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Cultura e scienza / Attualità

Nel laboratorio che restituisce nuova vita a oggetti stupefacenti

Nello Paulucci, uno dei sei soci fondatori dell’associazione ARASS Brera © Ilaria Sesana

L’associazione non profit ARASS Brera di Milano ha come obiettivo il recupero, il restauro e la valorizzazione del patrimonio storico-scientifico di proprietà pubblica. Tra i suoi scopi c’è anche quello di formare giovani restauratori

Tratto da Altreconomia 214 — Aprile 2019

Aiutandosi con apposite spatole di legno, batuffoli di cotone e solventi, due giovani restauratrici puliscono con attenzione cilindri d’ottone di un imponente telescopio Dallmeyer-Merz datato 1863. “A quei tempi gli astronomi erano soliti ricoprire le parti in ottone dei telescopi, per ridurre o evitare i riflessi, in modo da non affaticare la pupilla”. Nello Paolucci, classe 1936, è uno dei sei soci fondatori di ARASS Brera unica associazione non profit in Italia che ha come obiettivo il recupero, il restauro e la valorizzazione del patrimonio storico-scientifico di proprietà pubblica. In poco più di vent’anni di attività (l’associazione è nata nel 1998, all’interno dell’Osservatorio astronomico di Brera) i restauratori dei ARASS hanno riportato in vita circa 15mila pezzi abbandonati nelle cantine degli istituti di ricerca o dimenticati su scaffali polverosi: telescopi e altri strumenti astronomici, strumentazioni dei gabinetti di fisica e chimica in uso tra Ottocento e Novecento, sia di tipo elettrico sia di tipo meccanico e orologi (tra cui la preziosa collezione del museo Poldi Pezzoli di Milano).

Entrare nel laboratorio dell’associazione (che dal 2005 si trova all’interno dei “Frigoriferi milanesi”, storico complesso industriale di Milano oggi riconvertito in spazio polifunzionale, che ospita diversi enti e aziende attivi negli ambiti dell’arte e della cultura) è come fare un balzo indietro nel tempo. Varcata la soglia si accede a una stanza ampia e luminosa, disseminata da oggetti e strumenti il cui nome e funzionamento risultano oggi sconosciuti ai più, come la macchina elettrostatica di Ramsden, da poco restaurata, che aspetta di essere riconsegnata ai suoi proprietari. Pendoli e orologi antichi appesi alle pareti, scandiscono le ore. “Siamo tutti volontari, chiediamo solo un rimborso spese per affrontare i costi vivi e lavoriamo esclusivamente su beni di proprietà pubblica, previo assenso della Sovrintendenza -spiega Paolucci-. Certi lavori richiedono una tale quantità di tempo e lavoro da non essere sostenibili, da un punto di vista economico, per le amministrazioni pubbliche”.

Tra gli oggetti più stupefacenti riportati a nuova vita dai restauratori di ARASS c’è anche il telescopio usato da Giovanni Virgilio Schiaparelli, primo direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera, tra il 1863 e il 1900. “Quando fu dismesso, perché superato, venne smontato e abbandonato -ricorda Paolucci-. Quando è arrivato qui era ridotto in uno stato pietoso, ci abbiamo lavorato per tre anni. C’è voluto più di un mese solo per recuperare tutte le parti che si erano salvate, altre invece sono andate perdute e abbiamo dovuto ricostruirle. Le viti, ad esempio: abbiamo dovuto ricostruirne più di 270”.

Grazie al lavoro dei volontari dell’ARASS, oggi tutti possiamo osservare il telescopio dello Schiaparelli nelle sale del Museo della Scienza e della tecnologia di Milano e l’Orologio pubblico a campane della Pinacoteca di Brera (datato 1743). “Si era fermato nel 1957, per assenza di manutenzione, quando l’ultimo orologiaio è andato in pensione”, ricorda Paolucci, che per anni ha ricercato e studiato le carte originali del progetto alla ricerca di una soluzione. Per riportare a nuova vita questi antichi oggetti, infatti, non bastano le lunghe ore di lavoro in laboratorio, tra il tornio e la fresa. Dietro ogni restauro si cela un lungo lavoro di preparazione, con intere giornate di studio e di ricerca trascorse negli archivi e nelle biblioteche per reperire tutte le informazioni disponibili sulla storia dei singoli oggetti, del processo di creazione e fabbricazione.

Due giovani restauratrici dell’ARASS. Dal 1998 a oggi i volontari dell’associazione hanno restaurato oltre 15mila oggetti © Ilaria Sesana

“Mi dicevano che sarebbe stato impossibile, invece nel 1999 ho presentato una proposta alla Sovrintendenza, che ha dato il via libera: dal 2003 l’orologio ha ripreso a funzionare. Perde un minuto ogni 3-4 giorni. Quasi un miracolo”. Paolucci, come tutti i soci restauratori dell’associazione (una ventina sui quaranta totali) non ha alle spalle un percorso di studi specifico in questo settore. “Lavoravo per l’Enel e spesso avevo a che fare con strumenti di previsione metereologica -racconta-. Per diletto ho iniziato a comprare vecchi barometri, pluviometri e altra strumentazione scientifica, poi ho iniziato a studiare come ripararli e rimetterli in funzione”.

“Il restauro non va confuso con la semplice riparazione. Saper restaurare richiede uno studio approfondito dell’oggetto, significa saper intervenire senza snaturare gli strumenti per consegnarli a chi verrà dopo di noi”, sottolinea Renato Romagnoli, presidente dell’associazione. Lavorava come ingegnere in una fabbrica che stampava tessuti e, da un vecchio orologiaio, ha imparato i segreti di un mestiere che oggi continua nel laboratorio dell’ARASS. “Quando sono andato in pensione sono venuto qui da Nello, che mi ha imbarcato subito”, racconta. Il grosso cruccio degli anziani volontari dell’associazione è la mancanza di giovani a cui poter passare il testimone: “Uno dei nostri scopi statutari è proprio quello di formare i giovani restauratori: molti ragazzi arrivano qui grazie ai programmi di alternanza scuola-lavoro e si appassionano -spiega Romagnoli-. Purtroppo però non restano perché non possiamo offrirgli un lavoro retribuito”.

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