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Le molotov scomparse: una notizia triste e una questione di democrazia. Lorenzo Guadagnucci scrive ai ministri Amato e Mastella


Signori ministri Amato e Mastella,

sono un cittadino che ha vissuto nell’estate del 2001 una vicenda spaventosa. La notte del 21 luglio ero all’interno della scuola Diaz, a Genova: sono entrato verso le 22 per dormire e ne sono uscito intorno alle 2 su una barella, con ossa rotte, varie ferite e anche in stato d’arresto, con accuse del tutto fantasiose: associazione a delinquere finalizzata a devastazione e saccheggio, detenzione abusiva di armi, addirittura resistenza a pubblico ufficiale.

In realtà, com’è ormai noto, io e gli altri 92 che hanno condiviso la mia sorte siamo stati vittima di un brutale pestaggio compiuto dalla Polizia di stato, e di un arresto infondato e illegittimo. 

È in corso il processo contro 28 agenti e funzionari di Polizia. Ieri dal tribunale è arrivata la notizia che non si trovano più le due bottiglie incendiarie, portate lì dalla polizia e usate come “prova” per il nostro arresto. Questa notizia mi riempie di tristezza. Spero ancora, come tutti, che le molotov saltino fuori subito, che la questura si scusi e che il processo possa proseguire regolarmente, ma questa “scomparsa” si aggiunge alle altre “anomalie” notate durante l’inchiesta e il processo. Tutte insieme compongono un quadro che mi rattrista, e un po’ mi angoscia, come cittadino prima ancora che come parte civile del processo.

Come saprete, e come testimoniato in aula dal funzionario che condusse l’indagine interna dopo la “notte della Diaz”, la polizia di stato ha in vario modo ostacolato il lavoro dei magistrati. Ha fornito liste incomplete degli agenti impegnati nella “perquisizione” della scuola e foto vecchie degli agenti, inservibili ai fini dei riconoscimenti personali.

Ha sostenuto, contro ogni evidenza, che la “perquisizione” fu condotta senza che vi fosse una catena di comando, nonostante la presenza fisica, nel cortile della scuola, di altissimi dirigenti nazionali.

Ha sostenuto di non poter identificare, come se nessuno li conoscesse, alcuni specifici agenti individuati tramite foto e immagini: ad esempio il poliziotto con la coda di cavallo (quanti potevano avere una simile capigliatura?) ripreso mentre trascina una ragazza in un corridoio, o l’agente con la camicia bianca che io stesso -forse- avrei potuto riconoscere in un confronto faccia a faccia. Ora si aggiunge l’incredibile vicenda delle molotov. Se queste fossero davvero scomparse, sarebbe un intollerabile attentato all’amministrazione della giustizia, e quindi alla nostra costituzione. Sono sicuro che vorrete intervenire con forza di fronte a un simile affronto, e che anzi abbiate già chiesto chiarimenti alla questura di Genova e ai vertici della Polizia di stato.

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C’è stato anche un altro modo, signori ministri, con il quale l’amministrazione di polizia ha influito sul processo in corso e quindi sul tentativo dei magistrati di accertare i fatti e di fare giustizia. È qualcosa che vi riguarda direttamente: sto parlano delle promozioni, del tutto inopportune, con le quali in questi anni sono stati premiati i principali imputati del processo Diaz. Credo che concorderete con me -e con Amnesty International e con tutti gli osservatori internazionali indipendenti, inclusi alcuni governi di paesi europei, quelli che protestarono nel 2001 per il trattamento ricevuto da loro cittadini (alla Diaz eravamo solo in 15 italiani su 93)- quando dico che con la “perquisizione” alla Diaz è stata scritta una delle pagine più nere nella storia della polizia nel dopo guerra.

Il blitz si è risolto in un pestaggio sistematico, con un arresto collettivo motivato con prove false e spiegato all’opinione pubblica con argomenti del tutto inventati (ci hanno fatto passare per violenti teppisti e hanno anche sostenuto che le nostre ferite erano “pregresse”). In queste condizioni, e a processo aperto, in qualsiasi paese i dirigenti in questione sarebbero stati sospesi dai loro incarichi dirigenziali e le loro carriere ne avrebbero inevitabilmente risentito, a prescindere dai meriti eventualmente acquisiti in precedenza.

In Italia no. Da noi i cinque o sei dirigenti sotto processo sono stati addirittura promossi, e intanto si ostacolava il lavoro dei magistrati. In questo modo, signori ministri, si condiziona il lavoro dei giudici e non si tutela il buon nome della polizia, ne’ si preserva il diritto degli agenti -di tutti gli agenti in servizio- ad appartenere a un corpo dello stato guidato da dirigenti probi e al di sopra di ogni sospetto.

Tutti i cittadini hanno diritto ad avere una Polizia efficiente, credibile, leale.

Ho pensato in questi anni che il silenzio della politica e dello stato di fronte a questi fatti, quindi l’avallo assicurato agli ostruzionismi e alle promozioni inopportune, fossero una scelta politica -che io giudico pericolosa per la nostra democrazia- compiuta dal precedente governo. Mi pare invece che anche voi -ministro degli interni, competente sulla polizia di stato, e ministro della giustizia, garante del pieno esercizio della funzione giudiziaria- di fronte a questa vicenda abbiate scelto la strada del silenzio, e quindi dell’avallo.

Non me l’aspettavo. Ora devo prenderne atto: la fiducia che nutrivo, all’indomani del 21 luglio 2001, nelle istituzioni dello stato e nella loro capacità di cancellare quell’abisso di illegalità che ho vissuto sulla mia stessa pelle, era mal riposta. Vivo le notizie di questi giorni come una sconfitta, che mi riempie di tristezza e mi fa temere per il futuro della nostra democrazia.

Credevo di potere contare su di voi nella battaglia per la legalità e i diritti costituzionali che ho intrapreso, con molti altri, dopo il luglio del 2001.

Mi sbagliavo.



Saluti da un cittadino deluso,

Lorenzo Guadagnucci*



Firenze, 18 gennaio 2007 * Lorenzo Guadagnucci, giornalista professionista del Quotidiano nazionale è collaboratore storico di Altreconomia. Ha scritto il libro “Noi della Diaz”

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