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Diritti / Opinioni

Le vite sacrificate sull’altare della legittima difesa

Il turbamento personale dovuto a un’irruzione, la difesa dei propri beni valgono più della vita umana. O meglio: di certe vite umane. Il commento di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 214 — Aprile 2019
© Antonio Grosz on Unsplash

Il Parlamento italiano ha approvato a fine marzo una “riforma” della legge sulla legittima difesa e anche stavolta per “riforma” deve intendersi un arretramento giuridico e civile, così come le “riforme” economiche degli ultimi anni sono andate nella direzione di restringere il campo dell’equità e della giustizia sociale, a favore della legge del più forte. È passato il tempo del “riformismo” inteso come processo di progressivo avanzamento democratico nel campo dei diritti, delle libertà, dell’effettiva uguaglianza fra le persone.

La nuova legge sulla legittima difesa fa proprio un principio abnorme: stabilisce che in caso di violazione di domicilio sussiste sempre il rapporto di proporzionalità fra offesa e reazione. Se un ladro entra in casa il padrone può sparare e uccidere con la protezione della legge: è questo, in soldoni, lo spirito della nuova normativa, rivendicato a chiare lettere dai ministri leghisti Salvini e Bongiorno, secondo i quali i malviventi devono sapere che cosa rischiano violando lo spazio di vita e di impresa altrui.

Si realizza quell’aspirazione al farsi giustizia da sé, con modi da pistolero, che certi ambienti coltivano da sempre. Finora simili progetti si sono fermati di fronte alla civiltà giuridica, allo stato di diritto, alla priorità garantita alla vita umana rispetto alla tutela dei beni materiali. Ma viviamo una stagione di “riforme” e quindi il principio di proporzionalità fra offesa e reazione, introdotto nell’ordinamento dal codice Rocco del 1930 (in piena era fascista), è diventato un ferro vecchio, residuo di una stagione superata.

È possibile che la nuova concezione della legittima difesa sia incostituzionale e che quindi incapperà, prima o poi, nello stop della Corte. È anche possibile, come molti osservano, che la norma sarà poco applicata, visto che i processi per eccesso di legittima difesa sono rarissimi (dopo tutto non è così frequente che il derubato spari colpi di pistola o di fucile al ladro).

Tuttavia non può sfuggire il valore simbolico e programmatico di questa legge-bandiera, in via di approvazione da parte di deputati e senatori che sembrano incapaci di compiere un serio, personale esame di coscienza. Il messaggio politico è limpido: da un lato si afferma il principio del farsi giustizia (sommaria) da sé, dall’altro si supera un pilastro della nostra civiltà come il rispetto prioritario della vita umana.

2.663: i morti nel 2019 (al 13 marzo) in 9.743 sparatorie negli Stati Uniti (più 4.670 feriti)

Il turbamento personale dovuto a un’irruzione, la difesa dei propri beni materiali valgono più della vita umana. Più precisamente: di certe vite umane. Ladri, rapinatori, malfattori smettono d’essere persone che compiono un errore e diventano individui malvagi, esistenze inutili da sopprimere, in certi casi, senza eccessiva preoccupazione. È un radicale cambiamento di prospettiva.

Siamo tuttavia -tocca  riconoscerlo- nel pieno spirito dei tempi, all’interno della stessa logica che consente a governi democratici di chiudere i porti, di eliminare i soccorsi in mare, di stringere accordi con milizie e potentati libici per impedire la partenza verso l’Europa di richiedenti asilo e aspiranti all’emigrazione, il tutto senza pensare alle conseguenze per le persone che simili scelte subiscono e così non possono espatriare, sono costrette a subire torture e umiliazioni senza fine, quando non affondano nel Mediterraneo. L’esistenza di un doppio registro di umanità -le “nostre” vite di cittadini perbene contro le vite minori e sacrificabili degli altri- sta entrando nel nostro ordinamento. È davvero ancora possibile definirlo democratico?

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri  “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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