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Ambiente / Opinioni

Legge sui piccoli comuni: una grande occasione rimpicciolita e persa

Poche risorse e poche idee per il provvedimento immaginato per rianimare gli enti sotto i 5mila abitanti: solo 100 milioni di euro in 7 anni. Solo per unire l’inutile Brebemi all’autostrada A4 sono stati spesi 50 milioni di euro

Tratto da Altreconomia 198 — Novembre 2017

I comuni sotto i 5mila abitanti hanno una legge. Evviva, stappiamo e brindiamo, cantiamo e balliamo perché la legge parte alla grande. All’art. 1 promuove l’equilibrio demografico del Paese, combatte lo spopolamento, incentiva l’afflusso turistico, contrasta il dissesto idrogeologico, favorisce la piccola e diffusa manutenzione, tutela i beni comuni. Uao! Ma quando entra nell’art. 3, il motore già singhiozza: nel serbatoio ci sono solo 100 milioni in 7 anni, meno di 3.000 euro/anno per comune (sono circa 5.500). Puoi giusto imbiancare gli uffici del comune un anno, sistemare le aiuole l’anno dopo, robe così. Se dicono che i piccoli comuni sono importanti…perché allora un portafoglio così misero?

Per unire l’inutile Brebemi all’A4 (si erano dimenticati di farlo prima) sono stati spesi quasi 50 milioni di euro, metà del gruzzolo dei piccoli comuni. Ma non guardiamo ai soldi. Piuttosto, andiamo a vedere le idee con cui si pensa di rianimare i piccoli comuni. L’elenco è disparato: banda ultralarga, ripristino degli uffici postali, efficientamento energetico, acquisto dei beni demaniali, recupero dei libri antichi, riqualificazione dei centri storici, consegna dei quotidiani al bar di paese, agricoltura a km utile…tanta roba e alcuna buona, ma non tutta.

Ad esempio, chi ha deciso che è urgente per questi comuni riaprire l’ufficio postale? Le bollette si pagano via RID e la pensione va sul conto, da anni. Se poi fai la banda larga, vuoi tornare alla coda in posta la mattina? Anche no. A proposito di banda larga, la tecnologia vola e di cavi ce n’è sempre meno bisogno. Fra poco avremo la connessione mobile 6G. Aree interne e piccoli comuni sono aree di fallimento di mercato (così, impietosamente, le chiamano gli operatori): si fa prima a regalare smartphone che a tagliare asfalti per ficcarci un cavo e poi spendere soldi per rifare asfalti. Pure pagare un furgoncino che ogni giorno porta una copia del quotidiano è strano, tanto più se sei connesso. A meno che non lo si voglia leggere in coda alla posta. Insomma c’è qualcosa qui dentro che toccasana non è.

Poche risorse e poche idee per il provvedimento immaginato per rianimare gli enti sotto i 5mila abitanti: solo 100 milioni di euro in 7 anni. Solo per unire l’inutile Brebemi all’autostrada A4 sono stati spesi 50 milioni di euro

Ma ciò che più preoccupa sono, al solito, le cose non dette. Ribadiamolo chiaramente: uno dei più grossi guai dei piccoli comuni è l’intreccio maledetto tra burocratizzazione e sotto-organico. Questo li paralizza. Lí, segretari e tecnici girano tra cinque municipi come trottole compilando cinque volte gli stessi moduli per le stesse cose. Ogni sindaco che ha governato coscienziosamente in questi anni di crisi sa che ha sempre meno senso rimanere così divisi: si fatica pure a spalare la neve, altro che lotta al dissesto idrogeologico. La prima cosa da fare è de-frammentare ovvero unirne o, meglio, fonderne un bel numero, come già fatto in altri Paesi (Francia, Belgio, Germania, Svizzera) e come potrebbe fare la Strategia aree interne se le si desse una mano anziché distrarsi con le poste. Ma possibile che non entri in testa che fusione uguale semplificazione uguale meno burocrazia? Anche il suolo ci guadagnerebbe. La legge pomposamente dice che i piccoli comuni devono presidiare il territorio, ma ignora che loro consumano più suolo dei grandi per ogni nuovo abitante (vedi rapporti ISPRA 2016/2017). In Francia la legge ha deciso per i piccoli comuni lo stop al consumo di suolo. Ed è così che presidiano bellezza e territorio. Ma qui niente, si preferisce portare latte, giornale, un po’ di internet via cavo, con quattro soldi e senza un coordinamento. Altro che piccoli leoni che tornano a ruggire, questa legge rischia di finanziare il rutto del moscerino. Peccato.

Paolo Pileri è professore ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro
è “Il suolo sopra tutto” (Altreconomia, 2017)

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