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L’austerità contro i diritti umani. Le istituzioni internazionali devono risponderne. Forse

Christine Lagarde, a sinistra, neopresidente della Banca centrale europea, e Kristalina Georgieva, da poco nominata direttrice operativa del Fondo monetario internazionale - © Flickr IMF

Il durissimo report di Juan Pablo Bohoslavsky, esperto indipendente delle Nazioni Unite, riporta alla mente il lavoro di Amartya Sen, 21 anni dopo il suo Premio Nobel per l’economia. E fa quasi brillare i primi vent’anni di Altreconomia. Un pensiero critico e un modo di fare informazione familiari a chi non ha smesso mai di sentirsi “responsabile” e di credere in un altro mondo possibile. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 220 — Novembre 2019

Il volto di Kristalina Georgieva è familiare anche a chi non l’ha mai incrociato prima. Nata a Sofia nel 1953, l’economista e politica bulgara è stata per due volte commissaria europea (prima al Bilancio e poi alla Cooperazione internazionale), vicepresidente della Commissione europea, direttrice generale e presidente ad interim della Banca Mondiale.
Oggi Georgieva sorride, anche perché dal primo ottobre 2019 è la nuova direttrice operativa del Fondo monetario internazionale (FMI) al posto della francese (e più conosciuta) Christine Lagarde. Anche lei sorride, appena “promossa” presidente della Banca centrale europea, dopo anni difficili: l’ex ministra dell’Economia durante la presidenza di Nicolas Sarkozy ha guidato infatti l’FMI ininterrottamente dal 2011, nel mezzo di una grave crisi economica e finanziaria globale ancora in atto. Una crisi che ha scosso gli Stati, fuori e dentro l’Europa, e si è accanita contro i loro debiti sovrani, di fronte alla quale la ricetta delle istituzioni internazionali chiamate ad “aiutare” i Paesi in difficoltà è quasi sempre stata una e indiscutibile: l’“austerità”. La Grecia ne sa qualcosa.

Quest’estate però non ci sono state “soltanto” le nomine dei nuovi vertici dei regolatori internazionali. È successa un’altra cosa, passata sotto silenzio. Ne è responsabile Juan Pablo Bohoslavsky, accademico e giurista argentino, Esperto indipendente delle Nazioni Unite in tema di effetti del debito estero e dei correlati obblighi finanziari internazionali degli Stati circa il pieno godimento dei diritti umani, in particolare dei diritti economici, sociali e culturali. Un nome sconosciuto senz’altro ai più. Nel luglio 2019, poche settimane prima che l’Unione europea indicasse Georgieva come la propria candidata al Fondo monetario internazionale, Bohoslavsky ha trasmesso al Segretario generale -e quindi all’Assemblea dell’Onu- un rapporto di 23 pagine dalla portata “sovversiva”. Quando le “istituzioni internazionali prescrivono agli Stati politiche o riforme economiche dall’evidente impatto sui diritti umani e/o che contribuiscono alla violazione degli stessi”, come ad esempio la privatizzazione dei servizi pubblici, della protezione sociale, il taglio dei posti di lavoro, allora quelle istituzioni possono essere ritenute “responsabili” per la loro “complicità” con i singoli Paesi. Bohoslavsky cita i prestiti, l’assistenza tecnica o le “condizioni” imposte come vincolanti per gli accordi che hanno comportato la stretta alla spesa pubblica degli ultimi anni (e non solo), riferendosi in particolare all’FMI ma anche alla Banca Mondiale. Quegli accordi sarebbero maturati troppe volte in un contesto di “dinamica asimmettrica”, dove più lo Stato “era in stato di necessità e più ridotto era il suo spazio di negoziazione”. “Non significa che tutte le politiche di riforme economiche in risposta alla crisi siano intrinsecamente contrarie alla tutela dei diritti umani -scrive Bohoslavsky- ma le politiche di austerità sono prive di qualsiasi giustificazione teorica ed empirica sotto il profilo dei diritti umani”. E se le istituzioni internazionali “possono essere ritenute responsabili del danno evitabile causato ad esempio da una diga finanziata con le loro risorse, perché non dovrebbero esserlo per il danno evitabile causato ai diritti umani da riforme economiche regressive? Lo sviluppo non c’è solo a proposito di crescita economica comune, ma anche quando ci sono perdite condivise”.

Parole che riportano alla mente le lezioni su sviluppo e disuguaglianza dell’economista indiano Amartya Sen, 21 anni dopo il suo Premio Nobel per l’economia, e che fanno quasi brillare vent’anni di articoli, inchieste, rubriche, editoriali, libri, saggi di Altreconomia. Un pensiero critico e un modo di fare informazione indipendente che sono familiari a chi li frequenta a partire dal 1999, dalla nascita del movimento di Seattle e a chi ha iniziato a farlo più tardi, a chi lo farà ma anche a chi ha smesso di farlo. A chi non ha smesso mai di sentirsi “responsabile” e di credere in un altro mondo possibile. Sorridendo.

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