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L’altra Edimburgo che aspetta i G8

EdimburgoSabato 2 luglio 2005 rimarrà nella storia di Edimburgo. Mai in Scozia si erano viste circa 300.000 persone scendere in piazza per una manifestazione.In tanti, gruppi religiosi, Ong e associazioni di base hanno voluto dare il loro contributo alla lotta alla povertà, chiedendo con una miriade di cartelli e striscioni la cancellazione del debito, regole più giuste per il commercio internazionale e più aiuti allo sviluppo per i paesi poveri. Non sono mancati i messaggi contro la guerra. Val la pena tenere a mente che ilprimo ministro di queste parti, Tony Blair, è pur sempre il primo alleato di George W. Bush nel conflitto irakeno! Il lungo corteo ha attraversato Edimburgo senza nessun intoppo. Steward efficientissimi e la presenza massiccia ma discreta della polizia hanno permesso che tutto si svolgesse nella più assoluta serenità. di Luca Manes, campagna per la riforma della Banca Mondiale

Anche i 2-300 black block che si aggiravano tutti intabarrati nelle loro felpe e nei loro cappucci neri non hanno rovinato quella che possiamo invece definire “la festa del bianco”, ovvero del colore simbolo della lotta contro la povertà e che in tanti hanno scelto per contraddistinguere il proprio abbigliamento.Quasi tutti aperti i negozi della centralissima Princes Street. Qualcuno aveva preferito cautelarsi, mettendo dei pannelli di legno alle vetrine, ma come detto tutto è filato liscio come l’olio. Basti pensare che anche Mc Donald’s, spesso preso di mira dalle frange più radicali del movimento altermondialista, non aveva chiuso e continuava a servire i suoi panini protetto solo da un paio di transenne.Il momento più toccante di tutta la giornata si è avuto alla fine della marcia, quando alle 15.00 in punto è stato chiesto un minuto di silenzio per ricordare le milioni di vittime causate dalla povertà. Improvvisamente le migliaia di persone radunate in un enorme parco, the Meadows, che fino a quel momento facevano quanta più confusione possibile, seguendo i cantanti e gli speaker che si alternavano sui tre palchi allestiti dagli organizzatori, sono ammutolite. Il silenzio era rotto solo dal rumore provocato dai due elicotteri che sorvolavano la zona. Per un minuto nessuno ha fiatato, alcunihanno giunto le mani mormorando una preghiera, altri hanno abbassato lo sguardo in segno di rispetto.Il pomeriggio è proseguito con alcuni collegamenti video con ilmega-concerto di Hyde Park. Qualche mormorio quando i maxi-schermi hanno mandato le immagini di Bob Geldof, visto da qualche attivista come troppo “vicino” al governo Blair.Ma la manifestazione di Edimburgo e il Live8 planetario serviranno a qualcosa? Spingeranno finalmente il G8, da tempo consesso in crisi di identità, a fare qualcosa di veramente positivo per la sorte del pianeta?L’entusiasmo per un evento come quello tenutosi nella capitale scozzese, che ha senza dubbio dato delle emozioni forti a chi vi ha preso parte, non può farci dimenticare come ci sia il rischio che il G8 di Gleneagles sia l’ennesima occasione persa. I negoziati, infatti, vanno avanti con enormi difficoltà, ancora una volta gli Stati Uniti confermano la loro volontà dinon prendere in nessun modo posizione sulla questione dei cambiamenti climatici, insieme all’Africa uno dei temi principali del summit. Tony Blair, che su questo G8 ha investito tantissimo, quantomeno a livello di immagine, sull’emergenza ambientale sta facendo di tutto per portare a casa un risultato accettabile.Secondo le ultime indiscrezioni sono ben poche le speranze che il suo amico George W. cambi idea ed inizi ad ammettere che c’è bisogno di iniziative serie contro il surriscaldamento globale. (.:continua:.)[pagebreak]  

l contro-vertice di EdimburgoPer la giornata di domenica gli organizzatori dell’Alternative G8 hanno messo su una ricca serie di plenarie e seminari, sparsi per il centro della città. Ovviamente si parla di Africa, dei cambiamenti climatici ed anche della guerra. Come spesso accade in queste occasioni in poche ore sono concentrati tanti, forse troppi, dibattiti interessanti. Il pubblico non manca. Nelle cinque sedi del forum possiamo stimare la presenza di oltre cinquemila persone.Facciamo le nostre scelte e dedichiamo la mattinata al workshop che vede protagonista Ken Wiwa, il figlio del famoso poeta nigeriano Ken Saro Wiwa, giustiziato dieci anni fa per la sua lotta non violenta per i diritti del popolo Ogoni. Ken Wiwa non si aspetta molto dal G8 di Gleneagles, ma soprattutto manifesta tutta la sua preoccupazione per l’attuale situazione in Nigeria. La rivolta nel Delta del Niger, dove c’è il più alto numero di pozzi di petrolio, sta portando ad una progressiva militarizzazione della regione. Il rischio è un conflitto che potrebbe addirittura oltrepassare i confini nigeriani. Wiwa prosegue denunciando le malefatte delle multinazionali, in particolare della Shell, da sempre attiva nel suo paese.Purtroppo le “imprese” delle grandi corporations nei paesi del Sud del mondo sono un tema ricorrente di tutto il forum. Nel pomeriggio ascoltiamo l’agghiacciante racconto di Bianca Jagger, attivista americana per i diritti umani da anni impegnata in America Latina, che ci narra di come la ChevronTexaco abbia lasciato un’eredità pesantissima nell’Amazzonia ecuadoregna, nonostante non operi più lì dal 1991. I 34 anni di attività della ChevronTexaco in quella parte del mondo hanno causato uno dei più grandi disastri ambientali della storia. La popolazione locale ne paga ancora le conseguenze, con un alto tasso di tumori della pelle, bambini spesso nati deformi ed una drastica riduzione delle riserve idriche. Basti pensare che la ChevronTexaco aveva la pessima abitudine di scaricare nei fiumi dei pericolosissimi residui della lavorazione del petrolio. Una pratica che, ci ha detto la Jagger, lo stato americano del Texas aveva messo fuorilegge già dal 1919! Di recente le comunità locali sono riuscite a portare a processo la ChevronTexaco, che si calcola abbia provocato danni all’ambiente per un totale di sei miliardi di dollari. Da questo conteggio vanno escluse le compensazioni per la popolazione impattata. Sempre nel pomeriggio abbiamo potuto ascoltare il giornalista e scrittore inglese George Monbiot, che ha a sua volta attaccato senza remore le multinazionali petrolifere, lanciando una messaggio inequivocabile sull’esigenza di limitare quanto più possibile l’impiego dei combustibili fossili, una delle cause principali del cambiamento climatico. Cambiamento climatico che secondo Monbiot è destinato ad avere impatti devastantisoprattutto sui paesi del Sud del mondo.A dare una prospettiva alle proteste di Edimburgo ed al legame, da più parti criticato, tra il circo mediatico dei concerti e delle campagne ombrello ed i contenuti più politici del contro-vertice, ci pensa Susan George di Attac Francia. Per lei negli ultimi anni è cresciuta in maniera inequivocabile la consapevolezza globale di cosa non va nel mondo, ma chiaramente a vari livelli. Molti dei manifestanti di sabato possono e devono diventare più politici e questo è il ruolo delle organizzazioni e dei movimenti più schierati della società civile. Oggi il dramma della globalizzazione è che chi non è utile nella produzione e nel consumo, non conta ed è escluso. E’ giusto parlare di povertà, ma è più serio parlare anche delle cause della povertà. Il Sud del mondo non crede agli obiettivi di sviluppo del millennio annunciati dalle Nazioni Unite, a ragione, poiché non sono nulla di nuovo rispetto agli impegni del ricco Nord non mantenuti negli ultimi trent’anni.Le risorse complessivamente continuano ad andare dal Sud verso il Nord e non viceversa, e gli unici ad aumentare gli “aiuti” per il Sud sono gli immigrati con le loro rimesse.  Per la George ormai sono i sistemi sociali nazionali a competere nella globalizzazione, non semplicemente le merci ed i servizi. L’opposizione a questa logica aberrante ha mosso i francesi e dire “No” ad una poco chiara Costituzione Europea, almeno su questo punto. In questa situazione non abbiamo bisogno di carità per i poveri del Sud, ma di tasse globali perredistribuire la ricchezza su tutto il pianeta, come richiesto da ben 110 paesi in ambito Nazioni Unite, e di chiudere gli odiosi paradisi fiscali dove la Enron aveva ben 700 affiliati. Quindi di cancellare davvero il debito. Ma per Susan George, tutto questo sarà possibile solo se rafforziamo i movimenti perché alla fine si tratta di una battaglia di potere. “Per far ciò dobbiamo continuare ad informare politicamente, perché un cittadino informato è molto più pericoloso per il potere”, ha chiosato la George.

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