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Diritti / Opinioni

La digitalizzazione della sanità automatizza le disuguaglianze

© Sam Moqadam - Unsplash

L’industria tech supporta la medicina di precisione a scapito della prevenzione. In mano a pochi, favorisce i ricchi. La rubrica di Nicoletta Dentico

Tratto da Altreconomia 234 — Febbraio 2021

Divampa in tutto il mondo il dibattito sulle risonanze, non solo simboliche, della decisione di Twitter e Facebook di rimuovere l’account dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il più potente leader mondiale silenziato per sempre con un divieto ad personam per istigazione alla violenza. La decisione non ha precedenti, e rimanda agli equilibri di potere della digitalizzazione che definisce la contemporaneità, e che grazie a Covid-19 ha subito un’accelerazione imprevista. Basta pensare al contact tracing, sconosciuto ai più prima del nuovo Coronavirus.

La digitalizzazione è inneggiata da anni come la nuova frontiera in ambito sanitario: la soluzione più promettente per affrontare le sfide e le disuguaglianze della salute nel mondo. L’intelligenza artificiale, gli algoritmi, la sorveglianza epidemiologica tramite app, gli strumenti di visualizzazione per la rapida identificazione di casi clinici offrono da tempo un armamentario sempre più diffuso, ben prima della pandemia. Oggi, ovviamente, la rilevanza delle tecnologie nella risposta al disastro pandemico è fuori discussione. Tuttavia l’euforia digitale alimentata dalla lotta al Covid-19 non può offuscare le ambiguità del ricorso cieco e inconsapevole a tecnologie che fanno capo a un esiguo manipolo di potentissimi imprenditori privati, e sono sostanzialmente prive di regolamentazioni anche a causa del loro fulmineo sviluppo. Ci sono molte incognite che la comunità medico-scientifica farebbe bene a ponderare con cautela, man mano che i sistemi computazionali escono dai laboratori per prendere decisioni reali su persone reali.

37,1%: nel 2021 il mercato della digitalizzazione sanitaria aumenterà del 37,1%, continuando a crescere negli anni successivi fino a raggiungere 508,8 miliardi di dollari entro il 2027. (Fonte: Research and Markets, novembre 2020)

Gli strumenti digitali godono di un’indebita reputazione di imparzialità. Invece i dati inseriti nei sistemi riflettono sempre idee e pregiudizi di coloro che li immettono. Vogliamo ricordare il pregiudizio razziale identificato nell’algoritmo usato in America dagli ospedali e dalle compagnie assicurative per predire i pazienti con necessità di assistenza suppletiva? O il pregiudizio di Winterlight Lab, una startup che usa la tecnologia linguistica per valutare la salute cognitiva di pazienti affetti da Alzheimer, Parkinson o sclerosi multipla il cui algoritmo funziona solo con i parlanti di un certo inglese dialettale del Canada, lasciando indietro tutti gli altri?

L’introduzione degli strumenti digitali ha trasformato la medicina in una pratica generatrice di dati, aprendo la strada alla medicina di precisione o personalizzata, adattata cioè alla specifica sintomatologia della persona. Il settore, oliato da robusti investimenti, si impone sempre di più a discapito di investimenti in indispensabili programmi di prevenzione rivolti ai determinanti sociali, ambientali e comportamentali della salute. L’industria digitale insomma punta alla colonizzazione del settore sanitario; la scoperta della sequenza del genoma nel 2001 poi ha stimolato lo sviluppo di tecniche rivoluzionarie per l’attività medica e la scoperta scientifica. La storia del vaccino contro Covid-19 insegna. Tutto bene? Forse no. Secondo diversi esperti, la salute si riduce sempre più all’intervento farmaceutico, e la personalizzazione della medicina favorisce i ricchi. Inoltre, l’industria digitale spinge per evitare regolamentazioni sull’uso dei dati dei pazienti, già oggi non sempre usati con criteri appropriati. Ci mette in guardia il Rapporteur dell’Onu Philip Alston: c’è un lato oscuro della digitalizzazione sanitaria che serve ad automatizzare le disuguaglianze. Meglio stare in guardia.

Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici Senza Frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development

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