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Economia

Le nostre vite libere da ogm – Ae 86

Al via dal 15 settembre la consultazione popolare “Italia-Europa liberi da ogm”. Un patto così tra agricoltori, consumatori, distribuzione e piccola industria non si era mai visto. Un’occasione da non perdere per tornare a parlare di modello di sviluppo e…

Tratto da Altreconomia 86 — Agosto 2007

Al via dal 15 settembre la consultazione popolare “Italia-Europa liberi da ogm”. Un patto così tra agricoltori, consumatori, distribuzione e piccola industria non si era mai visto. Un’occasione da non perdere per tornare a parlare di modello di sviluppo e qualità della vita


Una coincidenza fortuita. Che può essere un segno del destino. Quando a luglio la coalizione “Italia-Europa liberi da ogm” ha presentato il suo manifesto e l’obiettivo di farlo votare da almeno 3 milioni di italiani, la Commissione europea ha pubblicato il regolamento comunitario (che entrerà in vigore a gennaio 2009) sugli alimenti biologici che ammette una soglia di tolleranza per eventuali contaminazioni da ogm fino allo 0,9 per cento, e c’è stata una sollevazione. Parlare di contaminazione, per un prodotto biologico è una contraddizione in termini, così la notizia è finita sulle prime pagine dei giornali e ha trascinato con sé anche la presentazione, mai tanto tempestiva, della consultazione popolare “liberi dagli ogm”.

“Per il nostro mondo -spiega Andrea Ferrante, presidente di Aiab, l’associazione per l’agricoltura biologica- la decisione dell’Unione Europea ha rappresentato un gravissimo danno d’immagine, anche se non cambia nulla per il consumatore di prodotti agricoli bio. Il problema è politico: accettare l’idea di una contaminazione da ogm nasconde la volontà della commissione europea di andare incontro agli interessi di pochi importatori e di una parte dell’industria”.

Tutti in piazza dunque dal 15 settembre al 15 novembre per firmare la consultazione sul modello agroalimentare che desideriamo: ci saranno gli agricoltori (da Coldiretti ai produttori di biologico), i consumatori (da Codacons a Slow food), le associazioni ambientaliste e persino una parte della piccola industria di trasformazione agroalimentare. Un’alleanza inedita e sorprendente. Per il momento invece Federalimentare, cioè la grande industria, sta a guardare.

Il manifesto della consultazione fa esplicito riferimento al “no agli ogm” per richiamare l’obiettivo di un continente libero da questo tipo di coltivazioni; ma in gioco, a ben vedere, c’è molto di più: la centralità del settore agroalimetare per lo sviluppo economico del Paese, la qualità della vita, la difesa dell’ambiente. Un patto sociale forte che leghi agricoltori, consumatori, industria e distributori. “La produzione di alimenti sani e genuini -recita il manifesto della coalizione- si collega strettamente alla tutela dell’ambiente e del paesaggio e diviene dunque fattore di equilibrio progressivo fra i viventi e il territorio”.

Spiega Ivan Verga, direttore della Fondazione diritti genetici (il presidente è Mario Capanna, leader del ‘68, poi parlamentare, oggi impegnatissimo in questa battaglia, e la Fondazione è un centro di ricerca e divulgazione e contro-lobby sulle biotecnologie) che è uno dei motori della campagna: “I prossimi saranno due mesi di dibattito pubblico, al di fuori delle aule universitarie e delle stanze degli esperti, due mesi di confronto in cui le posizione, le idee, i modelli di sviluppo saranno tutti sul tavolo. E la gente dovrà scegliere. Come sugli ogm: la gente non li vuole, ma un certo modello di agrobusiness  non ne può fare a meno. Invece questo è il momento in cui puntare sulla valorizzazione del territorio, delle filiere corte, facendo contare le identità. Le adesioni raccolte dalla coalizione dimostrano che ormai, anche nelle organizzazioni dei produttori, è chiara la coscienza che è finita l’epoca in cui la ricetta economica della globalizzazione era uguale per tutti”.

Sono molti, anche tra i ricercatori, che riconoscono ormai che le piante transgeniche in commercio non hanno offerto alcun vantaggio per i consumatori, nè di qualità nè di prezzo. E non hanno risolto il problema della fame in Africa. La maggior parte degli ogm (oggi soia, mais, colza e cotone) sono infatti destinati all’alimentazione degli animali, cioé alla produzione di carne per i Paesi ricchi. Inoltre secondo alcuni (per esempio Friends of the earth international) le colture transgeniche hanno incrementato l’uso di pesticidi anziché diminuirlo.

“Non c’è ragione per dire di sì agli ogm -ribadisce Carlo Modonesi, direttore scientifico della Fondazione diritti genetici-. L’agricoltura è sempre stata legata al territorio, tranne che negli ultimi cinquant’anni. In questo senso gli ogm sono l’ultima tappa di un processo di industrializzazione. Ma ormai è chiaro a tutti che l’Italia deve semmai competere sul piano della grandissima qualità, della varietà e della genuità”.

“È questo -continua Verga- che forse la grande industria non sa ancora cogliere: l’opportunità per un grande patto con il mondo degli agricoltori e quello dei consumatori sul ‘made in Italy’. Sarebbe un volàno straordinario di marketing e di sviluppo sostenibile”.



Resta da vedere se la partita sugli ogm è ancora da giocare o è irrimediabilmente persa? “La partita -risponde Verga- è tutt’altro che persa: in Italia alcuni anni fa alcune regioni si sono dichiarate ogm free. Si è realizzato un network tra queste regioni e i circa 3 mila Comuni che hanno fatto altrettanto. Poi la Toscana ha avuto l’intuizione di internazionalizzare la campagna, e ora in Europa sono 52 le regioni che si dichiarano ‘libere da ogm’. A dicembre si incontreranno a Bruxelles per verificare la possibilità di realizzare un consorzio per fare acquisti collettivi, in particolare per l’alimentazione animale, con la garanzia dell’ogm free: il Brasile è in grado di esportare già oggi milioni di tonnellate di soia garantita libera da ogm. E poi non c’è solo l’Europa: l’Australia per esempio ha autorizzato a livello federale la produzione di colza transgenica ma 7 Stati su 9 hanno detto di no proclamando una moratoria. Gli ogm non sfondano nel mondo, anzi determinano un ritorno di governance politica”. Nello scorso aprile le “Regioni libere da ogm” si erano già incontrate per discute di coesistenza fra agricoltura transgenica e convenzionale, perdita della biodiversità e concorrenza tra produzione di generi alimentari e carburanti. Battaglia aperta dunque, anche perché Confindustria e le aziende del biotech, non fanno nessun passo indietro e continuano ad accusare di oscurantismo chiunque si azzardi a sostenere l’idea di un’Italia libera dagli ogm. L’iniziativa della consultazione popolare ha il pregio di portare allo scoperto le posizioni.

Lombardia e Veneto, in testa alla produzione agroalimentare e con governi regionali ambigui sugli ogm, saranno due delle regioni in cui si realizzeranno più iniziative. Per due mesi si potrà comunque partecipare o direttamente o esprimendo il proprio voto attraverso il sito www.liberidaogm.it. Se la mobilitazione funzionerà, come dice Ivan Verga “probabilmente non saremo più gli stessi. È la prima volta infatti che il mondo dell’agricoltura, quello scientifico, la distribuzione, i consumatori e anche artigianato e piccola industria si muovono insieme sul tema dello sviluppo desiderabile. È un grande esperiemento di ri-coesione sociale in Paese che è sempre più ridotto a essere soltanto un condomio”.



Macché soglia, attenti invece alla “convivenza”

0,1 per cento o 0,9? Secondo il recente regolamento Ue, un prodotto biologico potrà continuare ad essere considerato tale anche in presenza di una eventuale contaminazione da ogm dello 0,9 per cento, così come già avviene per i prodotti agroalimentari non bio. Per l’Italia che è il maggior produttore europeo di agricoltura biologica e che punta alla tolleranza zero è uno schiaffo. Ma l’obiettivo politico vero della Commissione Ue non è tanto la soglia di tolleranza quanto, come spiega Andrea Ferrante (nella foto), presidente di Aiab, le cosiddette “leggi sulla coesistenza”, cioè quelle che possono di fatto chiudere le porte alle coltivazioni ogm in Europa. La Germania ha approvato una legge molto rigida, e altrettanto potrebbe fare la legge quadro italiana attualmente all’esame della commissione agricoltura della Camera. Il futuro del bio in Italia passa da qui. Se ne riparla dopo l’estate.



Il gelato con il pesce artico dentro

Tra due anni potrebbe essere commercializzato in Europa il primo gelato transgenico perché contenente una proteina di un pesce artico prodotta da un lievito ogm (la proteina è già utilizzata in altri Paesi tra cui Australia, Cile e Usa). A chiedere l’autorizzazione in Gran Bretagna è stata Unilever (proprietaria tra l’altro di Algida e altri marchi). La proteina favorirebbe la lavorazione e la conservazione dei prodotti che richiedono bassissime temperature. Il prodotto ricade nella categoria dei Novel food e, in base al regolamento dell’Unione Europea, prima di essere autorizzato deve superare la valutazione di rischio di un apposito comitato di esperti. Che ora ha dato parere positivo. Per timore di allergie, gli inglesi hanno già deciso che la derivazione da lieviti ogm della proteina dovrà essere indicata in etichetta (cosa di per sé non obbligatoria).

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