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Opinioni

L’era della volatilità (sulle previsioni)

Petrolio, banche, monete, geopolitica e debiti pubblici paiono in questa fase, molto più che in passato, soggetti ad incertezze che sono destinate e rendere qualsiasi valutazione molto temporanea. Come è possibile, a queste condizioni, costruire un Documento economico di programmazione finanziaria su cui impostare la politica fiscale e la crescita di un Paese? L’analisi di Alessandro Volpi

Siamo immersi in una situazione paradossale: le regole europee, che influenzano in maniera ormai decisiva la realtà dei singoli Paesi membri, si fondano sulle previsioni di crescita economica e di contenimento della spesa pubblica, formulate all’inizio di ogni anno dai governi nazionali. Nelle condizioni attuali, simili previsioni, così decisive, risultano quasi impossibili. È iniziata, infatti, l’era della volatilità, in cui i mercati sembrano colpiti da improvvise crisi depressive e da altrettanto incomprensibili fasi, purtroppo molto brevi, di eccessiva euforia. 
I settori investiti dalla nuova, e originale, ventata di volatilità sono almeno cinque. 


1) Il prezzo del petrolio sembra uscito da ogni sensato schema di interpretazione e dunque di previsione; la posizione dell’Arabia Saudita di accettare un tracollo dei prezzi fino a 20 dollari al barile pur di far fuori qualsiasi ipotesi di potenziale concorrenza, insieme alla corsa dello shale gas, hanno cancellato ogni parametro di riferimento, gettando un settore cruciale dell’economia mondiale in una situazione di totale incertezza. 


2) Le valutazioni sui sistemi bancari dei vari Paesi paiono in preda a una generalizzata schizofrenia: di fronte all’introduzione delle nuove regole europee -con l’esplicito divieto di ogni forma di salvataggio e con la definizione del conseguente onere per i risparmiatori di farsi carico di eventuali tracolli dei singoli istituti- sono entrate in fibrillazione persino le stime sulle banche tedesche. Inoltre, il costante permanere di dubbi sulla reale entità delle sofferenze, dei crediti non più esigibili iscritti nei bilanci bancari, contribuisce a far sì che ogni voce su probabili difficoltà o su incagli possibili determini vere e proprie tempeste di panico in grado di bruciare in poche ore diverse decine di miliardi di euro. 


3) Le principali monete internazionali, dollaro, euro e yen, sono da tempo oggetto di una guerra non dichiarata fra le banche centrali del pianeta che hanno la comune esigenza, più o meno formalizzabile, di ridare slancio alle economie delle rispettive aree, ponendo in essere svalutazioni “competitive” e finanziando i debiti pubblici nazionali; una strategia certo non agevolata dalla pressoché totale scomparsa dell’inflazione, sulla durata della cui “morte presunta” è davvero impensabile fare ipotesi credibili. Un mondo nel quale la Federal Reserve, la Banca centrale europea e la Banca centrale giapponese inondano i mercati globali di fiumi di liquidità senza che il livello dei prezzi abbia un sussulto, ed anzi continui a scendere, rappresenta una sorta di unicum almeno nella storia contemporanea; ciò significa quindi navigare in mari sconosciuti.

4) Sull’economia planetaria incombe la grande incognita geopolitica rappresentata in primis dalle imponderabili vicende cinesi e poi dalla progressiva diffusione degli scenari di guerra in diverse aree del mondo. Nello specifico della Cina, risulta davvero difficile immaginare previsioni perché si tratta di un’economia priva di fatto di una moneta internazionale propria, ma in grado di condizionare, da sola, le sorti del dollaro, dell’euro e dello yen; un’economia dove è ancora decisivo il ruolo di uno Stato non democratico e guidato da una chiara volontà pianificatrice che può commettere errori strategici devastanti per le sorti dell’intero sistema economico mondiale.

5) Gli andamenti dei debiti pubblici nazionali, gli spread, il costo degli interessi e, di conseguenza, l’andamento dei deficit annui costituiscono, alla luce delle condizioni sopra ricordate, un ulteriore ambito di incertezza perché il tracollo delle banche, imbottite di debiti pubblici, può pesare su quei debiti, così come le politiche monetarie espansive possono incidere sui tassi interesse. 



Petrolio, banche, monete, geopolitica e debiti pubblici paiono dunque, in questa fase molto più che in passato, soggetti ad incertezze destinate e rendere qualsiasi valutazione molto “volatile” e temporanea. Ma allora come è possibile costruire un Documento economico di programmazione finanziaria su cui impostare la politica fiscale e le condizioni di crescita di un Paese? La vera contraddizione a cui si accennava in apertura è, così, quella fra l’esigenza, voluta dall’Europa, di redigere una previsione vincolante, base di un patto “ferreo” di appartenenza al club dei virtuosi, e lo stato reale dell’economia mondiale, dominata da un crescente disordine. Forse servirebbero meno previsioni, meno vincoli e maggiori prerogative di aggiustamento in corso d’opera. 


* Alessandro Volpi, Università di Pisa

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