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Le mafie, le “grandi opere” e il precedente della Salerno-Reggio Calabria per guardare al Ponte

Vittorio Mete, sociologo all’Università di Firenze, ha studiato approfonditamente il ruolo della criminalità organizzata nei lavori di ammodernamento della A2, ultimati nel 2016. Un caso diventato “modello” dell’infiltrazione mafiosa che è stata possibile grazie alla collusione di tanti soggetti diversi, comprese le grandi imprese che hanno realizzato l’opera. L’abbiamo intervistato per capire i rischi attuali sull’infrastruttura miliardaria tra Villa San Giovanni e Messina, fortemente voluta dal Governo Meloni
Tra le questioni più “calde” discusse a proposito del contestato progetto del Ponte sullo Stretto di Messina c’è il ruolo delle mafie nel corso dei lavori. Un ruolo che queste ultime effettivamente hanno già avuto nella costruzione di un’altra “grande opera” che ha riguardato il territorio calabrese, ovvero l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, il cui ammodernamento è stato ultimato nel 2016.
L’attività della ‘ndrangheta in quei lavori è stata oggetto di un’approfondita ricerca da parte di Vittorio Mete, sociologo dell’Università di Firenze, pubblicata nel volume curato da Rocco Sciarrone e intitolato “Alleanze nell’ombra. Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno” (Donzelli editore). Ne abbiamo parlato con lui per capire possibili analogie e differenze con quello che potrebbe accadere oggi.
Professor Mete, a un certo punto della sua ricerca scrive che “nel campo dei grandi appalti pubblici i gruppi criminali si trovano particolarmente a loro agio”. In che senso?
VM Questa affermazione nasce dal fatto che, soprattutto in quella fase storica, le mafie concentravano le loro attività su settori che non richiedono un grande uso di tecnologia e che si trovano a ridosso della regolazione statale, in cui i mafiosi possono mettere a frutto le loro risorse e competenze specifiche come il controllo del territorio, cioè delle relazioni sociali che si esplicano su di esso.
Nel suo lavoro mette in luce un vero e proprio “modello” di infiltrazione che ha riguardato i lavori lungo tutto il tratto calabrese della Salerno-Reggio Calabria, può descrivercelo?
VM I mafiosi, anche quelli delle aree non attraversate dall’autostrada, mettono in piedi un tavolo regionale di coordinamento e poi dei tavoli di area territoriale che esprimono un solo esponente criminale legittimato a trattare con le grandi imprese nazionali e con le imprese locali per riuscire, sostanzialmente, a portare a casa risorse economiche sotto varie forme. Dall’altro lato abbiamo la grande impresa nazionale che è interessata a portare a casa il risultato e cioè non rimanere impigliata nelle maglie dell’antimafia, non rimanere vittima della violenza mafiosa e poter fare più soldi possibili. Come? Realizzando truffe ai danni di Anas (Azienda nazionale autonoma delle strade statali, ndr): in particolare sovraffatturazioni, i cui proventi poi vengono divisi con i mafiosi. Si tratta di un sistema complesso che mette insieme i mafiosi, la grande impresa nazionale e, attraverso la corruzione, chi avrebbe dovuto controllare. Un sistema che sostanzialmente si replica di territorio in territorio, da casello a casello.
Ma i mafiosi che cosa volevano ottenere dai lavori dell’autostrada?
VM Principalmente una percentuale sui lavori ma anche il controllo su subappalti e forniture che è anche un modo per ribadire la propria reputazione ed egemonia su quel territorio dimostrando che “chi vuole lavorare deve passare da me”. Così il gruppo mafioso ribadisce la sua funzione di regolatore sul territorio. Ci sono tante vicende in cui i mafiosi si fanno garanti di posti di lavoro, ma anche di appalti per i servizi di lavanderia, per la mensa e così via.
C’è stato un ruolo di “risolutore dei problemi” da parte dei gruppi mafiosi?
VM Sì, anche questa è una delle risorse che i gruppi mafiosi portano in dote. Un esempio è quello degli espropri: i gruppi mafiosi, in alcuni casi, sono riusciti ad accelerare queste procedure che notoriamente possono durare molto a lungo. In un altro caso l’uomo chiave, il frontman, dei gruppi mafiosi era un sindacalista che aveva anche la funzione di controllare e tacitare le richieste sindacali dei lavoratori sui cantieri. Sul territorio, in alcuni casi, le grandi imprese nazionali cercano i mafiosi per riuscire a svolgere il loro ruolo in maniera più spedita.

Come ne è uscita la ‘ndrangheta dai lavori della Salerno-Reggio Calabria?
VM So che è un’opinione controcorrente ma credo che ne sia uscita indebolita perché nel gioco tra grande impresa nazionale e gruppi criminali, alla fine sono questi, dal punto di vista giudiziario, ad aver pagato un prezzo molto più caro rispetto ad altri soggetti con cui hanno portato avanti attività illegali come le truffe. Loro hanno commesso la leggerezza, veramente inspiegabile, di riunirsi ripetutamente tutti insieme a volto scoperto a Bosco di Rosarno (RC) per organizzarsi e per dividersi la torta, contravvenendo così alla prima regola dei gruppi criminali: compartimentare le informazioni. Nel momento in cui una persona di quelle che partecipava alle riunioni ha iniziato a collaborare con la giustizia, tutta l’impalcatura è venuta giù. Dal punto di vista dei guadagni, un magistrato che ho intervistato a questo proposito ha utilizzato una metafora eloquente: “Qui è successo come i conquistadores con gli indios, cioè i conquistadores hanno portato via l’oro e hanno lasciato qui i vetrini colorati”. Fuor di metafora le grandi imprese nazionali hanno portato via il valore di dieci miliardi di euro dell’appalto complessivo e hanno lasciato sul territorio soltanto le briciole delle estorsioni.
Da questa vicenda le imprese nazionali che hanno lavorato a questa opera non sembrano uscirne come vittime delle mafie.
VM È difficile generalizzare, le cose sono complesse, però in molti casi le grandi imprese nazionali non solo hanno fatto buon viso a cattivo gioco ma in alcuni casi hanno anche utilizzato i gruppi criminali per realizzare le truffe grazie alle quali aumentava l’ampiezza della torta da spartirsi. Poi grazie alla compiacenza dei controllori hanno potuto usare materiale più scadente, che quindi costava meno e che, quindi, si usurerà prima. Le imprese, a seconda dei momenti, hanno anche cambiato o fatto finta di cambiare atteggiamento. I magistrati hanno lamentato, nelle interviste che ho fatto, ma anche nelle dichiarazioni pubbliche, una carenza di collaborazione delle grandi imprese nazionali che al più si limitavano a denunciare piccoli atti intimidatori.
È passato del tempo dalla fine dei lavori della Salerno-Reggio Calabria e diverse cose sono cambiate sia nella mafia sia nell’antimafia, che cosa ancora può dirci quella vicenda rispetto all’oggi e al progetto del Ponte?
VM La cosa importante è evitare di mettere necessariamente la mafia sempre in primo piano. Dico sempre, anche agli studenti, che la mafia da sola non riesce a fare nulla perché ha sempre bisogno di altri attori. Non è una novità, ovviamente. È però importante continuare a sottolineare questo aspetto perché ci sono narrazioni a volte un po’ troppo superficiali, per cui “il problema è la mafia”. In realtà il problema è la coalizione di soggetti a cavallo tra legale e illegale che si serve della mafia e che entra in relazione con la mafia per portare avanti i propri affari. Paradossalmente è proprio la presenza di mafiosi che può consentire di scardinare giochi criminali grazie all’efficacia delle politiche e degli strumenti antimafia. Per questo, secondo me, sulla questione del Ponte sullo Stretto, gli occhi devono essere puntati non soltanto sulle mafie, ma sul contesto imprenditoriale che si coagula attorno alle attività che si sviluppano sul territorio. Occorre anche guardare a che cosa succede prima che arrivino i lavori: nel caso della Salerno-Reggio Calabria, per esempio, in un territorio in cui gli equilibri criminali non erano chiari, c’erano stati degli omicidi di imprenditori che anticipavano gli accadimenti che sarebbero seguiti all’apertura dei cantieri. Dunque, occhi aperti e puntati sulla mafia, ma anche su quella area grigia di cui la stessa mafia fa parte.
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