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Lettere dal Kazakistan, il grande gioco delle risorse


Scrivo da Atyrau, Kazakistan
. Insieme ad un gruppo di colleghi di altre Ong internazionali siamo arrivati due giorni fa per monitorare gli impatti ambientali e sociali sulla sponda Nord del Mar Caspio delle operazioni di un consorzio di multinazionali del petrolio guidate dall’Eni. Proprio qui, in uno degli ecosistemi più fragili del pianeta, l’Eni sta portando avanti lo sviluppo del più grande giacimento di petrolio ancora inesplorato al mondo, Kashagan.

I lavori di costruzione sono stati bloccati la settimana scorsa dal governo kazako, che accusa la compagnia italiana di gravi violazioni ambientali.

di Elena Gerebizza, Campagna per la riforma della Banca Mondiale (www.crbm.org)

.::Aggiornamenti::.

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8 settembre. Sabato da Aktau ci spostiamo con un piccolo … (leggi

Ieri abbiamo incontrato il direttore del dipartimento di ecologia dell’Istituto nazionale del petrolio e del gas, un anziano e stimato professore membro dell’Accademia delle Scienze. Uno dei pochi che in questo Paese, dove tutto dipende dagli umori del presidente, non ha mai esitato a dire che continuare nello sfruttamento del petrolio in questa zona porterà a una catastrofe ecologica senza precedenti. Seduti nel suo studio, anche noi siamo rimasti senza parole davanti ai cinque volumi ricchi di formule, analisi, proiezioni, dove il professor Diarov mette nero su bianco i pericoli a cui i solfati e le altre sostanze inquinanti contenute nel petrolio di questa zona espongono la popolazione di Atyrau -circa 220.000 abitanti- e l’intero continente europeo. 

Ogni tonnellata di petrolio estratto da Kashagan contiene circa 110 kg di zolfo, che giorno dopo giorno saranno stoccati sulla terraferma, a pochi chilometri da qui. Il pensiero di noi tutti è andato subito a Tengiz, giacimento a qualche centinaio di chilometri da Atyrau dove sono già stoccate 10 tonnellate di zolfo all’aria aperta, senza alcuna protezione. Una gigantesca piramide gialla che si vede dalle foto satellitari della zona. E abbiamo pensato al vento di Atyrau, un vento leggero ma costante, che non smette mai di soffiare e alzare sabbia e polvere nelle strade della città. Diarov continuava a raccontare, atono e impassibile, di come lo zolfo a contatto con l’umidità dell’aria, del vento, della pioggia, ed esposto alle temperature estreme di questa terra infelice, che vanno dai -40C in inverno ai quasi 50C d’estate, si modifica nella forma chimica, diventa acido solforico e ossido solfidrico, oppure polvere che in soli 2 giorni puo essere trasportata fino a 2000 km di distanza, fino in Europa. Con le centinaia di tonnellate di zolfo accumulate qui, il Caspio diventerà a breve una delle principali cause di piogge acide a livello globale. Nei prossimi vent’anni, ad essere in pericolo non saranno solamente la foca del Caspio o lo storione, ma ogni forma di vita, umana, animale o vegetale. Pochi giorni fa il governo kazako ha fermato i lavori. Ma cosa succeda a Kashagan non lo sa nessuno. L’accesso alla piattaforma è vietato. Il nostro aereo era pieno zeppo, e gli unici a non lavorare per una compagnia petrolifera eravamo noi.

6 settembre 2007.

Atyrau è la tipica città che sta vivendo un boom petrolifero. L’arrivo delle compagnie una decina di anni fa ha sconvolto la vita della popolazione locale e aumentato drasticamente il costo della vita. Basta camminare tra le bancarelle del mercato di Atyrau per rendersene conto. Mele a due euro al chilo, uva a un euro e cinquanta. Un taglio al piede, e scopro che i cerotti si vendono a pezzo e solo in farmacia. Ad Atyrau ci sono le sedi regionali di tutte le compagnie petrolifere attive nel nord del Caspio: Shell, Eni, Total, Exxon, e chi più ne ha più ne metta. Ci sono grattacieli e alberghi a cinque stelle. Eppure in questa città oltre 70mila persone vivono sotto la soglia della povertà, con poco più di 100 euro al mese. All’ufficio regionale della salute oggi ci hanno confermato che oltre il 60% della popolazione soffre di diverse forme di tubercolosi.

Colpa del petrolio e delle polveri presenti nell’aria e portate fino a qui da Tengiz. Si dice in giro che verso le 4 del mattino iniziano le emissioni più forti, e nel giro di qualche ora anche ad Atyrau si sente nell’aria uno strano odore. Sembra odore di cavolo, ci hanno detto. Un odore che chi è stato a Baku, la capitale dell’Azerbaigian sull’altra sponda del Caspio, riconosce subito. E’ il mercaptan, ci ha confermato la dottoressa che abbiamo incontrato. Gli abitanti dei villaggi attorno a Tengiz sono stati tutti rilocati. Ora si parla di rilocare anche una città intera, 60mila abitanti, a circa 30 km dall’impianto. Anche ad Atyrau si registrano livelli anomali di malattie del cuore, come ischemia, miocardia, infarto. Malattie del sangue, come leucemia e anemia. Malattie respiratorie, come bronchite e laringite cronica. Conseguenza delle emissioni di solfati e mercaptan, dicono gli specialisti dell’ ufficio sanitario regionale. E siamo a oltre 200 chilometri da Tengiz…. [pagebreak]

7 settembre.

Venerdì siamo partiti per Aktau, città di circa 300 mila abitanti, mille a Sud di Atyrau, sulla sponda Est del Caspio. Qui le compagnie del consorzio Agip KCO stanno creando le infrastrutture di supporto alla Isola D, la piattaforma offshore da cui sarà estratto il petrolio di Kashagan. Sempre da qui, buona parte del petrolio estratto da Kashagan verrà imbarcato su navi cisterna che lo trasporteranno a Baku, in Azerbaijan, e da lì attraverso l’oleodotto BTC in Turchia e poi in Europa e negli Stati Uniti d’America. La Banca europea per la Ricostruzione e lo sviluppo (Bers) è il principale finanziatore della base di supporto marina di Atash, vicina al porto di Bautino, a 200 km a nord di Aktau. Base che, secondo la Bers, non ha niente a che vedere con Kashagan. È un semplice porto. Le navi che servono Kashagan e che trasporteranno il petrolio a Baku vengono costruite a Sud di Aktau, vicino al villaggio di Quriq. Nel pomeriggio andiamo a visitare il posto. Subito ci raccontano che a trenta chilometri da li c’è una miniera di uranio e una discarica di residui nucleari. L’intera area di Aktau è altamente radioattiva. Ci avviciniamo all’impianto e scopriamo che Ersai, che esegue i lavori in subappalto, è formata da Eni e Saipem. Le guardie ci fermano, l’accesso è vietato. Chiediamo di parlare con uno dei responsabili. Niet. [pagebreak]

8 settembre.

Sabato da Aktau ci spostiamo con un piccolo furgoncino a noleggio. L’autista è anche la nostra guida. Lui è uno studente di ecologia che per la prima volta con noi ha modo di visitare gli impianti. Dopo quasi due ore di viaggio ci fermiamo per un caffè a Fort Chevchenko, città costruita dai russi negli anni sessanta, a qualche chilometro da Bautino. Tira un vento fortissimo, più di 80 km all’ora. Si alzano enormi nuvole di sabbia. Faranno almeno quaranta gradi. Non c’è praticamente nessuno in giro, ma al mercato vediamo un po’ di movimento. Ci fermiamo a parlare con alcune signore, e la conferma alle nostre preoccupazioni arriva immediata. Ci raccontano di emissioni strane durante la notte, verso le tre, quasi ogni giorno. Si sente un forte odore di bruciato, poi ammoniaca nell’aria, respirare diventa impossibile, bruciano gli occhi, fa male la gola. Da quando succede, bambini nascono  spesso con “undersculp pressure”, piangono sempre e hanno forti mal di testa. Sono aumentati i casi di cancro e anemia, ma andare dal dottore non serve. “Non abbiamo un buon medico, nemmeno le autorità ci aiutano. Qui se devi morire muori e basta, nessuno ti aiuterà”.

Chiediamo se sanno da dove arrivano le emissioni. Koshanai. Il posto non è segnato su nessuna cartina, ma seguendo le loro indicazioni e quelle di alcuni lavoratori che incontriamo lungo la pista di sabbia, a qualche chilometro da Fort Chevchenko iniziamo a sentire un forte odore di zolfo. Arriva come un’ondata, con il vento e la sabbia, la riconosciamo subito. In lontananza, tra nuvole di sabbia, vediamo l’impianto. Cerchiamo di capire cos’è, ma è difficile. Decidiamo di avvicinarci, ma veniamo bloccati e rimandati indietro dalle guardie. Mentre uno di noi parla, gli altri fanno a tempo a capire che qui vengono trattate le acque residue di Kashagan. Acque e fanghi che contengono solfati nella stessa percentuale del petrolio, che vengono bruciati ed emessi nell’aria. Ritorniamo lungo la costa e dopo poco arriviamo su un promontorio. Sotto di noi la città di Bautino e il villaggio di Atash. E le imponenti infrastrutture che le compagnie stanno costruendo.

Un continuo via vai di camion trasportano pietre dalla cava giù lungo la baia, riversate poi in mare per costruire i moli e le isole per la base marina. Scendiamo nella baia, l’acqua è azzurra, il paesaggio bellissimo. Fa caldo, e nonostante il forte vento pensiamo che sia strano non trovare nessuno al mare. Ci spostiamo in paese, e parlando con le persone scopriamo perché. Da quando sono iniziati i lavori di costruzione per allargare il porto e costruire la base marina, ci sono state diverse morie di pesci e foche. Proprio lì, vicino ai moli in costruzione. Nessuno mangia più il pesce da quando sono iniziati gli episodi di intossicazione dopo averlo mangiato. Ci raccontano che all’inizio i fanghi di Kashagan venivano depositati a Bautino.

In certe ore in paese non si riusciva a respirare. Un forte dolore alla gola e l’odore di uova marce, tipico dello zolfo, si diffondeva nel paese. L’estate e l’autunno scorso i bambini hanno iniziato a sanguinare dal naso e ad avere diffuse irritazioni della pelle. Sono stati accompagnati da un dottore, che li ha mandati all’ospedale di Aktau, dove nessuno si è voluto prender cura di loro. Più parliamo con le persone, uomini, donne, ragazzi, anziani, e più ci rendiamo conto che qui tutti sanno che i problemi del loro mare dipendono dalle attività delle compagnie. Sanno anche dei solfati, ma sono impotenti di fronte a interessi più grandi: “È vero che portano lavoro, e questo ci serve. Ma a loro di noi e dell’ambiente non importa nulla”, ci dicono.

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