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Diritti

L’esempio della polizia turca

La protesta popolare è stata affrontata da Istanbul a Smirne e Ankara con un uso spesso sproporzionato della forza. Una foto mostra un agente con il codice identificativo sul casco coperto da un nastro: un reato preventivo commesso per violare le regole di condotta e i diritti dei cittadini. In Italia la riconoscibilità degli agenti è un tabù, in Turchia no. C’è il rischio che della polizia turca prendiamo ad esempio i comportamenti peggiori

La foto in basso è stata scattata a Istanbul durante gli scontri in corso da giorni. Un agente della polizia è ripreso di spalle, nel momento in cui una folata di vento solleva un nastro che copriva il numero identificativo collocato sul casco.L’agente, evidentemente, si era premunito al momento di scendere in piazza: coprendo il codice, si sarà sentito più libero di agire, di colpire, di superare i limiti di condotta imposti dalla legge.

 

Naturalmente ha compiuto un reato: l’occultamento del codice identificativo, in tutti gli ordinamenti, è un fatto molto gave, sia sotto il profilo giudiziario sia – soprattutto – sotto il profilo etico-professionale. Un agente che compie un gesto del genere, in qualche modo annuncia la sua intenzione di violare i diritti dei cittadini con i quali si troverà a confronto.

Questo poliziotto turco è stato colto sul fatto da un fotografo ed è possibile che, complice il vento che ha sollevato la fettuccia e inquadrature migliori, venga identificato e denunciato. Quest’immagine ci colpisce, perché fa pensare all’arretratezza culturale e professionale delle nostre forze dell’ordine, che rifiutano anche di discutere l’opportunità di introdurre in Italia l’obbligo di indossare codici identificativi. Sono contrari tutti i sindacati di polizia, spalleggiati dai sindacati generali e dalle maggiori forze politiche, che non hanno mai avviato una discussione seria in merito, pur avendo la cronaca offerto innumerevoli dimostrazioni della necessità di una riforma del genere, da Genova G8 in poi. Ultima della serie, la ex ministra dell’Interno (ora alla Giustizia), Anna Maria Cancellieri, che prima ha socchiuso una porta davanti alle immagini di un ragazzino pestato senza motivo da un agente rimasto sconosciuto, salvo fare marcia indietro – senza alcuna spiegazione pubblica – dopo un incontro coi sindacati di polizia.

Fa impressione vedere che questa piccola riforma di civiltà è già stata realizzata in Turchia, dove la polizia sta attuando una violenta repressione dei movimenti di protesta. La presenza dei codici, si potrebbe dire, non impedisce un uso sproporzionato della forza, ed è vero, ma è facile rispondere che la documentazione degli abusi in Turchia può essere più accurata, agevolando il lavoro della magistratura. E soprattutto proprio il gesto dell’agente ritratto nella nostra fotografia, il suo goffo tentativo di occultamento del codice, dimostra che il timore d’essere identificati è un deterrente per gli agenti mal intenzionati e in generale un freno per gli eccessi preordinati nell’uso della forza.

In Italia purtroppo la cultura dei diritti civili è molto arretrata, non è pane quotidiano né per le forze politiche parlamentari, né per gli intellettuali e gli osservatori che hanno un’influenza sull’opinione pubblica. Perciò è probabile che le vicende turche siano prese come lezione, se non come esempio, per la parte peggiore, ossia per la "necessità", invocata dal premier Erdogan, di sedare con grande forza le proteste popolari. Dev’essere per questo che i governi europei e le maggiori forze politiche del continente non sembrano scandalizzati da quel che avviene fra Istanbul, Ankara e le altre città sotto gli occhi di milioni di persone.

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