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Ambiente / Varie

Le regole dell’esproprio

Le aziende possono far leva sulla “pubblica utilità” per allontanare i cittadini dalle loro proprietà. E chi si oppone rischia contenziosi milionari. I casi di Terna, BREBEMI e Enel Green Power. Per Maria Rosa Vittadini, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica all’Università Iuav di Venezia, "l’interesse del promotore dell’opera prevale sistematicamente sull’interesse pubblico, chiamato a posteriori a coprire inefficienze e disavanzi"

Tratto da Altreconomia 179 — Febbraio 2016

Alcuni proprietari della campagne di San Vito dei Normanni (Brindisi) sono stati fortunati: il “parco eolico” da 18 mw che doveva sorgere sui loro terreni è saltato, e loro non verranno espropriati. Grazie all’azione di un comitato locale, infatti, sono arrivate per tempo la Procura di Brindisi e la Guardia di Finanza di Ostuni. L’area che avrebbe dovuto ospitare le pale di Enel Green Power (EGP) era caratterizzata da una “vasta presenza di ulivi monumentali” e dunque vincolata, contrariamente a quanto scritto da un dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di San Vito. Ne è derivata un’inchiesta che ha portato, all’inizio del 2016, a 11 avvisi di garanzia, di cui due ad altrettanti dirigenti di EGP. Sei mesi prima, il Consiglio di Stato aveva annullato l’esproprio dei terreni, accogliendo l’impugnazione dei proprietari schierati a difesa della loro terra.

Anche Silvia Ferrante ha tentato di farlo, in Abruzzo. Come gli altri membri dei comitati cittadini che si battono contro un mega elettrodotto di Terna -il “Villanova-Gissi”, che attraversa 16 Comuni per quasi 70 chilometri e una tensione di 380 kV, noelettrodottovillanovagissi.it-, la 37enne ha iniziato “fin dal 2010” a studiare l’opera, eseguire accessi agli atti, affiancare i proprietari dei terreni (in tutto oltre 200) che si opponevano all’esecuzione degli espropri da parte della società, forti peraltro di un documentato “vademecum”. La società non ha gradito. Dall’estate scorsa, Terna -che tra i suoi azionisti vede CDP RETI, controllata da Cassa depositi e prestiti- ha annunciato l’avvio di azioni risarcitorie nei confronti di chi si è permesso di ostacolare l’accesso alle aree per gli espropri, citando in giudizio civile 50 persone. Solo Ferrante si è vista recapitare 24 contestazioni (l’avvocato di Terna è Giulia Bongiorno, già deputata), pari a 16 milioni di euro di richieste danni complessive. L’atteggiamento di Terna -definito “intimidatorio” da alcuni amministratori locali della zona- smentisce quanto la stessa società riporta nel paragrafo “Il nostro approccio” del suo ultimo bilancio di sostenibilità. “Pur essendo autorizzata dalla legge a seguire una procedura di esproprio -scrive appellandosi al Testo unico sugli espropri (Dpr 327/2001)-, per ottenere la disponibilità del suolo Terna preferisce ricorrere alla pratica dell’asservimento amichevole” (il corsivo è nostro). Una “ricerca di una soluzione consensuale” dichiarata più che praticata, come dimostra il caso del “Villanova-Gissi”.

Presso il ministero dello Sviluppo economico, dal luglio 2014, esiste addirittura un “Ufficio unico per gli espropri in materia di energia”, che affianca le società autorizzate dal ministero o dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) “ad attuare progetti riconosciuti di pubblica utilità” qualora non abbiano “la possibilità di concludere accordi bonari per l’utilizzo dei beni necessari”. Sono 24 i procedimenti in corso, dal “Metanodotto di interconnessione Albania-Italia Trans Adriatic Pipeline” -da notare che nella sua “Politica sulla responsabilità sociale d’impresa”, TAP dichiara che “gli espropri saranno usati solo come ultima risorsa se sono fallite le trattative in buona fede”- fino alla concessione “Gorgoglione” in Basilicata a favore di Total, Shell e Mitsui. Anche tra Liguria e Piemonte gli espropri per pubblica utilità sono stati -e sono tuttora- al centro di durissime battaglie. Lo sa bene il movimento No Tav-Terzo Valico (notavterzovalico.info), che si oppone alla realizzazione della “linea ad alta capacità veloce” tra Genova e Tortona (53 chilometri, 12 Comuni attraversati, 6,2 miliardi di euro di costo stimato, vedi Ae 144, bit.ly/terzovalico). I circa 300 espropri previsti dal progetto sono stati portati sostanzialmente a compimento dal general contractor incaricato della progettazione e costruzione dell’opera, il Consorzio COCIV (composto da Salini-Impregilo, 64%, Società Italiana Condotte d’Acqua, 31% e CIV, 5%). Nel bilancio 2014, il Consorzio ha indicato alla voce “indennizzi per espropri” 19,8 milioni di euro. L’atto di pubblica utilità che ha consentito a COCIV di procedere, anche con l’uso della forza pubblica -com’è accaduto nel luglio 2014-, facendo le veci del proponente, Rete Ferroviaria Italiana, ha la durata di 5 anni e può essere prorogato. L’ultimo è scaduto a fine luglio 2015. Ma il Consorzio non si è fermato, andando a sbattere. Lo scorso dicembre, infatti, è dovuto intervenire il Tar della Liguria, che ha annullato -su ricorso di un attivista del movimento No Tav- un esproprio condotto a Pontedecimo (Genova) perché viziato da una notifica fatta a un defunto.
Quant’è lontana la Costituzione, e gli articoli dove disegna il principio dell’esproprio: il 42 e il 43, nei “Rapporti economici”. Le “comunità di lavoratori” potrebbero vedersi infatti trasferire “imprese o categorie di imprese” dal “preminente interesse generale”. A Trezzano sul Naviglio (MI), gli ex lavoratori della Maflow -riuniti nella cooperativa Ri-Maflow (www.rimaflow.it, vedi Ae 147, bit.ly/ri-maflow)- li avevano approfonditi a più riprese insieme al giurista Paolo Maddalena (autore del saggio “Il territorio bene comune degli italiani”, Donzelli), provando a immaginare un esproprio per pubblica utilità di un sito produttivo ormai decadente in pancia a Unicredit. A qualche anno di distanza, Gigi Malabarba, ex operaio all’Alfa Romeo di Arese (MI) e anima del rilancio di Ri-Maflow- racconta ad Ae quelle che rimasero “intenzioni”, visto che “per poter raggiungere un risultato di quel tipo è necessario un ente pubblico disponibile ad andare in quella direzione”. Non è un caso che sul portale della cooperativa l’ultima notizia (del 9 gennaio 2016) riguardi l’esproprio dell’IMPA, “storica fabbrica metalmeccanica di Buenos Aires”, assegnata ai lavoratori in comodato d’uso dopo una “Decláranse de utilidad pública” sancita dal “Boletín Oficial” della Repubblica Argentina. Anche a Lecco, alcuni lavoratori della storica impresa di lampadine Leuci -rilevata nel 2006 da Relco Spa, oggi, dopo il licenziamento di oltre 220 persone, lo stabilimento è chiuso- avevano iniziato a ragionare sull’esproprio, abbandonato nel giro di poco per l’entità dell’indennizzo e l’assenza di supporto da parte degli enti locali (Comune e Provincia su tutti). Oggi dalle finestre sventola uno striscione di plastica per affitti o compravendite.

“Al progressivo indebolimento dell’esproprio come strumento a disposizione della pubblica amministrazione nella pianificazione e attuazione delle politiche pubbliche -spiega ad Ae Maria Rosa Vittadini, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica all’Università Iuav di Venezia- si è andata affiancando una marcata tendenza al coinvolgimento dei privati sia nella pianificazione sia nella realizzazione delle opere cosiddette di pubblica utilità. E se è vero che le opere di pubblica utilità traducono scelte già definite dai pubblici poteri (ai diversi livelli), la tendenza al coinvolgimento massiccio dei privati racconta una storia tutta diversa, nella quale l’iniziativa e l’interesse del promotore prevalgono sistematicamente sull’interesse pubblico, chiamato a posteriori a coprire inefficienze e disavanzi”.

Infatti, in Lombardia l’esproprio è uno strumento impiegato con più fortune in altri campi, soprattutto autostradali. È il “caso” di BRE.BE.MI., asse lungo 62 chilometri che si sviluppa nei campi agricoli di tre province, ed unisce Travagliato (BS) a Liscate (MI). “Al 31 dicembre 2014 -si legge nell’ultimo bilancio di Società di progetto Brebemi Spa- risultano effettuate occupazioni di terreni per circa 15,5 milioni di metri quadrati”. Di questi, 7,2 milioni sono avvenute attraverso espropri. Nel complesso, le “occupazioni” di aree utili alla realizzazione della A35 hanno interessato “1.779 ditte proprietarie”, in maggioranza aziende agricole. Ettore Prandini è il presidente di Coldiretti Lombardia. Dopo aver lavorato per il raggiungimento di un accordo chiave per la “conclusione bonaria” tra società e proprietari delle aree, si ritrova oggi a che fare con ripetute violazioni da parte di chi siede al di là del tavolo: “Almeno il 20% di chi ha sottoscritto un accordo sta ancora aspettando la liquidazione della somma spettante, che doveva avvenire prima ancora della conclusione dell’opera”. La BRE.BE.MI è stata inaugurata nel luglio del 2014. È un paradosso, visto che la soluzione “conciliante” ha evitato gli “inghippi” che invece ha fronteggiato Cociv grazie all’operato del comitato No Tav. Nonostante tutto, Prandini è convinto della bontà della strategia (“Chi è andato allo scontro rischia di non vedere un euro”), e tiene a specificare che “a Coldiretti non spetta alcuna percentuale sull’importo concordato per l’esproprio, il che sarebbe assolutamente deprimente”. —

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