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Diritti

Le armi costano e fanno male

Meno del 3% delle armi leggere è in mano alle polizie di tutto il mondo. Nei soli USA l’impatto sociale negativo di ogni singola arma è di quasi 650 dollari.

Da tempo sulle pagine di Altreconomia e in questo blog vi raccontiamo come la costruzione della Pace che parta dalla rinuncia agli armamenti possa essere non solo giusta ma addirittura notevolmente conveniente. Lo abbiamo cercato di dimostrare anche noi con diversi studi (su tutti questo "Le armi: un investimento negativo") e lo confermano soprattutto gli avanzati lavori dell’Institute for Economics and Peace (IEP) che elabora annualmente il Global Peace Index. Un’idea ormai talmente fondata che anche i servizio di informazione digitale del Dipartimento di Stato USA ha pensato bene di rilanciare i risultati di tali studi.

Il problema è che, mentre con una certa lentezza i decisori politici stanno comprendendo questa nuova visione, i danni causati da un’impostazione politica votata al controllo militare dei problemi e in ultima analisi alla guerra continuano a dispiegarsi anno per anno. E siccome in pochi guadagnano molto denaro dalla guerra e dalle armi (e dagli "affari di Stato" collegati) mentre è la collettività che incassa i benefici diffusi dei dividendi di Pace, le pressioni dei produttori e commercianti di armi sono fortissime su una politica che dovrebbe essere più forte per cambiare direzione concretamente su questo aspetto.

Lo dimostrano le campagne di opinioni potenti e pervasive messe in pista dalla National Rifle Association dopo la recentissima strage nella scuola di Newtown: un’azione volta a preservare intatto il più grande mercato mondiale di armamento "leggero" e per uso personale. E che ha avuto come primo sbocco la proposta secca e dirompente di fornire armi a insegnanti, bidelli e operatori scolastici come prevenzione per eventuali nuovi episodi dello stesso segno… Dimenticando come, ovviamente, una volta fornita un’arma ad una pesraona nessuno è in grado di dire con certezza quale sarà in futuro il suo equilibrio mentale: chi viene armato per una presunta difesa da pazzi criminali omicidi potrebbe diventarlo a sua volta. Ma certamente più che una risposta di senso ad un dramma così enorme (e così drammaticamente ripetuto negli USA, il paese con i maggior tasso percentuale di possesso di armi al mondo) quello della NRA è un calcolo ancora una volta di profitto. Sulla pelle degli altri. Perchè in questi discorsi si dimentica spesso una statistica importante recentemente aggiornata dalla Small Arms Survey:  delle circa 875 milioni di armi da fuoco che sono attualmente in giro per il mondo solo un totale di 25 milioni è in mano a istituzioni di applicazione della legge (polizie). Per il resto, 200 milioni sono possedute dagli eserciti e dalle strutture militari e la maggioranza di 650 milioni di pezzi di armi leggere è in mano a civili. Difficile pensare di riequilibrare questa disparità dotando ogni edificio pubblico di armi ufficiali di difesa (come invece ipotizzato dalla NRA) a meno che di non voler far crescere ancora più esponenzialmente i profitti dei produttori di fucili, pistole e mitragliatori…

 

Small arms surveyTutto ciò mentre dall’altro lato i costi per la società di una così incontrollata diffusione di armi sono realmente enormi. Secondo il Pacific Institute for Research and Evaluation del Maryland il costo della violenza armata nei soli Stati Uniti ha raggiunto nel 2010 l’astronomica cifra di 174 miliardi di dollari. Una cifra che si ottiene conteggiando il lavoro perso, le cure mediche prestate, premi ed esborsi delle assicurazioni, i fondi per la macchina della giustizia penale e i rimborsi ottenuti dalle famiglie delle vittime al di là dell’ovvio dolore e della sofferenza. Gli studi e le stime derivano da statistiche ufficiali delle agenzie governative statunitensi, e piazzano il costo sociale delle armi ben al di sopra dei 130 miliardi di dollari dovuti agli incidendi automobilistici causati dall’alcol, secondo un’analoga ricerca del 2006.

Un solo omicidio eseguito con un’arma da fuoco ha un costo sociale di circa 5 milioni di dollari, dato dalla somma di 1,6 milioni di dollari in lavoro perduto (con 9.000 dollari di perdite per il datore di lavoro), 29.000 dollari per cure mediche e 11.000 per trattamenti di supporto psicologico alle famiglie della vittima. C’è poi un costo di 397.000 dollari per far funzionare la giustizia (comprese spese di carcerazione e di polizia) e infine un impatto di circa 3 milioni di dollari legato al dolore, alla sofferenza e perdita della qualità di vita (compresi i rimborsi relativi).

Se poi dividiamo la stima complessiva per il numero totale di armi leggere presente negli USA (circa 270 milioni secondo la già citata Small Arms Survey) l’istituto del Maryland ha conteggiato in 644 dollari il costo per la società di ogni singola arma da fuoco posseduta negli Stati Uniti. Un impatto che nemmeno lontanamente può essere bilanciato (dimenticando per un momento le oltre 8.500 vittime all’anno) da qualsiasi tassazione presente sulla vendita di tali armi. "Il possesso di armi è come il fumo, un’abitudine costosa e pericolosa. Per tutti" ha dichiarato Ted Miller capo ricercatore del PIRE che ha inoltre sottolineato come tale impatto in termini economici faccia impallidire i 28,2 miliardi dollari di bilancio del Dipartimento della Giustizia. Che dovrebbe cercare di mettere un freno a tutte queste uccisioni.

Un altro motivo per chiedere una decisa inversione di politica sulle armi, non credete?

 

(PS. a parte le questioni economiche, per le dinamiche di diffusione delle armi conta anche molto il fattore culturale. In questa intervista dico la mia a riguardo…) 

 

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