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Economia / Attualità

Le strategie pubblicitarie sui social network delle aziende fossili negli Stati Uniti

Nel 2020 le principali multinazionali di petrolio e gas, tra cui ExxonMobil e Chevron, hanno inondato i social di inserzioni milionarie per alimentare un’immagine sostenibile, sensibile ai cambiamenti climatici, utile all’ambiente. La piattaforma InfluenceMap ha fatto i conti, analizzando tempistiche, profilazioni e contenuti. Il ruolo di Facebook

© Patrick Hendry - Unsplash

Nel corso del 2020 le principali multinazionali fossili americane, tra cui ExxonMobil e Chevron, e gruppi di influenza, come l’American petroleum institute (Api), hanno inondato i principali social network con campagne pubblicitarie con l’obiettivo di costruirsi un’immagine di aziende sostenibili, utili all’ambiente e all’economia. A questo scopo sono stati investiti oltre nove milioni di dollari per pubblicare più di 25mila annunci su Facebook nel solo territorio degli Stati Uniti.

È quanto emerge dalla ricerca “Climate Change and Digital Advertising” pubblicata a inizio agosto 2021 dalla piattaforma di studi sul clima e l’economia InfluenceMap. Gli autori hanno esaminato le inserzioni pubblicate negli Stati Uniti su Facebook; tale scelta è stata giustificata dalla maggiore “trasparenza” della piattaforma rispetto ai concorrenti Twitter e Google/Alphabet. Per la ricerca è stata utilizzata la Facebook ads library, un archivio dove vengono registrate le varie inserzioni, con particolare riguardo a quelle aventi tematiche di importanza politica o sociale, insieme a dati sugli autori, le spese sostenute e quelle che in termini tecnici sono chiamate “impressioni”, ovvero il numero di visualizzazioni generate da un contenuto. 

“Basato su una solida metodologia scientifica, questo studio mostra come gli interessi dei combustibili fossili manipolino gli individui usando sofisticate strategie -ha dichiarato Robert J. Brulle, Visiting Professor presso l’Institute at Brown for Environment and Society (IBES) della Brown University-. Le loro pubblicità giocano sui valori della comunità per costruire il sostegno per la continuazione di un’economia ad alta intensità di carbonio, contraddicendo il presunto impegno di queste aziende ad affrontare la crisi climatica. Occorre capire e lavorare per contrastare queste campagne: InfluenceMap ha fornito uno strumento fondamentale”.

La ricerca ha preso in esame il tipo di messaggio comunicato, classificato in quattro categorie: “Climate Solution”, che esalta lo sforzo delle industrie nell’applicare piani di sostenibilità e presenta i combustibili fossili come parte della strategia contro il cambiamento climatico, “Community and economy”, invece esalta l’importanza dei combustibili fossili nel garantire posti di lavoro e benessere economico ed enfatizza la filantropia delle aziende. Le ultime due riguardano il cosiddetto “Pragmatic Energy Mix”, una narrazione basata sull’importanza che i combustibili fossili avrebbero nella vita quotidiana, e il “Patriotic Energy Mix” che sottolinea l’importanza dei combustibili fossili nell’indipendenza energetica degli Stati Uniti.

Secondo l’analisi effettuata da InfluenceMap i post sponsorizzati dalle principali industrie hanno registrato oltre 400 milioni di visualizzazioni. Un altro dato molto importante emerge indagando l’andamento giornaliero delle spese pubblicitarie: si registra infatti un picco in corrispondenza del 15 luglio 2020, quando l’allora candidato presidente Joe Biden propose un piano da duemila miliardi di dollari sul clima. La spesa giornaliera ha subìto un incremento da poco meno di 10mila a più di 80mila dollari giornalieri di media nel periodo precedente le elezioni presidenziali tenutesi nell’autunno del 2020, con picchi superiori ai 100mila dollari. Secondo i ricercatori “questo suggerisce che l’industria del carbone e del petrolio utilizzi la pubblicità su Facebook in modo strategico e per scopi politici”.

L’andamento della spesa oggetto della ricerca di InfluenceMap

È stato inoltre possibile analizzare la distribuzione geografica dell’inserzione in modo tale da scoprire su quali Stati degli Usa le campane dei difensori di petrolio, carbone e gas si sono fatte sentire con più insistenza. “Le inserzioni hanno interessato principalmente gli Stati caratterizzati da una elevata produzione di petrolio e gas, come il Texas e il New Mexico, e i cosiddetti swing States (Stati che risultano decisivi nel definire l’equilibrio tra repubblicani e democratici, ndr) tra cui Pennsylvania, Iowa e Ohio”. Affermano gli autori che “anche gli Stati interessati da un intenso dibattito riguardo i combustibili fossili nel 2020, come l’Alaska, sono stati soggetti ad una importante campagna pubblicitaria”. Tali scelte non sono certamente casuali ma sono state pianificate per interessare gli Stati considerati chiave, non solo nel dibattito sui combustibili fossili, ma anche per le loro influenze sulla politica. Se si considera la distribuzione per abitante delle “impressioni” è facile notare come gli abitanti dell’Alaska abbiano ricevuto una quantità sproporzionata di pubblicità facendo registrare una media di 47 impressioni per ogni cittadino. “Questo è dovuto con molta probabilità all’enorme livello di spesa del gruppo di influenza OneAlaska responsabile per oltre il 72% delle impressioni ottenute in Alaska” sottolineano gli autori.

Altro aspetto esaminato dallo studio è la distribuzione anagrafica delle inserzioni, raccogliendo il numero di impressioni per sesso e fasce di età. La popolazione maschile è maggiormente interessata dalla campagna pubblicitaria che riguarda in particolare la popolazione tra i 25 e i 34 anni, con più di 40 milioni di impressioni raccolte, dove è possibile vedere anche la maggior discrepanza con la popolazione femminile. Gli autori evidenziano un parallelismo con la diffusione, per gli uomini nella stessa fascia di età, di disinformazione sul cambiamento climatico. “Questo suggerisce che gli uomini tra i 25 e i 34 anni siano oggetto di attenzioni sia da parte delle industrie di carbone e petrolio, sia da parte di che distribuisce disinformazione sul cambiamento climatico”. Con l’esclusione di questo picco, l’impressione raccolta aumenta con il progredire delle fasce di età, mentre si riduce la differenza tra sessi che si inverte per gli over 65 dove si registra una lieve prevalenza per la popolazione femminile. 

Come ultima analisi la ricerca prende in esame le quattro tipologie di narrativa individuate (“Climate Solution”, “Community and economy”, “Pragmatic energy mix” e “Patriotic energy mix”) esaminando le varie differenze in investimenti e popolarità. Dai dati raccolti è facile individuare nei messaggi basati sul “Pragmatic energy mix” abbiano ricevuto più investimenti (4,4 milioni di dollari) e totalizzato più visualizzazioni, mentre le inserzioni a tema “Climate solution” sono state le più presenti, arrivando a costituire il 48% delle inserzioni analizzate (contro il 31% delle inserzioni a tema “pragmatico”), ma non hanno il maggior numero di visualizzazioni a causa di un minore investimento. Le narrative sul tema “Community and economy” evidenziano valori simili sia di investimenti e numero di inserzioni, sia di impressioni raccolte. Molto meno popolari sono le argomentazioni “patriottiche” che hanno riguardato solo il 12% delle inserzioni analizzate e hanno incanalato la parte più “piccola” degli investimenti (1,5 milioni di dollari) e di conseguenza anche totalizzato il minor numero di impressioni.

Nell’ultimo decennio si è assistito ad un progressivo trasferimento della pubblicità dai media cartacei e tradizionali a siti internet e social media; in questo campo Facebook e Google (tramite la società Alphabet) detengono il 61% del mercato di pubblicità online. In questo scenario si inseriscono industrie e gruppi di interesse legati ai combustibili fossili. “In passato le principali aziende del carbone e del petrolio hanno direttamente o indirettamente negato o gettato dubbi significativi sulla scienza dei cambiamenti climatici”, si legge nella ricerca. Nel corso dell’ultimo decennio queste corporation si sono adattate all’evoluzione del mercato pubblicitario e hanno spostato la loro campagna sui principali social media modificando inoltre il carattere del loro messaggio, rinunciando a negare direttamente le evidenze sul cambiamento climatico e utilizzando al loro posto narrazioni basate sul greenwashing, enfatizzando i loro sforzi per la riduzione di emissioni e presentando combustibili fossili, come il gas naturale, come alternative sostenibili.

Nonostante le maggiori piattaforme di social media come Google e Facebook abbiano dichiarato di aver assunto impegni per limitare le emissioni di gas serra, queste continuano a ricevere ogni anno milioni di dollari in pubblicità dall’industria dei combustibili fossili. Durante la stesura di questo lavoro, i ricercatori hanno segnalato di aver incontrato ostacoli a causa della limitata trasparenza dei social. Secondo gli autori questi risultati dovrebbero essere utilizzati per spingere le varie piattaforme ad attuare politiche di maggiore trasparenza sulla gestione dei loro spazi pubblicitari, in particolar modo quando questi vengono utilizzati per influenzare l’opinione pubblica su argomenti dall’elevata importanza politica e sociale. “Se Facebook vuole essere seria rispetto ai propri impegni sul clima -ha detto Bill Weihl, fondatore di ClimateVoice ed ex direttore alla Sostenibilità della multinazionale-, deve allora ripensare se è disposta a continuare a prendere i soldi delle compagnie di combustibili fossili”.

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