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Lettera da Gerusalemme, dove la rivolta unisce i palestinesi

Gerusalemme © Altreconomia

Da Shekh Jarrah a Silwan, dalla Porta di Damasco alla Moschea al-Aqsa. “Il mondo osserva la nostra sofferenza senza far nulla”, scrive un attivista palestinese da Gerusalemme. La cronaca degli ultimi giorni

Di nuovo una rivolta che inizia a Gerusalemme, dopo anni di politiche di occupazione israeliana e di progetti per creare una nuova realtà di fatto sul terreno.
Accade dopo aver annunciato per anni il piano Trump, promosso come “l’accordo del secolo”, ovvero il sostegno illimitato degli Stati Uniti al governo israeliano, compresa la pressione e la punizione riservata all’UNESCO per aver documentato e riportato le violazioni israeliane del diritto internazionale a Gerusalemme.
E poi lo spostamento dell’ambasciata statunitense nella città e l’annuncio di diversi accordi di pace tra il governo israeliano e alcuni Paesi arabi, che creano un maggiore isolamento per il popolo palestinese e hanno fornito l’opportunità politica alle autorità di occupazione per continuare ad attuare il loro progetto di israelizzazione e pulizia etnica a Gerusalemme, compresa l’espulsione dei palestinesi dal centro della città, con lo sfratto di famiglie da Shaekh Jarrah, Silwan e altre zone.

La tensione di Gerusalemme è cresciuta in contemporanea anche nei territori occupati dal 1948, dove i giovani hanno iniziato a manifestare contro le violenze. A Umm Al-Fahem c’è stata una delle più grandi dimostrazioni a favore dell’identità nazionale e politica, con l’innalzamento della bandiera palestinese e diversi slogan. Il rinvio delle elezioni legislative palestinesi aumenta la frustrazione e il bisogno delle persone di stare unite.

Dentro questa frustrazione e ingiustizia, le forze di occupazione israeliane hanno cercato di impedire ai palestinesi di utilizzare lo spazio pubblico nella zona della Porta di Damasco, che è in pratica l’unico spazio pubblico per i palestinesi che vivono nella città vecchia di Gerusalemme. Per semplicità è anche l’ingresso principale. Abbiamo patito attacchi violenti, manganellate e granate stordenti da parte delle forze occupanti per impedire alle persone di stare sui gradini. Barriere di metallo sono state poste vicino alla Porta.

Grazie alle proteste ininterrotte presso il varco sono state rimosse le transenne: la violenza dei militari non ha fermato l’insistenza dei giovani che volevano accedere e far riaprire quello spazio. Era solo l’inizio. Tra le provocazioni dei coloni c’è anche lo spostamento dell’ufficio del membro della Knesset Itamar Ben-Gvir a Shaekh Jarrah, che è il luogo finito sotto l’attenzione dopo la Porta di Damasco. Otto famiglie stanno affrontando un rischio di sfratto dalle loro case, sono già state espulse durante la Nakba del 1948, e in questi giorni stanno aspettando la decisione della Corte suprema israeliana. La gente di Shaekh Jarrah ha chiesto solidarietà per sostenere la loro lotta e per resistere all’oppressione di Israele. Ogni giorno si è tenuta una manifestazione a Shaekh Jarrah, è stata anche attaccata dalle forze occupanti.

Il mondo osserva la nostra sofferenza senza far nulla, la risoluzione 194 delle Nazioni Unite sulla Palestina rimane inattuata dal 1948.
Per oltre 20 giorni i militari e i coloni israeliani hanno soppresso e attaccato i palestinesi a Gerusalemme, anche con incursioni e danni alle case, sparando gas lacrimogeni, granate, usando gli idranti e procedendo ad arresti arbitrari; anche paramedici e giornalisti sono rimasti feriti.
Ciò che è una vittoria per i palestinesi in questo caso non è tanto e solo rimuovere le barriere, manifestare, o rimandare lo sfratto delle famiglie dalle loro case a Shaekh Jarrah, il successo principale è sentirsi uniti come palestinesi indipendentemente dal luogo di vita, alla Porta di Damasco, a Shaekh Jarrah e nella Moschea al-Aqsa. I manifestanti sono venuti da diverse città e quartieri, i piccoli casi isolati sono diventati una cosa sola. I giovani hanno utilizzato gli strumenti dei social media senza alcuna limitazione per comunicare e mobilitare, scatenando forte solidarietà.

In questa situazione il governo di Israele ha chiuso la Route 433 e Abu Ghosh Road, e ha impedito agli autobus palestinesi provenienti dall’interno della Linea Verde di raggiungere la Moschea al-Aqsa. Ancora una volta i più giovani di Gerusalemme hanno agito direttamente e si sono spostati al checkpoint in segno di solidarietà. Ciò nonostante gli attacchi delle forze militari israeliane durante le preghiere nella moschea continuano. Si è raggiunto il limite alla celebrazione del cosiddetto “Jerusalem Day”, che è una festa israeliana che “celebra” l’occupazione illegale e l’annessione di Gerusalemme Est nel 1967. È una grande marcia di coloni che raggiungono la città vecchia alzando la bandiera israeliana, cercando di entrare nella moschea, costringendo i palestinesi ad abbandonare le strade, chiudendo tutti i loro negozi.

Gli ultimi giorni del Ramadan sono stati duri per i palestinesi di Gerusalemme. È stato lanciato un appello di solidarietà da parte dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania per far fronte alla brutalità delle forze militari e alla violazione dei diritti umani. Per agire insieme, come un popolo solo.

Daoud Ghoul è membro del Jerusalem Health Work Committees (HWC). Opera anche come guida turistica a Gerusalemme.

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