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Opinioni

L’economia la fa il metodo

Dalle relazioni di dono al trusteeship gandhiano, che mette al centro la fiducia e non il possesso. Sono gli esempi -necessari- di un modello nuovo, per uscire dal conformismo e dall’ignoranza. Il commento di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 159 — Aprile 2014

Un metodo nuovo per l’economia. È una svolta capace di portarci oltre il deserto dell’ignoranza e del conformismo, nel quale restano arenati sia la Commissione europea sia i governi succedutisi in Italia, da Berlusconi a Renzi.

Ma dove attingere gli elementi per questa profonda trasformazione della cultura? Dai primi del ‘900 a oggi si è sviluppata la ricerca di modelli economici alternativi al modello capitalista e a quello del socialismo reale. Penso anzitutto all’economia delle relazioni di dono, che pone al centro la relazione tra le persone e la cura per ciò che dà loro da vivere. Al di là dell’economia formale capitalista, in molte aree del mondo (Africa, Asia, America Latina) è praticata questa economia popolare. “Dono” non significa “regalo”, ma dinamica di condivisione. Grazie a questa pratica alcuni popoli sono riusciti a sopravvivere all’impatto con il modello occidentale. Bisogna poi ricordare l’economia gandhiana della trusteeship. Basata sull’opera di Gandhi e sperimentata in India, tale concezione muove dal riconoscimento del fatto che l’economia è parte integrata dell’etica del bene comune. Il soggetto economico non deve attaccarsi al possesso, ma lavorare nello spirito dell’amministrazione fiduciaria (trusteeship). I talenti ci sono dati perché portino frutto per noi, ma anche per gli altri: il lavoro è servizio. Il vero soggetto dell’economia è la comunità locale, i cui talenti e le cui tradizioni servono a garantire la sussistenza e all’equo scambio commerciale dei propri prodotti tipici con le altre comunità del mondo.
Non va del resto dimenticata l’economia di comunità proposta da Adriano Olivetti e sperimentata a Ivrea. È un’idea nata dallo spirito cristiano della fraternità e dallo sforzo di tradurla in un ordinamento democratico comunitario. La rappresentanza democratica non può reggersi solo sul suffragio universale; va integrata dalla rappresentanza delle comunità territoriali, delle forze del lavoro e del mondo della ricerca. L’impresa è un bene comune, che respira con la vita democratica.
Sorta dagli studi di Nicholas Georgescu-Roegen, la prospettiva della bioeconomia configura un’economia radicalmente ecologica, che tiene conto della legge dell’entropia: per produrre qualcosa in realtà consumiamo energia e materia in quantità maggiori del prodotto stesso. Dobbiamo quindi orientare l’economia non alla crescita, né al mito dello sviluppo sostenibile, ma al risparmio, al riuso, al riciclo, al restauro, per mantenere aperto il futuro anche alle prossime generazioni. Tale intuizione è stata ripresa dal progetto delle decrescita di Serge Latouche, che punta instaurare la cura dei beni e delle risorse secondo criteri di sobrietà e di sviluppo dei beni relazionali.
Occorre anche considerare l’economia di comunione e l’economia civile. Nata dall’intuizione di Chiara Lubich e dal movimento dei Focolari, questa tendenza introduce in economia la logica della comunione attraverso la riorganizzazione dell’impresa. Il profitto va suddiviso nelle seguenti quote: una parte del profitto va all’imprenditore e a tutti i lavoratori, una parte per la solidarietà sociale, una parte per reinvestire nell’azienda in quanto bene comune, una parte per finanziare attività educative che formino persone all’altezza dello spirito di comunione. Da questa idea si è sviluppata la prospettiva dell’economia civile ad opera di Luigino Bruni e Stefano Zamagni. Essi affermano che il mercato va trasformato, da dispositivo di guerra di tutti contro tutti in un luogo di reciprocità. Da parte sua l’economista austriaco Christian Felber ha prefigurato l’economia del bene comune, in una visione che sostituisce al prodotti interno lordo (Pil) il Bilancio del bene Comune e subordina il profitto riducendolo a fine secondario dell’attività economica.
Più di 1500 imprese hanno aderito a questo progetto in Germania, Austria, Svizzera e Italia. Felber prevede lo sviluppo del credito cooperativo, la nazionalizzazione di gran parte delle banche e la chiusura delle Borse. Ricordo infine l’economia solidale e partecipativa. È un modello che punta sulla logica dell’equità e della solidarietà, nonché sulla pianificazione democratica partecipata. Tra gli esponenti di questa concezione segnalo Michel Albert, Albert Fresin e Peter Ulrich. Tutti questi modelli -se approfonditi, correlati tra loro e attuati- sono affluenti preziosi per la messa a punto di un metodo integrato in economia che farà del capitalismo nulla più che un triste ricordo. —
 

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