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Altre Economie

Le ombre di Genova arrivano a L’Aquila

Dopo otto anni il summit del G8 torna in Italia. La mobilitazione di allora ne ha cambiato l’agenda? Qualcuno potrebbe dire che senza le violenze di strada, l’omicidio di Carlo Giuliani, l’assalto alla scuola Diaz, le torture nella caserma di…

Tratto da Altreconomia 106 — Giugno 2009

Dopo otto anni il summit del G8 torna in Italia. La mobilitazione di allora ne ha cambiato l’agenda?

Qualcuno potrebbe dire che senza le violenze di strada, l’omicidio di Carlo Giuliani, l’assalto alla scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto, del G8 di Genova non ricorderemmo quasi nulla. In parte è vero, perché quel vertice, dal punto di vista degli otto capi di Stato e di governo riuniti dentro la “zona rossa”, non produsse granché. E tuttavia le giornate del luglio 2001 hanno costituito uno dei punti più alti delle mobilitazioni “antiliberiste” su scala internazionale. Alla vigilia di un nuovo summit “italiano” (all’Aquila dall’8 al 10 luglio), la domanda è: che cosa è rimasto di Genova G8? Che eredità ha lasciato?
I potenti. Nella foto di gruppo che sarà scattata fra le macerie dell’Abruzzo all’inizio dei lavori, vi sarà un unico volto già presente sugli scalini di Palazzo Ducale nel 2001, quello di Silvio Berlusconi (oggi 73 anni). Gli altri leader hanno lasciato la scena. Il nostro premier potrà vantarsi della propria longevità politica coi nuovi colleghi ma lo farà in un contesto internazionale profondamente cambiato. Il summit detto impropriamente degli “otto grandi” -in realtà G8 sta per “gruppo degli otto”- dal 2001 ad oggi ha perso molto del suo peso specifico. È vero che il vertice è da molto tempo una vetrina, un’esibizione di potere, più che un luogo di autentico confronto politico e diplomatico, ma in questi otto anni i processi di globalizzazione, che nel 2001 gli “otto” si proponevano comunque di governare, hanno cambiato gli equilibri internazionali. Alcune potenze emergenti hanno guadagnato la prima fila -Cina, India e anche Brasile sono diventati molto più influenti- e inoltre la crisi finanziaria internazionale ha imposto “nuovi luoghi” di decisione e di incontro fra i potenti della Terra. Il recente G20 di Londra (aprile 2009) ha avuto un ruolo politico importante, che il G8 in Abruzzo non potrà nemmeno imitare. Nella capitale britannica, presenti i rappresentanti delle 20 economie più forti del mondo (inclusi quindi Paesi come Cina, India, Brasile, Argentina, Corea del Sud), che assommano l’85% del prodotto lordo mondiale, è stato deciso di stanziare 1.100 miliardi di dollari per sostenere il sistema finanziario e rilanciare la crescita economica. Il G8 abruzzese non avrà in agenda niente di simile. L’Italia, in quanto presidente di turno, ha preparato una traccia di programma, che include i maggiori temi dell’attualità internazionale: lotta ai cambiamenti climatici, dialogo con l’Africa e i “Paesi emergenti”, e gli immancabili “Obbiettivi del millennio” definiti nel 2000: lotta alla povertà e alle malattie infettive, promozione dell’istruzione, della parità fra i sessi etc. È un elenco di temi quasi scontato, di maniera. Rispetto al 2001 c’è una maggiore coscienza dell’emergenza ambientale, ma il vertice G8 difficilmente scenderà in profondità.  Nel 2001 il principale frutto del vertice fu la decisione di finanziare un Fondo globale contro l’Aids, la malaria e altre malattie epidemiche, in tutto 16 miliardi di dollari: non molto, rispetto alla reale entità dei bisogni.
Stavolta il governo italiano sembra interessato soprattutto a tessere buone relazioni con i Paesi chiave della sponda Sud del Mediterraneo. Mubarak (Egitto) e Gheddafi (Libia) sono attesi in Abruzzo come ospiti d’onore, grazie ai ruoli strategici che rivestono per le politiche energetiche e migratorie (cioè di contrasto all’immigrazione dall’Africa).
I movimenti. Genova G8, in definitiva, merita un posto nella storia politica europea perché si riunì nella città il più grande movimento sociale visto in Europa nel dopoguerra. Il Genoa social forum -la rete che organizzò le mobilitazioni- arrivò a contare oltre mille organizzazioni. E nei  seminari, nei convegni, nelle iniziative del “Global Forum” dipanatosi nella  settimana dal 16 al 21 luglio 2001, prese forma un’agenda politica che a distanza di otto anni si rivela per molti aspetti pertinente e proiettata nel futuro. Il movimento portò all’attenzione della grande opinione pubblica temi allora trascurati come la concentrazione del potere economico e politico nelle mani di poche organizzazioni sovranazionali escluse da ogni controllo democratico (Wto, Banca mondiale, Fmi); la privatizzazione dell’acqua, delle sementi e in prospettiva dei servizi pubblici essenziali; la deregulation finanziaria; l’enorme peso del debito gravante sui Paesi più poveri; l’insostenibile sfruttamento delle risorse naturali. Alcuni di questi temi sono entrati nell’agenda ufficiale dei governi.
La regolamentazione dei mercati finanziari, ad esempio, è oggi un’esigenza riconosciuta, e vi si avverte l’eco delle posizioni espresse nel 2001 da un’associazione come Attac, che proponeva l’applicazione di una tassa sulle speculazioni finanziarie transnazionali (la cosiddetta Tobin Tax) e la messa al bando dei “paradisi fiscali” (altro tema affrontato, sia pure in modo limitato, al G20 di Londra). Il ruolo di organismi come Wto, Banca mondiale e Fmi negli ultimi anni è diventato un importante argomento di lotta politica, specie in America Latina (comincia ad affacciarsi anche in Europa, specie all’Est), e quella che pareva una marcia inattaccabile di organismi potentissimi ha conosciuto grossi intoppi, come il sostanziale fallimento del “Doha Round” e l’emersione o il rafforzamento delle organizzazioni “regionali” in Asia e America Latina.
Lo stesso allarme per i cambiamenti climatici, rilanciato dagli scienziati incaricati dall’Onu e premiati col Nobel per la pace, è il frutto più maturo delle campagne ambientaliste internazionali, parte attiva del movimento globale.
Un’altra intuizione si è rivelata importante, più di quanto non apparisse all’epoca: l’idea della cittadinanza universale, espressa a Genova con il “corteo dei migranti” di giovedì 19 luglio 2001. Quel giorno sfilarono migliaia di persone provenienti da tutti i continenti: rivendicavano uguali diritti di cittadinanza, indicando quindi una connessione diretta fra l’economia globalizzata e la negazione dei diritti civili. L’apertura dei mercati si è puntualmente accompagnata -pensiamo all’Europa- a forti restrizioni alla mobilità delle persone: la “marcia dei migranti” su un’anticipazione non capita.
Un uomo solo. In Abruzzo vedremo ben poco della grande mobilitazione popolare del 2001. Quella connessione politica e sentimentale che riunì centinaia di organizzazioni e oltre 300mila persone è venuta meno. Restano le competenze, le sperimentazioni, le proposte radicate nei gruppi di base ormai in tutto il mondo. Il movimento per un Contratto mondiale per l’acqua, Via Campesina (rete di organizzazioni contadine), le Reti di economia solidale (soprattutto in America Latina) sono probabilmente le esperienze oggi più solide, insieme con il Forum sociale mondiale che continua a riunirsi periodicamente. Altre innumerevoli campagne, lotte, sperimentazioni sono in corso in tutto il mondo. Manca però uno sfondo comune, un modello di economia e di società da proporre come compiuta alternativa al traballante sistema attuale. Intanto all’Aquila Berlusconi sarà l’unico “superstite” di Genova G8 a tenere la scena: mai come in quel momento incarnerà una visione del passato.

Volti nuovi tranne uno
Silvio Berlusconi è rimasto solo. I leader che aveva a fianco a Genova, non saranno all’Aquila. Alcuni sono ormai pensionati -George W. Bush (65 anni), Jacques Chirac (77), il canadese Jean Chrétien (75)- o ai margini della vita pubblica, come il giapponese Junichiro Koizumi (67). Altri hanno trovato nuovi impegni lontano da ogni funzione di governo. È il caso di Tony Blair (56), passato ad occuparsi di Medio Oriente come “inviato” del “Quartetto” (Onu, Usa, Ue e Russia), e di Gherard Schroeder (65), il cancelliere tedesco divenuto presidente del consorzio che gestisce un gasdotto che unisce la Russia all’Europa occidentale. Solo Vladimir Putin è rimasto nelle stanze del potere, come Primo ministro russo, ma ha dovuto cedere la presidenza al suo delfino Dmitrij Medvedev (45).

Oltre il confine
UNA POLIZIOTTA RACCONTA L’ASSALTO ALLA DIAZ

Simona Mammano ha ricostruito il sanguinoso blitz della polizia alla scuola Diaz (Genova, 21 luglio 2001, 83 feriti, 93 arrestati) mettendo in fila gli atti del processo: la memoria finale dei pm Enrico Zucca e Riccardo Cardona Albini e la sentenza del tribunale, presieduto da Gabrio Barone. Assalto alla Diaz non è il primo e non sarà l’ultimo libro sul G8 di Genova e i processi che ne sono seguiti. La particolarità è che Simona Mammano è una poliziotta. Nelle poche righe in cui esprime giudizi -per il resto fa parlare gli atti processuali- scrive così: “Quella descritta nelle pagine che seguono non è tutta la polizia. Non è quella polizia dentro la quale lavoro da venti anni, quella in cui credo”.
Simona, che cosa ti ha offeso di più dell’assalto alla Diaz?
“La volontà di mascherare, di nascondere, di depistare. Quando si compiono errori così, bisogna riconoscerlo e dire: abbiamo sbagliato. Questo non è avvenuto. Anche i sindacati di polizia hanno scelto una difesa corporativa. Solo il segretario del Silp Cgil, Claudio Giardullo, disse a chiare lettere che l’assalto alla Diaz non doveva avvenire”.
Michelangelo Fournier, il funzionario (condannato a due anni) che parlò di “macelleria messicana”, ha giustificato il suo silenzio con lo “spirito di corpo”.
“Lo spirito di corpo in polizia è qualcosa di borderline. Io ho lavorato per molti anni nelle volanti, poi sono passata alla procura e non sono più lì dal ’97, ma sono sempre in contatto con le persone del mio turno. Siamo ancora uniti. Questo è lo spirito di corpo. Se però si passa il confine, si arriva al corporativismo”.
Si passa spesso questo confine?
“Si tende a passare. Anche se va detto che Fournier è stato uno dei pochi a presentarsi al processo e a rispondere ai pm”.
Come valuti la scelta compiuta da quasi tutti gli imputati (compresi i dirigenti di grado più alto), di non rispondere?
“Hanno compiuto una scelta prevista dalla legge, ma ritengo che non sia stata una scelta corretta per i dirigenti. I dirigenti imputati dovevano presentarsi tutti in aula, accettare il contraddittorio coi pm e rispondere a tutte le domande. I poliziotti, tutti i giorni, quando partecipano a inchieste della magistratura, sperano che gli imputati accettino di rispondere al dibattimento. Stavolta alcuni poliziotti si sono trovati dall’altra parte e hanno scelto il silenzio…”.
Carlo Bonini nel suo libro Acab offre uno spaccato della polizia: emerge una forte ideologizzazione, con ampia retorica fascista.
“Bonini ha descritto l’odio che prende forma. Quando ero nelle volanti, mi capitava di pensare che i cittadini non ci apprezzassero, che ci guardassero con ostilità. Ci si sentiva soli e così si rafforzava il corporativismo”.
E l’ideologizzazione a destra?
“C’è. E c’è sempre stata. Oggi in polizia è più facile che si ‘scoprano’ quelli che hanno concezioni così, per cui gli altri, che pure ci sono, per quieto vivere preferiscono tacere”.
Non credi che sia un pericolo?
“Penso che questa situazione non potrà cambiare, se nessuno avrà il coraggio di opporsi e dire come la pensa. Io vorrei tanto che il mio libro servisse a far esprimere le culture che ci sono in polizia e che oggi tacciono. So che questo libro mi creerà dei problemi, ma già raccolgo consensi da parte di tanti colleghi…”.
Che cosa avrebbe dovuto fare la polizia di Stato dopo il G8?
“Io ricordo la vicenda della ‘Uno bianca’ a Bologna. Quando si venne a sapere che la banda era composta da poliziotti, il questore dell’epoca agì nella massima trasparenza, si aprì un dibattito dentro e fuori della questura. Con il G8 non è avvenuto”.
Che cosa servirebbe oggi?
“Servirebbe un dibattito vero sul ruolo della polizia nella società. Altrimenti i poliziotti si sentiranno isolati”.

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