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Le impronte digitali degli inceneritori

L’indagine epidemiologica è ciò che serve per fare una misura diretta degli effetti sulla salute da parte di una sorgente inquinante qualsiasi. Si concentra sugli effetti acuti, fornendo risposte in tempi rapidi. Il suo impiego, a Filago (BG) o a Vado Ligure, è stato fondamentale. Intervista al professor Paolo Crosignani, epidemiologo, che ha lavorato presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano

Una parte del mestiere del professor Paolo Crosignani consiste nello studio di quelle che lui stesso definisce le “impronte digitali” delle sorgenti inquinanti, in questo caso di un forno inceneritore. E non è un caso che, tra le ultime conferenze cui l’epidemiologo ha partecipato, ci sia stata quella di Civate, un piccolo Comune lecchese dove la comunità è fortemente preoccupata dal forno inceneritore che si trova a Valmadrera, paese confinante.
 
Il motivo per cui, in un venerdì di fine febbraio, oltre 200 persone sono accorse ad ascoltare Crosignani -già Primario della U.O. Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, e ideatore del Progetto Occam – Occupational Cancer Monitoring – Sistema Informativo Sui Tumori Di Origine Professionale- è riassunto in due parole: indagine epidemiologica. Del resto, la provincia di Lecco, pur ospitando dai primi anni 80 un inceneritore, non ne ha mai misurato le ricadute e gli effetti. Ed è per questo che quando la società che gestisce il ciclo dei rifiuti -SILEA Spa, 100% partecipata dai Comuni- ha chiesto e ottenuto da Regione Lombardia il via libera ad operare al massimo carico termico, pari a 123mila tonnellate di rifiuti bruciati all’anno, è nato un coordinamento locale di associazioni ispirato alla teoria “Rifiuti zero”.
 
Chiarezza e trasparenza in materia di salute pubblica sono i punti che il giovane coordinamento condivide con quei comitati cittadini sorti negli anni contro i 44 forni esistenti nel Paese o i 9 derivanti dal decreto Sblocca-Italia del Governo. Per ottenenerle, è necessario seguire le impronte care al professor Crosignani -anche se l’amministrazione comunale di Civate, dopo un primo accordo, ha fatto retromarcia sulla nomina dell’epidemiologo quale perito di parte nelle fasi dell’indagine che vorrebbe condurre direttamente SILEA Spa-.
 
Professore, che cosa si intende per indagine epidemiologica?
 
L’indagine epidemiologica è ciò che serve per fare una misura diretta degli effetti sulla salute da parte di una sorgente qualsiasi. Che può essere lineare -come il traffico- oppure puntuale -un inceneritore, un cementificio o quant’altro-. 
 
Come si sviluppa?
 
Si comincia a guardare un insieme di patologie di cui occuparsi. Per mia esperienza, i tumori non sono la prima patologia da considerare, perché presentano sino a vent’anni di latenza. Vogliamo aspettare vent’anni per misurare gli effetti sulla salute o vogliamo fare qualcosa che ci dia risposte rapide? Faccio l’esempio di Rezzato, con il cementificio di Italcementi, o Vado Ligure, dove la nostra indagine ha comportato il blocco della centrale a carbone di Tirreno Power, o a Filago, dove sorge un forno inceneritore. In questi casi abbiamo analizzato gli eventi acuti, probabilmente meno coinvolgenti rispetto all’incidenza dei tumori, che però non escludono assolutamente un approfondimento sui fattori cronici. Per eventi acuti intendiamo, ad esempio, ricoveri per infarto, malattie polmonari, influenza e polmonite, asma e così via. Concentrarsi sugli eventi acuti restituisce l’idea di quel che accade a livello di emissioni oggi. Misuriamo oggi quel che si può misurare oggi.
 
Dopodiché?
 
Si realizza uno studio caso-controllo che considera gli eventi ed un campione della popolazione sana, e si procede ad analizzare le aree dove si concentrano le maggiori ricadute per verificare se e come oggi vi siano più ricoveri e più eventi. 
 
Esistono alternative a questo tipo di indagine?
 
Come alternativa all’indagine epidemiologica viene presentato uno strumento privo di fondamento scientifico quando siamo interessati alle emissioni di una sorgente complessa, che è l’operazione chiamata "Risk assessment" (RA), sostenuta anche dalle parti di Regione Lombardia. Questo consiste nell’analisi delle emissioni di un impianto utilizzando degli equivalenti di effetti sulla salute a seconda delle sostanze considerate (es. gli ossidi di azoto). Faccio un esempio: se in una determinata area dovessero registrarsi cinque microgrammi in più di ossido di azoto, allora ci si dovrebbe attendere due ricoveri in più per asma. Tralasciamo per un istante il coacervo di sostanze che fuoriesce da un impianto e che non è nemmeno preso in considerazione -come ha recentemente illustrato Medicina Democratica, e in particolare il dottor Marco Caldiroli-, in base ad un’operazione di Risk assessment basterebbe considerare pochi inquinanti per produrre calcoli dagli effetti sulla salute trascurabili.
 
Ricordo che Regione Lombardia consiglia  il RA, ma non esclude l’indagine epidemiologica. Guardando il RA del cementificio di Calusco d’Adda si può notare che r il potere cancerogeno del particolato è pari a zero. Ciò lascia perplessi in quanto risale a un anno e mezzo fa la presa di posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che riconosce il PM10 come cancerogeno, dando anche equivalenti precisi (aumento dell’8% in più del tumore al polmone per ogni 10 microgrammi/metro cubo a lungo termine).
 
Quali altri fattori minano la riuscita di un’indagine?
 
Proseguo in quella che io chiamo la sagra dell’ovvio: le emissioni di un impianto non tengono conto dei confini amministrativi. Faccio l’esempio del cementificio di Mazzano Rezzato (BS) e delle aree di alto, medio e basso valore di emissioni. Fino ad ora che cosa hanno fatto le ASL? Hanno fornito i dati di cui erano in possesso, su mortalità, tumori o incidenza dei ricoveri a livello comunale. Prendendo quei dati per singolo Comune, ovviamente, si mettevano insieme persone esposte e non esposte ottenendo così la famosa media di Trilussa. Tradotto, non si vedeva niente. Tant’è vero che i pareri dell’ASL, in assoluta buona fede, non riscontravano alcuna anomalia. Quando, in due mesi, abbiamo fatto lo studio epidemiologico andando a cercare in maniera più approfondita se vi fossero più ricoveri nelle aree esposte rispetto a quelle meno esposte, abbiamo scoperto che per i bambini avevamo all’incirca il 9% in più di ricoveri nella zona a più elevata esposizione e il 6,7% in più per la zona intermedia rispetto all’altra esposizione.

 

(la divisione dell’area circostante il cementificio di Rezzato-Mazzano, nel bresciano, in base al livello di esposizione) 
 
Dunque il primo degli ingredienti per uno studio epidemiologico è la considerazione di un’area grossa, in modo tale da poterla dividere nei gradienti di ricaduta che ho illustrato prima e considerare -in quelli che chiamo appunto le impronte digitali- i fattori di contesto (strade a grosso traffico, ad esempio). Nel caso del cementificio di Italcementi, lo studio ha fatto sì che la ditta rinunciasse al raddoppio della potenza dell’impianto così come voleva e portasse importanti modifiche agli impianti.
 
Che ruolo ricoprono i sindaci in tutto questo?
 
Non dimentichiamoci che i sindaci sono i principali responsabili della salute dei propri concittadini. L’ho provato nel caso di Bergamo, quando mi ha contattato un amministratore particolarmente sensibile. Si partì con lo studio delle mappe delle ricadute messe a disposizione dal gestore del forno inceneritore di rifiuti speciali di Filago (di proprietà di A2A). Come prima cosa si vide che le ricadute interessavano soprattutto il Comune confinante, Madone, sul quale non insisteva l’impianto. Quello che abbiamo fatto è stato esaminare i ricoveri dei bambini residenti nelle diverse zone. I risultati hanno visto i bambini residenti nelle zone ad esposizione massima -numericamente pochi- con 2 volte e mezza la probabilità di ammalarsi e di finire in ospedale rispetto agli altri. E quasi tutti ricadevano in Madone, che paradossalmente non riceveva nemmeno l’indennizzo per la presenza fisica del forno essendo fuori dai confini amministrativi. Tuttavia, le conclusioni dell’ASL furono diverse. A quel punto il sindaco ha portato tutto il fascicolo all’attenzione della competente Procura della Repubblica con l’accusa rivolta verso ignoti per lesioni gravissime. Risultato: la Procura ha disposto nuove indagini, e le conclusioni sono cambiate. 
 
Lo studio degli effetti acuti ne esclude altri?
 
Il mio punto di vista -che ho applicato a Filago, a Mazzano e a Vado Ligure- è che gli effetti acuti possano costituire la principale avvisaglia anche di effetti letali. Ma è fondamentale procedere subito con studi veloci, basati sulle mappe delle ricadute, senza per questo rinunciare successivamente a valutazioni più complesse e di più lungo periodo, com’è stata quella condotta a proposito dell’inceneritore di Vercelli. Proporre uno studio”di coorte” come primo approccio non è sensato sia perché il tempo e le risorse per completarlo sono molto più grandi, sia perché uno studio caso-controllo, come quelli che ho realizzato, è un modo più efficiente di condurre uno studio di coorte. Un’indagine epidemiologica quindi si fa, rapidamente, e quando fosse negativa dovrà essere valutata con molta attenzione, a partire dalle mappe di ricaduta e da chi le predispone.
L’epidemiologia non è una panacea ma uno strumento molto delicato. Sarebbe molto bello se fosse uno strumento partecipato. C’è un bellissimo modello da questo punto di vista. C’è un’industria americana che ha pesantemente inquinato di sostanze perfluoroalchiliche  tutta la falda. Il giudice ha imposto all’azienda di fare l’indagine, sobbarcandosi i costi, ma gli esperti sono stati scelti dalla comunità.
 
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