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Ambiente

Le varianti verdi del Veneto, una rivoluzione a metà

Una legge regionale veneta permette ai proprietari di lotti edificabili di richiedere ai Comuni di farli tornare agricoli, richiamando in modo esplicito l’esigenza di fermare il consumo di suolo. Tuttavia, la norma non riduce le cubature totali previste dal Piano di assetto del territorio. Quei metri cubi di cemento, cioè, possono essere spostati altrove all’interno del territorio comunale

Nel primo trimestre del 2007, in Italia vennero rilasciati più di 60mila "permessi di costruire" nuove abitazioni. Nel quarto trimestre del 2014, i nuovi fabbricati residenziali autorizzati sono stati solo 11.748, per un totale nel corso dello scorso anno di 47.130, cioè l’11,8% in meno rispetto al 2013 (53.408). Quel dato a sua volta segnava un crollo del 34,9% rispetto all’anno precedente.
Questi numeri -diffusi dall’Istat la scorsa settimana- evidenziano un fenomeno più volte analizzato da Altreconomia: in Italia non c’è più bisogno di nuove case, e -a meno che non si tratti di investimenti di edilizia residenziale pubblica- il mercato è (ormai) saturo.

Perché far sì che un "fallimento del mercato" porti anche a una tutela più efficace dell’interesse pubblico (cioè in una riduzione della cementificazione e della impermeabilizzazione del suolo, che comporta tra l’altro un aumento dei costi di gestione del territorio), è però necessario che le statistiche orientino le politiche.
Alcune amministrazione comunali, ad esempio, hanno approvato delle varianti "riduttive" dei propri strumenti urbanistici, per riportare alla destinazione "agricola" aree che avrebbero potuto essere lottizzate. È successo, tra l’altro, a Rivalta di Torino (TO), a Senigallia (AN) -leggi "Il ritorno dei campi", da Ae 158– e a Desio (MB) -leggi "Suolo, bene (in) comune", da Ae 137-. La Regione Veneto, però, è la prima -la Costituzione delega alle amministrazione regionali le competenze urbanistiche- a legiferare in materia, con l’articolo 7 della legge regionale n. 4 del 2015, dedicato alle cosiddette "varianti verdi". 
In pratica, da gennaio 2016 tutti i Comuni del Veneto dovranno pubblicare ogni anno degli "avvisi" pubblici e invitare i cittadini "aventi titolo e che ne abbiano interesse", a presentare -entro sessanta giorni- una "richiesta di riclassificazione di aree edificabili, affinché siano private della potenzialità edificatoria loro riconosciuta dallo strumento urbanistico vigente".
Successivamente, l’amministrazione comunale ha sessanta giorni di tempo per valutare le istanza e, "qualora ritenga le stesse coerenti con le finalità di contenimento del consumo del suolo" accoglierle "mediante approvazione di apposita variante al piano degli interventi (PI)", cioè quello che la legge urbanistica veneta definisce come lo strumento operativo che provvede -tra l’altro- a definire "le destinazioni d’uso e gli indici edilizi".

In attesa della piena operatività della norma sulle "varianti verdi", tra fine maggio e giugno 2015 alcuni Comuni -quello di Nogarole Rocca nel veronese, o Monselice e l’Unione dei Comuni "Colli Euganei" (Arquà Petrarca, Baone, Cinto Euganeo) nel padovano- hanno pubblicato un primo avviso.
Ad agosto, così, sarà probabilmente possibile valutare l’efficacia della norma, che potrebbe essere utili "mutuare" anche in altre Regioni, andando prima a risolvere un aspetto che la depotenzia, ovvero il terzo comma della legge stessa: "La variante di cui al presente articolo non influisce sul dimensionamento del PAT", ovvero del Piano di assetto del territorio, che "fissa gli obiettivi e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni ammissibili ed è redatto, dai Comuni, sulla base di previsioni decennali". Il PAT, fatta una stima del possibile aumento della popolazione nell’arco di dieci anni, calcola il relativo aumento di cubatura previsto.

Prevedere che la variante non interviene sul PAT, significa affermare che l’approvazione della variante cancella la capacità edificatoria per una determinata area ma quei volumi potrebbero essere spostati altrove sul territorio comunale. Che la "cubatura", in fondo, resta. Che la variante va incontro solo all’interesse del proprietario che non vuol più pagare la tassa di proprietà su un lotto con destinazione d’uso residenziale oggi che le condizioni di mercato non invitano a costruire nuove abitazioni.
 
Per dirla con le parole di Lorenzo Cabrelle di Legambiente Padova -che ha curato un approfondimento sull’articolo 7, pubblicato sul portale dell’associazione, Ecopolis-, il messaggio è: "Nessuno tocchi il volume che la speculazione edilizia vuole calare sul territorio". A Padova, ad esempio, è stimato un aumento di circa 24mila abitanti e nuove cubature per quasi 4,7 milioni di metri cubi (oltre 20mila appartamenti da 80 metri quadrati). 

In questo senso, la "variante verde" è depotenziata, e rischia di diventare solo uno strumento per ridurre il carico fiscale, senza rispondere all’esigenza di fermare il consumo di suolo agricolo. Del resto, in origine il provvedimento era incardinato proprio all’interno di una legge che aveva questo oggetto, la cui approvazione si è arenata. Per un vero stop al cemento c’è ancora tempo.

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