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Le fabbriche insicure di H&M

La multinazionale dei vestiti ha 229 fornitori in Bangladesh. Dopo il drammatico incendio del Rana Plaza, che nel 2013 ha visto la morte di oltre mille operai tessili, le aziende che appaltano la produzione nel Paese asiatico si sono impegnate a mettere in sicurezza tutti i laboratori. Secondo un report della campagna Abiti puliti, però, H&M non avrebbe rispettato gli impegni

H&M ha 229 fornitori in Bangladesh, 56 dei quali presentati come Platinum o Gold partner, imprese “strategiche” legate alla multinazionale degli abiti da una relazione di lungo periodo. Per questo, Clean Clothes Campaign (CCC), l’International Labor Rights Forum (ILRF), Maquila Solidarity Network (MSN) e Worker Rights Consortium (WRC) hanno concentrato la propria attenzione proprio su H&M nel realizzazione una valutazione del Safety Action Plans for Strategic Suppliers in Bangladesh, un documento che analizza le informazioni pubbliche disponibili riguardo ai progressi fatti da H&M nell’affrontare i rischi per la sicurezza dei lavoratori nei suoi stabilimenti nel Paese asiatico.
 
I dati provengono dalle relazioni delle ispezioni nelle fabbriche e dai Piani di Azione Correttiva (CAPs), che sono stati resi pubblici in virtù dell’Accordo per la prevenzione degli incendi e la sicurezza in Bangladesh siglato nel 2013 in seguito al crollo del Rana Plaza, il peggior disastro della storia dell’industria tessile che ha causato la morte di 1138 persone. Questi dati mostrerebbero come H&M non abbia rispettato gli impegni per garantire la sicurezza dei lavoratori.

“Concentrandosi sulle fabbriche che H&M ha indicato come le migliori della sua catena di fornitura in tema di lavoro e ambiente, il rapporto mostra come tutte queste fabbriche non siano state in grado di rispettare le scadenze previste per le riparazioni e come la maggior parte delle ristrutturazioni non siano ancora state ultimate nonostante i termini scaduti -spiega un comunicato della campagna Abiti puliti-Clena Clothes Campaign-. Le ristrutturazioni includono l’installazione di porte tagliafuoco, la rimozione dei blocchi e delle porte scorrevoli dalle uscite di sicurezza e delle recinzioni sulle scale, permettendo ai lavoratori di uscire dalla fabbrica in sicurezza in caso di emergenza”.
 
Nel 2010, 21 lavoratori sono morti nell’incendio della fabbrica Garib&Garib, fornitore di H&M, dove sarebbero mancati elementi base a garantire la sicurezza, tra cui le uscite antincendio.

“Per la prima volta, grazie all’Accordo, H&M è a conoscenza di tutte le ristrutturazioni necessarie a rendere finalmente sicure le sue fabbriche in modo che i lavoratori non corrano rischi e non temano un nuovo Rana Plaza” ha dichiarato Bob Jeffcott del Maquila Solidarity Network (MSN). “Nonostante ciò, continuano a tirarla per le lunghe e a ritardare i lavori”.

Da parte di H&M vorremmo vedere un investimento serio nel processo di risanamento dei suoi fornitori in Bangladesh, almeno pari a quello effettuato in pubblicità e dichiarazioni altisonanti sulla sostenibilità. Dato il suo peso nel settore tessile in quel paese e data l’opportunità offerta dallo storico Accordo siglato dopo la tragedia del Rana Plaza, H&M può giocare un ruolo chiave per mettere in sicurezza l’intero settore in Bangladesh”, dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti.

“Sull’onda emotiva che ha circondato il disastro del Rana Plaza, H&M, il più grande produttore di abbigliamento in Bangladesh, ha garantito di sistemare le condizioni in cui si trovano le fabbriche in quel Paese” ha concluso Scott Nova del Worker Rights Consortium (WRC). Per il momento, l’impegno sarebbe rimasto sulla carta.

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