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Opinioni

L’eresia di un’altra economia

È possibile ridurre il proprio impatto sul pianeta ogni giorno, non serve essere eroi per scegliere di consumare meno e meglio. Di cambiare strada, senza tornare indietro. La lezione di No Impact Man e Langhe Doc

Tratto da Altreconomia 131 — Ottobre 2011

Mi piace la Formula Uno. Non amo il calcio, il ciclismo mi annoia e il Palio di Siena mi irrita. Però vado pazzo per le auto di Formula Uno. Mi piacciono talmente tanto, e da così tanto tempo, da aver elaborato un repertorio quasi infallibile di risposte alle critiche che amici e conoscenti muovono alla mia passione. So cosa rispondere a chi mi dice che è uno sport noioso, a chi mi dice che non è uno sport e a chi mi dice che il rumore dei motori la domenica pomeriggio è un sonnifero quasi infallibile. Poi mia moglie mi ha chiesto: “Ma a cosa serve la Formula Uno?”, e sono andato in difficoltà. Non sapevo cosa rispondere, se non un poco incoraggiante “a vendere più sigarette”. Poi ho visto il documentario “No Impact Man” e ho capito tutto. Ci sono eventi e sfide che l’uomo porta all’estremo, apparentemente senza una ragione. Perché la Renault spende dei soldi per costruisce una monoposto con le ali che va a 340 km/h invece che realizzare sedili più belli per la Twingo? La risposta è che in realtà lo fa. La Formula Uno è l’esperimento estremo, è la prova ultima e assoluta i cui benefici, minori e a lungo termine, cadono sulla produzione di massa e sulla vita di tutti i giorni. E questo è quello che succede alla famiglia protagonista del documentario No Impact Man. Nell’incipit il giornalista Colin Beavan si domanda: “Puoi salvare il pianeta senza far impazzire la tua famiglia?”. Cominciamo subito col dire che la risposta è no. Il documentario americano racconta infatti (in uno stile simile al celebre “Supersize Me”) l’esperimento di un uomo che abita a Manhattan con moglie e figlioletta di 18 mesi e che prova a vivere un anno intero a impatto zero. Il che significa niente frigorifero, niente elettricità, niente carta igienica o ascensore, treni, la rinuncia ai cibi di produzione non locale e così via, in una lista di privazioni che al confronto gli Amish sembrano delle dissolute e capricciose rock star.
L’esperimento è una provocazione, e a tratti innervosisce anche: i dettami della dottrina a impatto zero rischiano di sembrare troppo simili a quelli di una qualsiasi cieca e dogmatica religione. Però, appunto come la Formula Uno, Colin sa che quello è un tuffo nelle profondità di un concetto puro ed estremo, dal quale si risale con una consapevolezza differente.
È infatti la moglie di Colin quella che subisce il cambiamento maggiore, da newyorkese irresponsabile a donna consapevole e attenta. Al termine dei 12 mesi non diventano guerriglieri dell’impatto zero, ma, una volta riacceso il frigo e riattaccata la corrente, non dimenticano gli insegnamenti tratti dal loro esperimento e ci fanno capire che è possibile vivere in un modo più civile, proteggere il pianeta e gli altri senza far impazzire la propria famiglia. Info su www.mt0.it
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In una terra molto più vicina a noi, le Langhe, tre persone e un noto giornalista si pongono in sostanza la stessa domanda. Il noto giornalista è Giorgio Bocca e le tre persone sono tre piemontesi che nell’Italia della grande distribuzione, degli ipermercati e dei centri commerciali, resistono producendo e vendendo prodotti alimentari locali, biologici e artigianali. In fondo la domanda è la stessa: si può vivere commercializzando prodotti che rispettino la terra, la sua tradizione, i suoi tempi di produzione e i suoi sapori reali, senza venire schiacciati dal mercato? Il bel documentario di Paoloo Casalis, “Langhe Doc, storie di eretici nell’Italia dei capannoni”, ci spiega che la risposta è sì, anche se aggiungerei un forse. Con sapiente spirito narrativo Casalis intreccia immagini di un paesaggio meraviglioso e armonioso -tra Langhe e Roero, nel cuneese- con il racconto delle difficili vite di un produttore di pasta, di un pastore e di una produttrice di vino. Tre eretici che vivono, per dirla alla Frank Capa, leggermente fuori fuoco rispetto alla direzione presa dal resto del mondo economico. Uno di loro dice però una cosa illuminante. Produrre pasta come si faceva una volta non vuole dire essere tornati indietro, vuole dire invece dimostrare che gli altri hanno sbagliato strada, che sono andati in una direzione errata, verso una destinazione fatta solo di profitto, irrispettosa delle proprietà alimentari, del gusto e del benessere. Il documentario (in vendita anche con un libro sul sito www.langhedoc.it) riesce in soli 50 minuti a trasformare davanti ai nostri occhi i tre eretici piemontesi in onesti e comuni imprenditori e allo stesso modo i grandi magazzini e il consumo irresponsabile in oggetti lontani, assurdi, ma soprattutto assolutamente rinunciabili.
 
Per informazioni e segnalazioni scrivete a: ugo@altreconomia.it

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