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Opinioni

Le forze dell’ordine non sbagliano mai?

A Lucca un Carabiniere viene condannato (in primo grado) per aver picchiato un cittadino tunisino, dopo averlo arrestato in flagranza di reato. La stampa tratta il caso in modo "impreciso" favorendo prese di posizione e solidarietà "di parte" con l’autore della violenza.

Leggi l’approfondimento da "Altreconomia" di febbraio, "Forze non sempre dell’ordine"

Magdi Cristiano Allam ha 120mila fan su Facebook. Nei giorni scorsi, sono stati quasi 4mila quelli che hanno condiviso il messaggio pubblicato dall’ex giornalista del Corriere della Sera e parlamentare europeo per “denunciare” un fatto di cronaca giudiziaria avvenuto a Lucca, in Toscana, dove un carabiniere sarebbe stato condannato (in primo grado) per aver arrestato "violentemente" un ladro tunisino colto in flagranza di reato all’interno dell’azienda.
“Per non sbagliare d’ora in poi i carabinieri chiederanno direttamente ai malfattori come preferiscono essere arrestati e se prediligono che a farlo sia un agente dell’ordine di sesso maschile o femminile. Vista la sensibilità dei nostri magistrati per le ragioni di chi delinque anziché per quelle di chi è preposto alla tutela della sicurezza dei cittadini -ha scritto Allam-.
È una vergogna! È ora di dire basta! Noi stiamo sempre e comunque dalla parte delle forze dell’ordine che sono rimaste l’estremo argine che salvaguarda ciò che è rimasto della sovranità e della dignità dello Stato!”.

Sul numero di febbraio di Altreconomia documentiamo come le forze dell’ordine non siano esenti da colpe, come dimostra una rassegna stampa che nel 2014 vede oltre un centinaio di agenti indagati, rinviati a giudizio o condannati per reati che vanno dal furto aggravato allo stupro.

Se parlando della condanna del Carabiniere lucchese abbiamo usato il condizionale, però, è anche perché (o soprattutto perché) abbiamo letto la sentenza. Dove non è scritto che la condanna -in primo grado, vale la pena ripeterlo- è frutto di un “arresto violento”, ma che essa è la conseguenza di una “violenza personale” del Carabiniere nei confronti della persona -un cittadino tunisino- sorpresa a rubare del filo di rame all’interno di una ex cartiera, una fabbrica dismessa, condizione aggravata dal fatto che a perpetrarla sia stato un pubblico ufficiale.   

Nel suo post, Magdi Cristiano Allam plaude l’iniziativa di un politico locale, Maurizio Marchetti, sindaco di Altopascio e consigliere provinciale per il centro destra, che ha aperto una pagina Facebook per sostenere il Carabiniere e avviato un raccolta fondi per aiutarlo a sostenere le spese, comprese il risarcimento di 7.500 euro che il Tribunale di Lucca ha disposto a favore del cittadino tunisino vittima della violenza.
Marchetti, un politico in vista sul territorio lucchese, ha ritenuto necessario replicare con un intervento a un editoriale pubblicato sul quotidiano Il Tirreno (che ha svolto un lavoro puntuale, andando a ricostruire la complessa vicenda giudiziaria), segnalando come la sua azione non sia in alcun modo volta a condizionare la magistratura (in vista del secondo grado di giudizio). 

Oltre a una riflessione su come la politica sia capace di “cavalcare” ogni episodio di cronaca, la vicenda lucchese impone una riflessione sul ruolo dell’informazione in relazione agli episodi di violenza, all’immigrazione e alle forze dell’ordine.   

Difficile, infatti, è pensare che le reazioni non siano state alimentate anche da un modo impreciso di presentare l’intera vicenda da parte di chi -cioè il dorso locale del quotidiano La Nazione (gruppo “Quotidiano nazionale”)- ha avuto il compito di “riportare” la notizia della condanna all’opinione pubblica.
L’articolo è titolato “Arresto troppo violento, scatta la condanna per un carabiniere” e si chiude con una chiosa del giornalista, “Una beffa, aggiungiamo noi”.

L’articolo non spiega, però, che il cittadino tunisino è stato già condannato a suo tempo (ovvero nel settembre del 2011) per il furto di rame che era in corso quand’era stato sorpreso all’interno dell’ex cartiera (e così il lettore immagina che l’unico condannato sia il Carabiniere.)
Né che fino a quel giorno egli -in Italia da oltre dieci anni- risultava incensurato.
Non spiega nemmeno che sono stati i Carabinieri stessi a segnalare il fatto in Procura.
Né che l’Arma ha deciso il trasferimento del Carabiniere condannato, per motivi disciplinari, proprio per i fatti oggetto del processo e poco dopo i fatti.
Né che il giudice ha definito “ambigua” la testimonianza del Carabiniere che accompagnava il condannato nell’ispezione che aveva portato all’arresto del tunisino. 

Nella istruttoria dibattimentale è emerso che la vittima non aveva opposto alcun tipo di resistenza, e che è stato assolutamente remissivo all’arresto. La violenza, lo spiega la sentenza, è arrivata dopo, e le lesioni riscontrate -spiega la sentenza- “non sono […] assolutamente compatibili con le manovre, legittime e necessarie, per immobilizzare il soggetto colto nella flagrante del delitto di furto […], ma sono invece conseguenze di successiva ingiustificata condotta eterolesiva […]. Nessuna causa di giustificazione, quindi, può essere riconosciuta all’imputato”, che per questo è stato condannato.

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