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Opinioni

L’esercizio della memoria

Le stragi nazifasciste compiute durante la Seconda guerra mondiale e la Shoah “hanno ancora qualcosa da dirci?”. La domanda non è retorica: chi non conosce e non capisce rischia di nuovo

Tratto da Altreconomia 183 — Giugno 2016

Il consiglio regionale della Toscana ha recentemente approvato una mozione che impegna la giunta a organizzare con cadenza biennale visite di studenti alla foiba di Basovizza, sul Carso triestino. La mozione è stata proposta da un consigliere di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, con l’esplicito intendo di “riequilibrare” le politiche della memoria, visto che la Regione dal 2005 organizza un Treno che porta gli studenti a visitare il campo di sterminio di Auschwitz. 

Il testo iniziale di Donzelli mirava a istituire un “Treno della memoria e del ricordo”, aggiungendo quindi la foiba (utilizzate come fosse comuni durante la Seconda guerra mondiale) al lager: un emendamento ha poi tenuto separate le due visite, ma il successo politico di Donzelli resta evidente. Per la prima volta una Regione, oltretutto considerata “rossa”, sposa una battaglia storica della destra, accettando anche l’obiettivo di creare “una memoria nazionale comune e condivisa”. Solo pochi anni fa, un voto del genere sarebbe stato impensabile, visto quanto è spericolato -e politicamente caratterizzato- l’accostamento Shoah-foibe e azzardata la pretesa di una “memoria condivisa” in un Paese segnato nel 900 da una dittatura e da una guerra civile. 

La mozione è stata approvata all’unanimità e non ha suscitato né scandalo né dibattito pubblico, a parte un approfondito intervento su Giap, il sito del collettivo Wu Ming, attento ai pericoli del revisionismo storico. Il caso toscano mostra quanto la memoria pubblica sia in evoluzione, ma l’assenza di dibattito non tranquillizza: c’è il rischio di una normalizzazione che disinnesca la memoria, invece di favorire la maturazione di una coscienza storica diffusa. In un libro uscito da poco, “A partire da Monte Sole” (Castelvecchi editore), dedicato all’eccidio compiuto sulle alture di Marzabotto nel 1944, l’autore Andrea Speranzoni si interroga sull’attualità delle memoria delle stragi nazifasciste. Quei fatti hanno ancora qualcosa da dirci? O sono episodi storici da conoscere in mezzo a tanti altri? La risposta di Speranzoni, già avvocato di parte civile nel processo celebrato fra 2006 e 2007, è tanto netta quanto impegnativa. L’eccidio di Monte Sole, spiega, fu uno sterminio premeditato, l’esito di un radicale “stato di eccezione”, nel quale era possibile, per i soldati tedeschi, “uccidere e distruggere senza pensare”. La de-umanizzazione delle vittime, la forza di una macchina militare legittimata ad agire senza vincolo alcuno, fecero di Monte Sole, “una delle oscure albe della modernità; la sua dolorosa luce non è tuttavia solo la memoria della conquista originaria della democrazia italiana, ma anche il monito del suo possibile svuotamento”. Speranzoni aggiunge che “essere partigiani oggi è combattere lo stato di eccezione”.

La memoria delle stragi è dunque materia viva, in larga parte da esplorare: sappiamo poco della psicologia dei carnefici e dei meccanismi che resero possibile tanta efferatezza; o ai conti non fatti in seno ai corpi militari e giudiziari, sia in Italia sia in Germania. Inquieta, sotto questo profilo, la rilettura delle stragi come frutto di uno “stato di eccezione”, perché questa formula sta accompagnando -e minacciando- il nostro presente e il nostro prossimo futuro. Avremmo quindi bisogno di conoscere e capire di più. L’impressione è però che non abbiamo messo a fuoco gli errori (e gli orrori) del passato e che certi aspetti della memoria collettiva siano poco graditi e a rischio d’essere silenziati.

Lorenzo Guadagnucci è un giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

 

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