Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura

L’ecologia della giustizia

La crisi ambientale, il surriscaldamento del pianeta e le sue conseguenze, la finitezza delle risorse naturali, a partire dal petrolio, sono ormai nel Dna dell’opinione pubblica mondiale. L’umanità ha preso coscienza che questo modello di sviluppo è devastante, che se…

La crisi ambientale, il surriscaldamento del pianeta e le sue conseguenze, la finitezza delle risorse naturali, a partire dal petrolio, sono ormai nel Dna dell’opinione pubblica mondiale. L’umanità ha preso coscienza che questo modello di sviluppo è devastante, che se non vogliamo autodistruggerci dobbiamo fermare il degrado ambientale. Al Gore ha vinto l’Oscar con il suo video shock e le star di Hollywood organizzano megaconcerti per salvare il pianeta. L’esplosione di coscienza ambientalista ci porterebbe a dire che siamo di fronte a una rivoluzione culturale, partita da Occidente, che sta facendo il giro del mondo. Eppure, dietro gli slogan, è in corso una delle più grandi manipolazioni delle coscienze di tutti tempi. Un vero e proprio coup de tèatre, che ha invaso la scena convincendo la maggioranza dei cittadini che basti ridurre il petrolio e “mettere” un po’ di energie rinnovabili per risolvere il problema ambientale. Da una parte si è scatenata una campagna d’allarme, dall’altra c’è la soluzione a portata di mano, come nella migliore tradizione dei film americani e come proposto dagli Usa: sostituire biocarburanti al petrolio, aggiungere pale eoliche e qualche spremuta di solare e il problema è risolto. Non mancano, certo, piani di risanamento ambientale e strategie ecocompatibili più serie. In dieci anni la Germania ha fatto registrare un grande balzo in avanti alle fonti rinnovabili e portato avanti un serio piano di risparmio energetico a partire dalla edilizia residenziale. Malgrado questi encomiabili sforzi, però, i tedeschi continuano ad avere un’“impronta ecologica” insostenibile. Proprio dalla Germania, dal Wuppertal Institut, arriva il rapporto -curato da Wolfgang Sachs e Tilman Santarius- tradotto con il titolo Per un futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale. Il merito del testo, che raccoglie le analisi di scienziati ed esperti, è quello di coniugare due temi fondamentali per questo secolo: l’ecologia e la giustizia. Non ci sarà giustizia globale se non ci sarà una conversione ecologica della società, ma non si salverà il pianeta dalle catastrofi future se non ci sarà un’efficace e radicale giustizia nella ripartizione delle risorse a livello globale. Il testo, ricco di dati e analisi puntuali, dimostra che se ci fermiamo alla conversione ecologica dei processi produttivi, senza un’equa ripartizione delle risorse e sobrietà nel loro uso, il pianeta non basterà. La lotta per la conquista delle risorse naturali diventerà guerra globale. Insomma, non basta essere più efficienti, sprecare meno risorse, inquinare meno, dobbiamo anche essere capaci di consumare di meno, di avere un forte senso del limite nei nostri stili di vita e nei modelli di sviluppo. Senza dimenticare, e il valore del testo è anche questo, che lo stesso modello di sviluppo energivoro e altamente inquinante del Nord del mondo ha avuto successo anche in alcuni Paesi del Sud; che la distinzione Nord/Sud va rivista alla luce delle nuove sperequazioni sociali che attraversano tutti Paesi del mondo, creando una nuova polarizzazione sociale. È vero che i Paesi non occidentali hanno diritto a una quota più grande delle risorse mondiali, ma anche che i conti vanno fatti all’interno dei singoli Paesi. Basti citare India, Cina e Brasile, che ormai hanno sull’ambiente un impatto non inferiore al nostro. Il testo disegna un quadro lucido e agghiacciante. La crisi ecologica andrà a scaricarsi sui più deboli, poveri e tecnologicamente arretrati. L’abbiamo sperimentato nella torrida estate del 2003: in Francia morirono per il caldo eccessivo circa 25 mila persone, tutti anziani, marginali, poveri. Coniugare giustizia sociale e tutela ambientale è diventata una necessità. Purtroppo, il modello di sviluppo capitalistico non contempla questa razionalità. Le banche sono strapiene di denaro ma non sanno che farsene, perché non c’è modo di impiegarlo con rendimenti alti e garantiti. Sfamerebbe centinaia di milioni di persone. Il problema è che questo modello di sviluppo iniquo e inquinante gode ancora di consenso ampio. Basti pensare alla Cina, a un modello di neoliberismo autoritario che si sostiene sul consenso di nuovi, entusiasti e frenetici, consumatori. Il potere si riproduce proprio sulla polarizzazione sociale e sull’aggressione alle risorse naturali. L’alternativa dev’essere cercata in un’altreconomia che abbisogna e produce un’altra politica, altre forme di organizzazione sociale e istituzionale. Soprattutto, avremmo bisogno di immaginare una priorità da sostituire alla crescita economica, che rimane il dio incontrastato, l’obiettivo fondamentale delle forze politiche dominanti.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.