controlli.

Vediamo ora come è composta l’evasione fiscale in Italia. La cifra -relativa all’anno 2019- è di circa 100 miliardi di euro e la parte più rilevante è in capo all’evasione dell’Irpef, con oltre 32 miliardi di euro (lavoratori autonomi e imprese), e dell’Iva, con circa 28 miliardi. Molto distanti tutte le altre voci: entrate contributive, Ires, Irap, Imu-Tasi.

Fonte: Agenzia delle entrate, 2023

Questo ci porta a dire che la maggioranza dell’evasione è di piccolo importo, parcellizzata e diffusa. Pertanto, se si vuole essere efficaci ed efficienti bisogna agire con sistemi di controllo automatici, sfruttando tutte le nuove tecnologie disponibili, compresa l’intelligenza artificiale.

Capiamo in che cosa consiste l’attività di compliance. Si tratta di quella funzione che ha il compito di controllo dell’attuazione corretta della normativa ma anche dei modelli organizzativi e degli strumenti utilizzati per attuare concretamente i controlli. Il tutto si basa sul concetto di rischio (in questo caso di evasione) e sulla sua gestione. Se, come abbiamo, visto la voce più importante riguarda l’Irpef degli autonomi e delle imprese, vorrà dire che in questo settore di contribuenti c’è il rischio più alto. Sono tanti, però, e quindi che cosa si può fare? La risposta è “molto”, e i risultati sono incoraggianti anche se la strada è lunga per arrivare a numeri simili alla media europea.

Fonte: Agenzia delle entrate, 2023

Con il termine “compliance”, come detto, si fa riferimento alla conformità rispetto a una normativa, uno standard o a delle best practice. In questo caso sono le attività promosse dalla compliance nell’individuare un gruppo di soggetti che abbiano un rischio di evasione fiscale, e inviare delle lettere evidenziando delle situazioni che si ritengono di potenziale non adempimento alla normativa. Ne sono state inviate circa 2,5 milioni e hanno dato il risultato riportato sopra. Altro dato interessante è la composizione del recuperato rispetto al periodo pre-pandemia. Si recupera dall’attività ordinaria e non da quella straordinaria. Questo è un fatto molto positivo perché conferma come il contrasto e il recupero si esercitino senza leggi straordinarie, ovvero condoni o rottamazione di cartelle.

Per fare questa attività è imprescindibile però l’utilizzo di soluzioni informatiche che consentano il trattamento dell’informazione in modalità automatica, inclusa oggi l’applicazione degli algoritmi dell’intelligenza artificiale. L’Agenzia delle entrate, tramite Sogei (l’azienda italiana che opera nel settore dell’Ict controllata al 100% dal ministero dell’Economia, ndr), ha la gestione dell’anagrafe tributaria e di molti altri dati, tra cui l’archivio dei rapporti presso gli intermediari finanziari, le fatture elettroniche, il saldo dei conti correnti, le dichiarazioni dei redditi etc..

Con questi dati si possono ottenere risultati importanti. Applicando cioè l’approccio al rischio e concentrandosi dove esiste una maggiore probabilità di evasione fiscale. E solo su questi soggetti applicare un controllo approfondito, utilizzando a questo punto controlli puntuali (deterministici). Da qui si producono le famose lettere che sono state inviate e che hanno generato i 3,2 miliardi sotto la voce “attività di promozione della compliance”. Gli algoritmi che si possono utilizzare per l’approccio al rischio sono di natura divere, ad albero (Norman forest), probabilistici (naiv base) o di reti neuronali. Tutti hanno dei punti di forza e di debolezza, sicuramente le reti neuronali hanno l’handicap che sono delle scatole nere e non si può spiegarne il funzionamento dettagliato. Pertanto, il Garante per la protezione dei dati personali ha posto dei limiti dell’utilizzo di tutti gli algoritmi, ritardandone l’applicazione.

Ma se i numeri della riscossione ci stanno dicendo che questa è la strada giusta, senza ricorrere a misure straordinarie, ci si domanda perché tanti ritardi e utilizzare questo approccio. E perché si parli ancora di misure straordinarie e non ci si concentri sui controlli. L’approccio al rischio avrebbe il risultato di diffondere la percezione che se uno sbaglia sarà scoperto e di conseguenza cambierà il suo comportamento incrementando le entrate. Perché non ci si concentra a implementarlo?

Mario Turla, laureato in Scienze dell’informazione e master in economia, è esperto di normativa antiriciclaggio e consulente per banche e pubbliche amministrazioni nell’applicazione della 231/2007. Ha collaborato -tra l’altro- alla definizione degli indicatori di anomalia antiriciclaggio nella Pubblica Amministrazione. Ha progettato soluzioni informatiche per individuare le transazioni sospette in ambito bancario ed è il fondatore di Txt risk solutions, start-up innovativa di gestione del rischio con AI. Insieme a David Gentili e Ilaria Ramoni ha scritto per Altreconomia “Il giro dei soldi. Storie di riciclaggio. Da Milano al Delaware: dove finiscono i capitali sporchi di evasori e criminali”

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