Salute / Opinioni
Le mestruazioni restano un tabù della salute globale

Il ciclo interessa almeno 1,8 miliardi di persone nel mondo ed è ancora causa di forti discriminazioni. In molti casi l’accesso ai servizi resta un privilegio. Gaza lo dimostra. La rubrica di Nicoletta Dentico
Riusciamo a immaginare che cosa voglia dire essere una donna con il ciclo mestruale in un contesto di guerra e distruzione, senza più una casa e un bagno, alla costante ricerca di un riparo? Quale sia ad esempio la condizione delle 700mila donne e ragazze mestruate a Gaza: sotto bombardamenti perenni, senza acqua, sapone, intimità, senza le condizioni minime per gestire il sangue che ogni mese fluisce dal proprio corpo?
Il 90% delle strutture idriche e igieniche è distrutto, solo una minima parte dei dieci milioni di pannolini necessari ogni mese raggiunge la Striscia, così le donne si inventano improbabili soluzioni nella sporcizia generale, con serie conseguenze di salute.
Donne immonde. Questa è la narrazione che i testi sacri hanno accuratamente stratificato nei secoli per bollare il destino di assoggettamento di metà dell’umanità dovuto al ciclo mestruale. Creature impure. Marchiate per buona parte della vita da quel flusso di sangue, manifestazione biologica di una capacità generativa esclusa al genere maschile ma al contempo evento che suscita vergogna, silenzio, segretezza. La Bibbia sostiene che è bene tenersi alla larga dall’impurità delle donne mestruate. La legge ebraica proibisce i rapporti sessuali con una donna con il ciclo (niddah) e “tutti quelli che la toccano saranno ritualmente impuri fino al tramonto” (Levitico). Il cristianesimo si è servito delle mestruazioni per giustificare l’esclusione delle donne da posizioni di autorità nella gerarchia ecclesiastica.
Il Corano rivolge agli uomini l’invito ad attendere la purificazione delle donne dal ciclo mestruale “prima di giacere con loro”, in più alcune pratiche proibiscono alle donne mestruate di pregare, praticare il Ramadan, toccare il Corano, entrare in moschea o alla Mecca. L’induismo dal canto suo ha costruito un’immagine delle mestruazioni come una maledizione da combattere con l’isolamento. Non sono pochi i Paesi e le culture che tutt’oggi relegano le donne nelle cosiddette “capanne mestruali”, lontane dalla casa e senza servizi igienici, come forma di normalizzata punizione per un evento biologico che non si può controllare e come strategia di tutela per il maschio e la famiglia da presunte contaminazioni. Un caso di specie è il Nepal, dove la pratica del “chhaupadi” (la capanna mestruale, appunto) continua a imperversare tra il 77% delle donne nonostante sia fuorilegge dal 2018.
I giorni di lavoro “persi” in media in un anno in Italia a causa delle mestruazioni sono 5,6 (Fonte: WeWorld-Ipsos 2024)
L’umanità ha moltiplicato lessemi e locuzioni per evitare di pronunciare la parola, eppure secondo l’Unicef almeno 1,8 miliardi di donne, persone in transizione e non binarie hanno le mestruazioni ogni mese nel mondo. Divari di genere, norme sociali discriminatorie, barriere strutturali e povertà, impediscono ancora a milioni di loro l’accesso a informazioni, servizi, risorse, prodotti di cui hanno bisogno ogni mese, ciò che limita l’accesso a una vita degna, non solo in termini sanitari. Eppure, la salute mestruale -una vicenda fondativa nell’esperienza del corpo delle donne- rimane un ostinato tabù in tutti i ragionamenti sulla parità di genere, sulle diseguaglianze che separano donne e uomini negli ambiti della vita sociale ed economica. Solo nell’ultimo decennio, su spinta di iniziative volte a combattere lo stigma, le mestruazioni hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica.
E la povertà mestruale è un fenomeno vissuto da tutte coloro che non hanno accesso a informazioni, prodotti, spazi e condizioni adatte (acqua e non solo) per gestire le mestruazioni. Sono il 30% delle donne sudafricane in età riproduttiva, il 25% in Etiopia, dove il 17% delle ragazze perde le lezioni perché nelle scuole mancano bagni e acqua corrente. Gli assorbenti sono ancora inaccessibili e costosi. Gli assorbenti come simbolo di diritti umani ancora inevasi. Chi lo avrebbe detto nel 2025, vero?
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici senza frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development
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