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Lasciamo a piedi il gigante di petrolio – Ae 37

Numero 37, marzo 2003La Esso va alla guerra e allora, noi, lasciamola a piedi. È iniziata la campagna “Stop Esso War”, per protestare contro chi della guerra fa un affare.Promossa da Greenpeace, Rete Lilliput, Centro nuovo modello di sviluppo, Associazione…

Tratto da Altreconomia 37 — Marzo 2003

Numero 37, marzo 2003

La Esso va alla guerra e allora, noi, lasciamola a piedi. È iniziata la campagna “Stop Esso War”, per protestare contro chi della guerra fa un affare.

Promossa da Greenpeace, Rete Lilliput, Centro nuovo modello di sviluppo, Associazione Botteghe del mondo, Bilanci di giustizia, la campagna ruota attorno a un'azione: chi aderisce riduce i propri consumi di carburante e smette di rifornirsi ai distributori della Esso.

Spiegano i promotori: “Sempre più prendiamo consapevolezza della responsabilità collegata ad ogni acquisto. Il comperare è la forma di consenso a un prodotto del mercato e l'approvazione e l'incoraggiamento a tutta la filiera di produzione da cui deriva”. E questo, con una guerra di mezzo, si fa più grave. Per cui, per protestare, è necessario un gesto concreto: “In questo momento, in cui la guerra viene proposta come strumento di sicurezza e ordine nel mondo, chi è convinto che invece essa provochi solo sofferenza e distruzione si interroga su quali imprese economiche siano coinvolte nell'affare guerra”. La risposta è immediata: “Bush ha deciso di attaccare l'Iraq soprattutto per garantirsi il controllo delle più grandi riserve di petrolio al mondo dopo quelle dell'Arabia Saudita. Ebbene, a fornire il carburante all'esercito americano sarà la Exxon, la più grande multinazionale petrolifera del mondo, che in Europa è proprietaria del marchio Esso”. A provarlo è l'agenzia Defense Logistic, secondo cui la ExxonMobil (proprietaria del marchio Esso) ha vinto un appalto di 48 milioni di dollari per la fornitura di carburante e lubrificanti per esercito e marina e per le basi italiane continentali e insulari (tra cui Vicenza, Camp Darby, Napoli, La Maddalena).

Una cifra, quella che Exxon si intascherà, che gli organizzatori di “Stop Esso War” definiscono “un'inezia per una compagnia con introiti di decine di miliardi di dollari annui”. Il vero guadagno, sostengono, è un altro: Exxon è la maggiore compagnia petrolifera e sarà “la compagnia che più di altre trarrà profitti dalla conquista dell'Iraq e dei suoi campi di estrazione, il 25% dei quali era già di sua proprietà prima del conflitto del 1991”. La multinazionale petrolifera è già al centro di una campagna (“Stop Esso”: in Gran Bretagna, Usa, Francia, Austria, Germania, Australia) organizzata da Greenpeace per protestare contro il “sabotaggio dell'accordo di Kyoto” (vedi Altreconomia numero 34).

Le scelte economiche dell'azienda si intrecciano alla politica statunitense: “Nel 2000 la Exxon, in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi, ha contribuito alla campagna elettorale del partito repubblicano con oltre un milione di dollari. Sin dal suo insediamento, è apparso chiaro che il nuovo governo statunitense era guidato da una potente lobby legata all'industria petrolifera. Infatti tra le prime decisioni di Bush, così come esplicitamente richiesto dalla Exxon, ci sono stati il rifiuto di ratificare il Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici, l'avvio all'estrazione petrolifera anche in aree protette e la rimozione del presidente dell'Ipcc (International Panel on Climate Change) che sin dal 1995 aveva indicato nell'uso di combustibili fossili la principale causa dei cambiamenti climatici”. Ecco perché aderire alla campagna. Sul sito Internet trovate materiale informativo, il volantino e gli adesivi da stampare. Ma, soprattutto, la cartolina da inviare ai promotori della campagna, per informarli dell'adesione.

Info: 06-57.29.991, www.stopessowar.org

Buone basi: adottate un bimbo iracheno
All'Iraq servono nuove basi. Non lo sostengono capi politici e militari, ma due associazioni italiane: Ics (Consorzio italiano di solidarietà) e Un ponte per. “Costruiamo nuove basi in Iraq” è la campagna pensata dalla due organizzazioni per dare un futuro oltre la guerra ai bambini di Bassora, città dell'Iraq meridionale. L'obiettivo è quello di aiutare 500 bambini in un anno, spendendo quasi 300 euro per ogni bambino, circa 140 mila euro in tutto. Il progetto (per il quale sono già partiti degli operatori dall'Italia e altri sono stati reclutati sul posto) prevede l'acquisto di biscotti ad alto contenuto proteico e poi latte e farina. Altri generi alimentari saranno acquistati in Italia e fatti arrivare a Bassora tramite il World Food Programme dell'Onu.

Stando alle cifre dell'Unicef, il 25% dei bambini iracheni è malnutrito e, a causa dell'embargo, circa 18 milioni di persone vivono in uno stato di precarietà alimentare, mentre tre quarti della popolazione dipende dalle razioni alimentari distribuite dal governo. Oltre cinque milioni di persone non hanno accesso a fonti d'acqua pulita e questo è causa di dissenterie e infezioni intestinali. In questo scenario si innesta la campagna di Ics e Un ponte per, che propongono di adottare a distanza un bimbo iracheno, versando 40 euro al mese.
Info: Ics, tel. 06-85.35.50.81, e-mail
nuovebasiiniraq@icsitalia.org

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