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L’alleanza per salvare il Gran Chaco e la memoria dei popoli indigeni

La sede del Museo Verde creata a Karcha Balut, nell’alto Paraguay © Archivio Casa degli Esploratori

Nella seconda area per biodiversità del Sudamerica -compresa tra Brasile, Bolivia, Paraguay e Argentina- un patto concordato dal Museo Verde promuove circuiti economici sostenibili tutelando il delicato ecosistema e le culture locali

Tratto da Altreconomia 240 — Settembre 2021

Non solo Amazzonia. La seconda area per biodiversità del Sudamerica, una sconfinata pianura di 1,4 milioni di chilometri quadrati nota come Gran Chaco, ha trovato una possibile via per resistere alla deforestazione. Grazie a un progetto di tutela e valorizzazione ambientale del Museo Verde, onlus nata dal confronto fra l’ex ambasciatore italiano in Brasile Gherardo La Francesca e Bruno Quirique Barras, cacique della comunità Ishir di Karcha Balut nell’alto Paraguay, i territori al centro geografico del continente latino sono stati uniti in una rete di collaborazione che si prefigge un obiettivo sociale ben preciso: restituire memoria culturale e potere di scelta alle etnie indigene degli Ava Guaranì (Bolivia), dei Caduveo (Brasile), dei Qom e Wichì (Argentina), così come degli Ishir-Chamacoco (Paraguay).

Stilato in accordo con importanti partner italiani e internazionali -fra cui il Centro cultural de la República El Cabildo, il Ceaduc (Centro de estudios antropólogicos de la Universidad católica Nuestra Señora de Asunción), la Secretaria sacional de turismo de Paraguay, ma anche il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Organizzazione internazionale italo latina americana- il “Patto per il Gran Chaco” del Museo Verde è stato incluso nel programma della Pre-COP26 di Milano, evento che dal 26 al 30 settembre si propone di discutere e selezionare i temi guida per la nuova edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP26), in programma a Glasgow dal 31 ottobre. Per l’occasione sarà inoltre organizzato un tavolo di lavoro all’Università di Padova, puntando a consolidare i rapporti fra Italia e Gran Chaco sul piano cooperativistico e imprenditoriale.

“Solo negli ultimi 20 anni sono scomparsi quasi 87mila chilometri quadrati di foresta, più della superficie dell’intera Austria, con conseguente perdita di capacità d’assorbimento di anidride carbonica pari a 13mila tonnellate per chilometro quadrato -spiega Gherardo La Francesca-. Senza un’intervento mirato, nell’arco di qualche decennio non resterà più nulla del patrimonio ambientale di quest’area straordinaria, dove si sono sviluppate peculiari piante a crescita lenta, come il famoso quebracho, il timbò rosso o il palo santo, dai legni durissimi e resistenti a insetti, funghi e a qualsiasi forma d’imputrescenza. Se il completo blocco delle operazioni di taglio è quasi impossibile, vista l’attuale posizione dei governi nazionali, lo sfruttamento intensivo può però essere rallentato, puntando a migliorare la qualità della vita delle comunità locali”.

“Solo negli ultimi 20 anni sono scomparsi quasi 87mila chilometri quadrati di foresta, più della superficie dell’intera Austria” – Gherardo La Francesca

Gli interventi di “pulizia” del Gran Chaco per lasciare spazio ad allevamenti e coltivazioni di soia risalgono almeno alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, ma da allora le ricadute per l’economia locale sono state irrisorie. Gli attuali prezzi di mercato, infatti, stimano a 10 dollari americani il costo di una tonnellata di legname pregiato (cioè piante di 200 o 300 anni), prevedendo di ricavare una media di 50 tonnellate a ettaro. Alla perdita di materie prime insostituibili su breve-medio termine, oltretutto, si accompagna la scomparsa della cultura tradizionale, essendo quest’ultima legata inestricabilmente alla preservazione dell’ecosistema.

Oltre agli alberi, nelle foreste crescono ben 115 essenze impiegate per cure mediche e artigianato indigeno, la cui unicità ha permesso nel tempo di alimentare forme di turismo sostenibile. Sono queste le principali criticità su cui il Museo Verde intende oggi intervenire, provando a tutelare la foresta con una strategia di innalzamento del valore economico del legname: vendere a prezzi molto più elevati, per cominciare a tagliare di meno. Come rilevato nel Patto, “un ettaro di foresta correttamente gestito può produrre fino a tre tonnellate di legno le quali, anziché finire in carbone, possono trovare impieghi remunerativi ricorrendo alla certificazione d’origine e potendo perciò stabilire un costo minimo di 250 dollari a tonnellata. L’odierna quotazione del teak”.

Non è che un primo passo per porre freno a una fame di risorse acuita ancor più dalla pandemia da Covid-19. Le trasformazioni in corso nell’habitat naturale impediscono infatti alle popolazioni indigene di continuare a vivere secondo gli antichi costumi, ma l’isolamento e il mancato dialogo stanno d’altro canto togliendo loro voce nelle strategie di mercato.

Tra gli scopi del progetto di tutela e valorizzazione ambientale del Museo Verde c’è anche il recupero dell’arte tradizionale indigena dell’intreccio di fibre © Archivio Casa degli Esploratori

Preso atto che l’unica vera contropartita di cui dispongono nei confronti di governo e aziende sono legname e terreni, una soluzione di compromesso rappresenta la forma di resistenza per ora più efficace. L’obiettivo di medio-lungo termine, per le comunità locali, resta naturalmente il riconoscimento delle foreste come generatrici di vita nella loro integrità e in armonica coesistenza con le attività dell’uomo. “Un recente studio dell’università Humboldt di Berlino ha fra l’altro dimostrato che la quantità di carbonio conservata nell’ecoregione del Gran Chaco è 19 volte più alta di quanto stimato in passato, circa 4,65 miliardi di tonnellate -evidenzia Tobias Kummerle, responsabile del programma “Land use” per il Laboratorio di biogeografia della conservazione di Berlino-. Il taglio indiscriminato delle sue foreste può perciò trasformarsi in una potenziale bomba climatica”.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana e in collaborazione con l’Organizzazione internazionale italo latina americana, il Museo Verde ha anche presentato a Roma, lo scorso luglio, il libro “Popoli del Gran Chaco”: una delle opere più esaurienti sul panorama etnografico e socio-economico del territorio, che aiuta a comprendere in che modo la onlus abbia creato cinque strutture di valorizzazione della cultura indigena nei centri di Karcha Balut, Carmelo Peralta e Puerto Barra in Paraguay, a Fortin Lavalle in Argentina e a Charangua in Bolivia, oltre ad altri centri museali al momento in fase di progettazione.

Un dettaglio degli album fotografici con scatti di Guido Boggiani in possesso della Società geografica italiana a Roma © Archivio Casa degli Esploratori

La rete, in realtà, deve la sua ispirazione agli studi e alla documentazione prodotti dall’esploratore piemontese, nonché pittore e fotografo, Guido Boggiani, di cui ricorrono i 160 anni dalla nascita proprio quest’anno. Originario di Omegna (Verbano-Cusio-Ossola), dove venne alla luce il 25 settembre 1861, Boggiani fu e resta infatti un punto di riferimento imprescindibile per la conoscenza del Gran Chaco a livello internazionale. “Prima di essere assassinato in circostanze misteriose, nel 1901 o 1902 -ricorda Monica Zavattaro, curatrice del Museo di antropologia ed etnologia di Firenze- Boggiani compì ripetute ricerche sul campo a partire dal 1888, inviando in Italia preziosissime testimonianze che, grazie alla collaborazione col Museo Verde, abbiamo oggi iniziato a restituire ‘digitalmente’ alle comunità indigene. Il nostro museo possiede infatti una delle collezioni più importanti in Italia e nel mondo. Quest’opera di ‘devoluzione culturale’ permette loro di riscoprire un passato rispetto al quale hanno smarrito progressivamente i legami, contribuendo al contempo a ripristinare tecniche artigianali e percorsi storici grazie a cui ricavare nuove fonti di reddito”.

Guido Boggiani è considerato alla stregua di un eroe nazionale in Paraguay. A lui è stata dedicata la “Ruta Boggiani” che collega la capitale Asunción al Gran Chaco © Archivio Casa degli Esploratori

Considerato alla stregua di un eroe nazionale in Paraguay, l’esploratore italiano viene oggi ricordato anche attraverso un percorso ufficiale che si snoda dalla capitale Asunción sino alle estreme propaggini occidentali del Gran Chaco: la “Ruta Boggiani”, presentata ufficialmente in Italia dal ministero del Turismo del Paraguay nel febbraio del 2019, col concorso dell’imprenditore e studioso veneto Alberto Ceoldo.

“La quantità di carbonio conservata nell’ecoregione del Gran Chaco è 19 volte più alta di quanto stimato in passato, circa 4,65 miliardi di tonnellate”- Tobias Kummerle

Per onorare l’anniversario dalla nascita, ma soprattutto l’importante ruolo di “ambasciatore culturale” dell’Italia in Sudamerica, a Boggiani è stato poi dedicato quest’anno uno speciale video-tributo reso disponibile sul canale YouTube della Casa degli Esploratori: la rete di collaborazione che in Italia unisce associazioni, musei, archivi, enti e professionisti impegnati a valorizzare la storia dell’esplorazione italiana.

Al filmato (“Guido Boggiani, un ulisside nel Gran Chaco del Paraguay”) hanno per la prima volta contribuito tutte le realtà culturali e i principali esperti italiani che ne alimentano la memoria, fra cui la Società geografica italiana, il Museo di storia naturale “Giacomo Doria” di Genova, il Museo delle civiltà di Roma e il Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera, realizzando inoltre un versione breve (45 minuti circa) destinata alle scuole. Il Gran Chaco ringrazia: per il secondo polmone verde dell’America Latina, una boccata d’ossigeno in più.

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