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Le banche cercano nuovi mercati

Il paradosso dello sviluppo del social lending nei piani di sviluppo delle banche

Tratto da Altreconomia 114 — Marzo 2010

Dopo la brusca interruzione che Banca d’Italia aveva imposto a Zopa nell’Agosto del 2009 sembrava davvero che il social lending – il prestito tra le persone che si prestano denaro senza la mediazione delle banche e aiutati dalla rete internet – fosse una pratica inadatta al mercato italiano e alle sue regole; Zopa ha pure provato ad appellarsi al TAR e al Consiglio di Stato, ma da più di 7 mesi si limita a gestire l’esistente: i 1289 prestiti cioè (di cui 102 ripagati a termine e 133 in anticipo) che hanno generato i suoi 7 milioni di €uro di erogato.

Eppure insiste con l’idea di ritornare sul mercato e sta aspettando la nuova autorizzazione perché la nuova società sia nelle condizioni di recuperare l’errore originale.

Nonostante Banca d’Italia non conceda scorciatoie e abbia dimostrato di non considerarlo nei fatti diverso dalla raccolta di risparmio ordinaria, perché il denaro in attesa di trovare un prestito giace sul conto per troppo tempo perché possa esser considerata intermediazione di pagamento, il prestito peer to peer rimane un importante obiettivo delle banche italiane.

Lo conferma l’accompagnamento strategico che Banca Sella sta offrendo al nuovo Prestiamoci, il servizio nato a Novembre tra Milano e Biella che introduce alcuni importanti innovazioni, la più significativa è nella diminuzione delle diversificazioni in uscita: Zopa divideva infatti il denaro ricevuto in almeno 156 percorsi di prestito, eliminando così completamente la possibilità che il richiedente ed il prestatore si mettessero in contatto. Prestiamoci si limita a 30 e da la possibilità di destinare ad un singola idea fino al 40% del proprio investimento.

Così come lo conferma quel che sta accadendo attorno a Banca Prossima, che da mesi lascia trapelare notizie e rumors più o meno consistenti riguardo il loro impegno nel settore. Con buona pace del ministro Tremonti che durante una puntata di Ballarò di qualche settimana fa si era lasciato sfuggire una frase del tipo “il servizio pubblico non dovrebbe pubblicizzare quella roba lì in tempo di crisi”.

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