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Altre Economie / Varie

L’esempio del Burkina Faso

Un gruppo di migranti burkinabè, in Italia da vent’anni, realizza nel Paese africano un Centro per lo sviluppo locale, il sogno di Thomas Sankara

Tratto da Altreconomia 166 — Dicembre 2014

Bergamo,19 ottobre 2014. Pochi giorni prima della grande sollevazione popolare che in Burkina Faso ha portato alle dimissioni, il 31 ottobre, il presidente quasi a vita Blaise Compaoré, nella città lombarda attivisti dei gruppi d’acquisto e della finanza solidale ascoltano un gruppo di burkinabè raccontare di un capo di Stato di trent’anni fa. Di un uomo, Thomas Sankara, che -prima di essere ucciso in un golpe nel 1987- guidò per 4 anni una rivoluzione che metteva al centro il contare sulle proprie forze, il cibo locale per tutti, la difesa della natura, il disarmo, l’ingiustizia del debito. Quei cittadini africani residenti a Bergamo fanno parte dell’Unione burkinabè del Grande Nord in Italia (Ubgni). In partenariato con l’Associazione per la promozione dei giovani rurali del Faso (Apjpf) e in collaborazione con “Fare comunità” di Marghera (VE) stanno finanziando da anni “un’idea migrante di cooperazione”, come recita il dépliant dell’Ubgni.

L’interscambio culturale è al centro dell’attività dell’associazione, tiene a sottolineare Ouedraogo Abdoudramane, in Italia dai primi anni ‘90 e fra i fondatori dell’Ubgni: “Insieme è più facile capire che la crisi economica del Nord, con tutti i danni ambientali e sociali che porta, e le sue radici nello sfruttamento delle risorse dell’Africa, devono essere un momento di ripensamento e cambiamento”. A Somiala, nel Grande Nord del Faso, grazie al denaro che arriva dall’Ubgni, uomini e donne del villaggio stanno ultimando la costruzione di un Centro per lo sviluppo endogeno, dedicato alla didattica e alla ricerca-azione in area rurale. Autoctono fin dalle tecniche: è realizzato in terra cruda e con i principi dell’architettura bioclimatica, tanto che dentro, sorride Ouedraogo, “quando fuori soffia il rovente Harmattan, si sta bene”. C’è stato circa un anno fa. Responsabile del progetto è Yacouba Sawadogo, che vive in Italia da dieci anni con la famiglia, lavora in un’azienda chimica e parla italiano con cadenza bergamasca: “Tutti noi dell’associazione Ubgni veniamo dal Grande Nord del Burkina. Al confine con il Mali e a ridosso del deserto”.

Lasciando quel Sahel piegato da decenni di siccità, quelli dell’Ubgni sono arrivati in Italia tempo fa: “Viviamo a Bergamo e dintorni, alcuni di noi da vent’anni o più. Nel 2005-2006, una cinquantina di burkinabè di Bergamo, soprattutto lavoratori del settore metalmeccanico, alcuni con famiglia qui, altri no, decisero che aiutare le proprie famiglie laggiù non bastava: c’erano nei villaggi persone più sofferenti. Pagammo così l’invio di un’ambulanza, vestiti e beni utili. Il progetto successivo ci ha messo alla prova: per realizzare un centro di sviluppo occorreva acquisire il terreno e poi pagare l’opera. A questo scopo, un certo numero di lavoratori a Bergamo e dintorni decise di auto-tassarsi: 500 euro a testa. Con la crisi, molti tra noi hanno perso il lavoro, sono stati costretti a partire…”. Yacouba spiega che alcuni migranti saheliani quando le fabbriche del Nord chiudono si mettono a fare i container, comprando merce da spedire in Africa, o vanno a lavorare in agricoltura, nel Sud Italia o in Piemonte”. E com’è andato avanti il progetto, nel Grande Nord? “Siamo riusciti ad acquistare tre ettari nel 2010, e ad avviare la costruzione”. Spiega il fondatore Ubgni: “Parallelamente all’edificio, abbiamo individuato come priorità la copertura arborea del terreno. La zona è arida. Gli alberi scelti sono la jatropha e il neem, che oltre a dare ombra hanno molteplici usi. Fra i sedici burkinabè d’Italia che sono rimasti nel progetto, c’è sete di vedere qualcosa di concreto, così mentre vengono rifiniti gli interni della costruzione stiamo avviando la sartoria, con l’invio di macchine da cucire. Donne anziane, intanto, insegneranno alle più giovani la tessitura tradizione, a partire dal nostro cotone”. Quel tessuto burkinabè chiamato faso dan fani, che per Sankara era un simbolo di indipendenza economica e lavoro degno. 

L’incontro, strada facendo, con un giovane architetto, Domenico Maffeo, bergamasco che vive a Marghera, ha aiutato sia la raccolta fondi in Italia (con cene e incontri) che l’ideazione tecnica a Somiala: “Sono stato là 4 mesi, lavorando sulla base dei principi di Hassan Fathy, egiziano, l’architetto dei poveri, autore del libro ‘Costruire con la gente’. Sono riuscito ad affidare i lavori ai capomastri locali dell’associazione ‘La Voûte Nubienne’, specializzata in edilizia adattata e per tutti”. Il risultato è un grande edificio in materiali locali, tecniche tradizionali adatte alla calura (“È una questione di onda termica durante il giorno e correnti d’aria indotte” spiega Domenico) e manodopera di villaggio. Yacouba l’ha visto “nel 2011, quando sono andato giù l’ultima volta: è in banko, che nella nostra lingua indica la terra cruda. Ci è costato meno quanto a materiali. Poi, cosa importante, ci hanno lavorato -pagati- uomini e donne del villaggio” nei periodi liberi dal lavoro agricolo -si producono miglio, mais, fagioli, riso-.
Al Centro partendo dall’analisi della difficile situazione agricola, ambientale, sanitaria e socio-economica locale, si andranno a realizzare le parole di Sankara, che nel 1984 disse all’Onu che il suo Burkina era un “concentrato di tutte le disgrazie del mondo”, ma che voleva essere anche “l’erede delle migliori rivoluzioni, per prendere in mano il proprio destino e osare inventare il futuro”. Il Centro fondato dall’Ubgni vuole partecipare a questo sogno mai tramontato. Nei suoi piani ci sono la piccola imprenditoria di villaggio, la ricostruzione delle risorse naturali, l’agricoltura in zone difficili, la gestione del ciclo dell’acqua. Asse portante sono i giovani.

Il vostro obiettivo è rendere il Grande Nord un posto attraente, per evitare l’inurbamento e i barconi per l’Europa? Yacouba non si illude: “I giovani del Grande Nord tendono alla città, perché quando finisce il periodo di lavoro agricolo vanno a cercare fortuna. Spesso trovano invece pericoli. Quando poi tentano di arrivare in Italia via mare rischiano la vita. Ma non mi illudo di poterli convincere a non farlo”.
Nel frattempo, l’ottobre 2014 è diventato storico per il Burkina Faso, catapultato di nuovo al centro dell’attenzione e capace di far cadere un governo autoritario con settimane di mobilitazione ostinata e pacifica contro la corruzione e la miseria, nel Paese quintultimo nella classifica dell’Onu sullo sviluppo umano. Che dice l’Ubgni? “La rivoluzione di fine ottobre è stata una speranza di cambiamento, è come se Thomas Sankara fosse ancora vivo o fosse tornato -dice Yacouba-: tutti hanno sentito il suo spirito e la piazza lo ha ricordato; ma adesso come presidente di transizione è stato nominato un diplomatico che andò d’accordo con tutti i governi del Burkina e perfino dell’Alto Volta -il nome coloniale pre-rivoluzionario del Burkina Faso, ndr- salvo che con Sankara. Difficile dire che cosa succederà. Noi ci richiamiamo a ideali e pratiche della rivoluzione degli anni 1980 -la giustizia sociale, l’integrità dei politici, la dignità nazionale-, e non abbiamo un partito di riferimento, piuttosto dei movimenti. I partiti sankaristi sono deboli, disuniti”. Per Ouedraogo “la garanzia è che la rivoluzione è stata popolare, non un colpo di palazzo come in passato. Fra un anno, con le elezioni, vedremo se il Burkina Faso potrà essere di nuovo un esempio”. —
 

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