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Le blatte o la vita, la persona o la colpa

Dalla sentenza di Strasburgo agli ultimi numeri del Ministero della Giustizia: il carcere e i ragazzi di Progré

Oggi c’è un uomo che è stato un bambino, dentro. Lo è stato quando è entrato per la prima volta in cella. Prima di varcare la porta, vede per terra un mucchietto di cose nere. Ma non capisce bene cosa siano. La porta si apre. Si aprono le sbarre. Lui entra nella cella e si avvicina al mucchietto di cose nere. Sono blatte. All’interno della cella c’è un’infestazione di blatte. Sono nere e hanno sei zampe. La porta si chiude dietro a lui.
Il bambino diventa uomo dentro la cella. Ne cambia tanti di carceri. Poi però esce. Gliene  restano impressi i momenti terribili: persone che si tagliano, che ingoiano lamette o pile per andare all’ospedale.
L’uomo, fuori, ora racconta una cosa: quando era dentro sognava il giorno in cui avrebbe potuto stare negli spazi aperti, a contatto con la natura. Ma ora che è fuori non lo fa. Dice che il carcere lo ha fatto morire dentro.

Quella dell’uomo è una storia vera e la raccontano Silvia Ventrucci e Gaia Pallone due volontarie di Progré, l’associazione di un gruppo di studenti universitari che fanno volontariato nei CIE e nei penitenziari di Bologna. Raccontano la storia di quest’uomo pochi giorni dopo la sentenza della Corte di Strasburgo.
“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”: è l’articolo 3 della CEDU, l’articolo che l’Italia non rispetta tanto per i carcerati, quanto per i migranti quando sono stati respinti in mare (la sentenza di condanna al nostro paese è stata emessa meno di un anno fa).
Per i volontari di Progrè non è stata una sorpresa: “Non è la prima sentenza su questa materia che la Corte pronuncia contro l’Italia: è la quarta condanna per lo stesso problema. Non è cambiato niente dalla prima sentenza di condanna e la situazione è ancora quella che è. Magari stavolta è la volta buona. Le speranze non sono così tante, anche perché bisogna vedere se da parte del prossimo Governo ci sarà interesse su questo problema”.

La Corte europea condanna lo Stato italiano a risarcire sette detenuti di Busto Arsizio e Piacenza con 100 mila euro per danni morali. Questo è il fatto raccontato dai giornali e dalle principali testate di informazione il giorno dopo la sentenza. Una sentenza che, però, a guardare proprio il sito del Ministero della Giustizia, rischiamo di veder ripetere all’infinito. La Sezione Statistica del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ogni mese pubblica un resoconto dettagliato del fenomeno carcerario in Italia. L’ultima pubblicazione è del 14 gennaio, con i dati che si riferiscono al 31 dicembre 2012 (una settimana prima dell’uscita della sentenza).

I numeri. In Italia ci sono posti per 47.040 persone. Oggi i reclusi sono 65.701, di cui 23.492 stranieri (35,76%). Nel 1991, prima di indulti, di leggi come la Bossi-Fini o ex-Cirielli, la percentuale degli stranieri era dello 15,13% (su un totale di 35.469 carcerati). “Gli interventi dal 1992 al 2008, come amnestie e indulti, sono stati di tipo clemenziale e il problema non è stato risolto”, dicono Silvia e Gaia. “Anche all’interno della nostra associazione abbiamo posizioni diverse tra chi sostiene che sia necessaria una nuova amnistia e chi invece sostiene che ci sia bisogno di una riforma del Codice penale, come stava facendo la Commissione Pisapia prima di un niente di fatto. La riforma Severino ha ridotto il fenomeno del turnover con il via vai giornaliero dei carcerati. Quello che, però, era il fulcro della riforma, ossia la promozione  e la messa a regime delle misure alternative, è caduto nel nulla perché era stata approvata in toto alla Camera e poi non è passata al Senato perché, nel frattempo, è caduto il Governo”.

La colpa: per quali reati sono accusati? “Sono soprattutto immigrati”, dice Gaia. “Furti, rapine, spaccio e uso di sostanze stupefacenti. I reati contro la persona sono in misura minore”. I dati del Ministero confermano: i primi due reati per numero di detenuti presenti corrispondono alle voci “contro il patrimonio" (34.583 detenuti) e "Legge droga" (26.160 detenuti). Tra gli stranieri: 11.110 detenuti per "Legge droga" e 9.739 detenuti per reati "contro il patrimonio".

Come e dove vive una persona detenuta? Molto dipende dal carcere e, almeno in questo ambito, non è il nord-sud la discriminante. A Sondrio ci sono 47 carcerati (di cui 15 sono stranieri) per una “capienza regolamentare” di 27 posti. Udine conta 129 stranieri su 223 persone recluse in un carcere da 112 persone. A Nuoro Lodè “Mamonelode” sono 269 i carcerati stranieri su un totale di 292. Modena: 306 carcerati (di cui 207 stranieri) in una struttura che potrebbe ospitarne 221. Bologna, dove operano i volontari di Progrè, potrebbe accogliere 497 persone: al 31 dicembre ce ne erano 924, di cui 533 straniere. “Qui a Bologna si parlava addirittura di materassini di gommapiuma per terra per far dormire la gente perché non c’erano gli spazi”, dice Silvia. “Dipende poi dal piano delle sezioni. Il giudiziario, dove ci sono tutti coloro i quali sono in attesa di giudizio, è dove ci sono condizioni peggiori. Nel penale invece ci sono le persone condannate: all’ultimo piano ci sono gli ergastolani, quelli della "Pena di morte viva" (come scrive Carmelo Musumeci dal carcere di Padova)”.

La persona in carcere vive la sua giornata all’interno della cella con più persone (in media 2 o 3). C’è un bagno e un piccolo angolo cottura con dei fornelli per cucinare fuori dai pasti. Vive 22 ore all’interno della cella, con 2 ore d’aria al giorno “ma dipende dal numero dei detenuti e dal numero degli agenti di polizia penitenziaria”, dice Gaia. Durante il giorno potrebbero accedere ad attività organizzate dal volontariato come le biblioteche, i laboratori e, i più fortunati accedono al lavoro all’interno del carcere (in cucina, mantenimento, pulizie) o lavori portati dalle imprese nel carcere. Potrebbero perché i detenuti che accedono a queste misure sono pochissimi: “la maggior parte vive in cella senza uscire”, aggiunge Silvia. “Mancano educatori e psicologi ed è il volontariato che supplisce a queste mancanze”.

La funzione del carcere prevista dall’ordinamento è quella della rieducazione e del reinserimento sociale. In Italia l’esempio migliore è quello del carcere di Bollate con programmi di riabilitazione con spazi per farli lavorare, spazi previsti per incontri con le famiglie: nel 1980-81 è stato progettato il giardino degli incontri con uno spazio per incontri giornalieri. Se questo per molte carceri può sembrare fantascienza, andate a leggere il viaggio nelle carceri danesi che ha fatto Francesca, volontaria di Progrè.

Aldilà di ogni riforma, Gaia e Silvia auspicano un cambiamento all’interno del sistema mediatico: “Nei talk show la giustizia è un fenomeno associato alla cronaca nera, raccontato come una soap opera. Inquadrature delle tapparelle della finestra o la serratura della porta della casa dove c’è stato un omicidio efferato. Siamo invece disinformati su come funziona un carcere, su dove sia un carcere, su quello che succede dentro un carcere, su chi c’è li dentro. Vista da fuori sembra la gabbia dei lupi mannari cui prendere le chiavi, buttarle nel posto più remoto, e lasciare che si scannino tra di loro. Poi però loro torneranno nella società: e a quel punto?”.
Ecco, con l’attenzione dei media alla campagna elettorale e quattro sentenze della Corte europea: a questo punto?

 

 

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