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Ambiente

L’Alta velocità si beve il Lugana

Nella primavera del 2015 potrebbero partire i lavori per realizzare la Tav tra Brescia e Verona. Secondo un’analisi costi-benefici, il vantaggio complessivo dall’opera, però, non arrivererebbe a 3 milioni di euro l’anno: un quarto delle entrate garantite oggi dalle vigne del famoso bianco Doc, una produzione di 12 milioni di bottiglie l’anno, il 70% delle quali esportate. Su Change.org la petizione (anche in inglese) per chiedere al Governo di utilizzare il tracciato già esistente

Tratto da Altreconomia 165 — Novembre 2014

Il reportage di Altreconomia dal Basso Garda, pubblicato sul numero 165 della rivista, anticipa i temi di un incontro che si è tenuto lo scorso 17 novembre, a Desenzano del Garda, promosso dal Consorzio di per la tutela del Lugana e dal Consorzio Colline Moreniche del Garda, per discutere "l’alternativa" alla TAV tra Brescia-Verona, il cui tracciato dovrebbe attraversare l’aria.
Otto amministrazioni comunali del Basso Garda, insieme a Cia, Coldiretti e Unione agricoltori provinciali e al Consorzio Lago di Garda Lombardia sono tra i primi firmatari di una petizione al presidente del Consiglio dei ministri per chiedere di utilizzare -eventualmente adeguandolo- il tracciato ferroviario già esistente.
I cantieri potrebbero partire nella primavera del 2015: tutti i rischi del progetto firmato SAIPEM per CEPAV 2 (ENI, Pizzarotti, Maltauro e Condotte d’acqua) nell’approfondimento di Altreconomia.  
 

Quando squadernano sul tavolo le carte di progetto del tratto gardesano dell’Alta velocità tra Brescia e Verona, Luca Formentini, Francesco Monstresor e Paolo Fabiani scuotono le teste perplessi. E sconsolati: sono i tre presidenti che negli ultimi 14 anni hanno guidato il Consorzio per la Tutela del Lugana, un vino bianco la cui denominazione di origine controllata (Doc), riconosciuta nel 1967,  è stata la prima in assoluto concessa in Lombardia, e sanno che nei prossimi anni le aziende associate potranno perdere il 25% della produzione. Su un totale di mille ettari vitati, distribuiti nel territorio di cinque comuni a cavallo tra le province di Brescia e Verona, tra Lombardia e Veneto, 250 ettari verranno occupati dai cantieri e poi dalla “nuova” infrastruttura, in realtà figlia di un vecchio progetto che risale agli anni Novanta del secolo scorso.
Quella del 2014, per molti, potrebbe essere stata l’ultima vendemmia: Rete ferroviaria italiana, la società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce la rete, vorrebbe aprire i cantieri entro la primavera del 2015, sfruttando la “finestra” di un (mini)finanziamento che il governo ha stanziato nella Legge di Stabilità 2014, poche decine di milioni di euro a fronte di un fabbisogno complessivo -per il completamente della tratta- di oltre 2,5 miliardi di euro, per circa 70 chilometri di ferrovia. Intanto, è partito l’iter autorizzativo al ministero dell’Ambiente per il progetto definitivo, che tiene conto e si adegua alle prescrizioni dettate dal CIPE (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) nel lontano 2003. Il “nuovo” progetto che Formentini, Montresor e Fabiani studiano, nella sala di Selva Capuzza (www.selvacapuzza.it),  l’azienda agrituristica del primo, a San Martino della Battaglia. È firmato Saipem, che è una società d’ingegneria del gruppo ENI ed è il primo azionista di CEPAV 2, cioè Consorzio Eni per l’Alta velocità, il general contractor incaricato dell’opera (e di tutta la linea tra Milano e Verona) in virtù di una convenzione firmata il 15 ottobre del 1991, cioè 23 anni fa. Socie del Consorzio sono anche le imprese di costruzioni Pizzarotti (con il 24%), Società Italiana per Condotte d’Acqua (12%) e Maltauro (12%, vedi box a fianco).
“Rispetto al progetto 2003, però, non è cambiato niente” dice Francesco Montresor, mentre si rende conto che l’area di un cantiere è disegnata proprio su uno dei suoi vigneti, vecchio di sessant’anni. Se il progetto dell’Altà velocità è sempre lo stesso, il Lugana invece è cambiato nel corso degli anni: nel 2008 s’imbottigliavano 7,3 milioni di bottiglie, mentre nel 2013 12 milioni, con una produzione complessiva di quasi 100mila ettolitri.  “La perdita secca portata dall’Alta velocità è di almeno 3 milioni di bottiglie di vino” dice Formentini. Si tratta, guardando al fatturato registrato nel 2013, di circa 12,5 milioni di euro su un valore della produzione totale di 49,2 milioni.  Il 70 per cento del Lugana, inoltre, viene esportato, ed è quindi paradossale che lo stesso primo ministro che vara un “Piano per la promozione straordinaria del made in Italy”, che sarebbe parte dello Sblocca-Italia, resti in silenzio di fronte a un progetto che rischia di cancellare una fetta importante dell’export -e del marketing turistico- di un territorio come quello delle colline moreniche, che con il comprensorio del Garda ogni anno accoglie circa 21 milioni di visitatori. L’ultima lettera è stata indirizzata “a Matteo Renzi, ai cinque ministri competenti e alle Ferrovie dello Stato il 4 settembre”, come mi spiega Gabriele Lovisetto, presidente dell’associazione “Consorzio colline moreniche del Garda”, e fa riferimento a una missiva precedente, datata 10 marzo, e ad una richiesta d’incontro che non ha mai avuto risposta. I ministeri coinvolti sono le Infrastrutture (Maurizio Lupi) e l’Ambiente (Gianluca Galletti), che già si erano detti disponibili a un incontro a marzo,  ma anche l’Agricoltura (Maurizio Martina), i Beni culturali e il Turismo (Dario Franceschini) e l’Economia (Pier Carlo Padoan). “Questa infrastruttura rischia di distruggere solo nell’area del Lugana 250 ettari di suolo agricolo di pregio, gravando da un punto di vista ambientale i Comuni attraversati, provocando disagi alle attività turistiche del lago di Garda, dove sono presenti -tra l’altro- alcuni siti Unesco -racconta Lovisetto-. Per finire, l’opera così com’è potrà causare problemi anche dal punto di vista idrogeologico”, perché prevede la realizzazione di una galleria tra Desenzano e Lonato, attraversando le colline moreniche e -come mi aveva raccontato un paio d’anni fa Valerio Romani, già docente di Fondamenti teorici di architettura del paesaggio all’Università di Genova e consulente del Consorzio tutela Lugana Doc- “bucare una ‘morena’ è un problema, perché sotto c’è un acquifero molto ricco, che scende verso il lago di Garda, un ‘reticolo’ che non andrebbe tagliato”.

Se le ragioni ambientali non scuotono il governo, almeno Pier Carlo Padoan -che per finanziare quest’infrastrutture sarà chiamato ad aprire il portafoglio dello Stato, e lo farà già con la legge di Stabilità 2015- leggerà con interesse le ragioni di natura economica e fiscale che rendono insostenibile l’Alta velocità nell’area del Lugana, un tratto di 9 chilometri su 70, secondo le analisi del professor Renato Pugno, che si occupa da decenni di valutazione economica-finanziaria di progetti ed ha insegnato questa materia anche al Politecnico di Milano. Per misurare il “valore aggiunto” dell’Altà velocità, Pugno ha considerato le variabili che è abituale leggere nelle infografiche dei grandi progetti, ovvero il tempo risparmiato, la riduzione netta dei costi di trasporto, e i costi evitati grazie alla riduzione delle emissioni di CO2  e alla sostituzione tra auto e treno. Secondo i calcoli del docente, il prodotto interno lordo “prodotto” dall’Av non arriva ai 3 milioni di euro l’anno, cioè meno del 25% delle entrate generate oggi dalle vigne di Lugana. “Dobbiamo imparare a valutare la produttività delle opere pubbliche, del capitale investito in infrastrutture -spiega Pugno ad Ae-. Ma il deficit spending non è sempre, necessariamente, positivo. Non è possibile limitarci a considerare ‘valore’ il fatturato per le imprese di costruzioni e i posti di lavoro creati durante la fase dei cantieri”. A questi calcoli va aggiunta una perdita secca per la finanza pubblica di 264 milioni di euro, dato dalla somma di un segno meno per le entrate fiscali -legate alla riduzione di fatturato dei produttori di Lugana- e di una spesa di fondi pubblici a fondo perduto (per realizzare l’investimento) e irrecuperabili, come per le linee Alta velocità realizzate lungo l’asse Torino-Salerno (vedi Ae 136). Per questo, Pugno invita a considera anche l’”opzione zero”, mentre l’associazione presieduta da Lovisetto, insieme al Consorzio, al Comitato “Parco colline moreniche del Garda”, alla Comunità del Garda, a Legambiente e alle associazioni di agricoltori, sollecitano le istituzioni a valutare “possibili alternative”, e in particolare il “potenziamento della linea esistente”, quella già percorsa anche dai treni Frecciabianca tra Torino e Venezia. Il 6 novembre scade il termine per presentare le osservazioni.
Oltre alle proteste dei produttori di Lugana, ci sono anche quelle dei No Tav bresciani, che hanno in programma una manifestazione per il 23 novembre, dopo aver portato bandiere e striscioni nell’area del Basso Garda il 5 ottobre scorso (notavbs.org). Chiara Botticini, dei No Tav di Calcinato (sul lato bresciano delle colline moreniche), spiega che “gli attivisti sono pronti ad ostacolare fisicamente gli espropri”, che secondo Rfi potrebbero iniziare dopo il primo trimestre del 2015. Per i cantieri, si prospetta l’occupazione del territorio gardesano per oltre 7 anni. Senz’altro, un volano per il turismo, tanto che anche Franceschino Risatti, presidente del Consorzio Lago di Garda-Lombardia, esprime -ad Ae- “preoccupazione per l’impatto che la linea Av potrà avere sul territorio limitrofo all’area gardesana, delle Colline moreniche del Garda”, anche per “l’impatto dei cantieri, che avranno una rilevanza significativa sia dal punto di vista della durata che dello spazio, rischiosa per l’economia turistica del territorio”. Che, numeri alla mano, indica la sponda bresciana del lago come destinazione dei tre quarti dei turisti che raggiungono la provincia di Brescia, circa 7 milioni di presenze all’anno, che genera il 15% del PIL bresciano, con un fatturato di circa un miliardo di euro. Cui il TAV non serve. —

Capitani coraggiosi
Nei bilanci di un’impresa di costruzioni c’è un dato che conta quasi di più del risultato operativo, ed è il “portafoglio ordini”. Quello del Gruppo Maltauro, al 30 giugno 2014, contiene opere per oltre 2,5 miliardi di euro, che per il 93% -la quasi totalità, perciò- dipendono da committenti pubblici, e per il 54% verranno realizzati nel Nord Italia. Del resto il Gruppo Maltauro -272,8 milioni di euro di ricavi nei primi sei mesi del 2014, con un significativo più 23 per cento rispetto al 2013- è impegnato all’interno del Consorzio che realizza i lavori dell’Alta velocità tra Treviglio e Brescia (CEPAV 2), che potrebbero continuare -a partire dal 2015- anche tra Brescia e Verona, e a Milano sui cantieri dell’Expo e di opere connesse ad Expo, in particolare le (contestate) “vie d’acqua”. Nei primi sei mesi del 2014, queste opere hanno garantito a Maltauro un valore della produzione pari a 27,1 milioni di euro, cui ne vanno aggiunti altri 14 per completare la realizzazione dello stabilimento Alenia di Cameri, in provincia di Novara, quello dove verranno assemblati gli F-35.
Nel corso del 2014, però, il nome della famiglia vicentina Maltauro è stato citato a più riprese non per le imprese economiche ma nelle cronache giudiziarie. Prima, a maggio 2014, c’è stato l’arresto di Enrico Maltauro, allora amministratore delegato del gruppo, per le presunte tangenti sugli appalti dell’Expo, che l’imprenditore avrebbe ammesso di esser stato costretto a riconoscere; poi, in ottobre, è stato arrestato anche il cugino Giandomenico Maltauro, nell’inchiesta che ha portato ai domiciliari Antonio Acerbo, già responsabile del Padiglione Italia di Expo. 

Il TAV in Tribunale
I No Tav della Val Susa portano l’alta velocità davanti a un tribunale. È il Tribunale permanente dei popoli (TPP), che ha accolto l’istanza presentata a giugno 2014 dal Controsservatorio Val Susa –http://controsservatoriovalsusa.org– insieme a un gruppo di amministratori locali. La richiesta era volta a “verificare se nelle questioni relative al TAV Torino-Lione siano stati rispettati i diritti fondamentali degli abitanti della valle e della comunità locale, ovvero se vi siano state gravi e sistematiche violazioni di tali diritti”. Il TPP, fondato nel 1979 dal senatore Lelio Basso, si occupa di questo da 35 anni, e lo fa -in particolare- nei Paesi del Sud del mondo, dove le violazioni sistematiche dei diritti delle popolazioni locali si legano all’attività delle istituzioni finanziarie internazionali e delle multinazionali europei.
Adesso, però, il prevalere delle ragioni economiche su quelle democratiche ha reso evidente che non esistono più un Nord e un Sud del mondo, come dimostra il caso delle imprese minerarie canadese, “processate” di fronte al TPP tanto per violazioni dei diritti delle popolazioni indigene in America centrale ma anche in Canada, e come ricorda nella video-intervista con Ae Gianni Tognoni, segretario del Tribunale. “Tav e Valsusa. Diritti in cerca di tutela” è anche il titolo del secondo quaderno del Controsservatorio Val Susa. Edito da Intra Moenia, costa 10 euro.

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