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Ambiente / Opinioni

L’abisso culturale del consumo di suolo

La legge in discussione al Senato non frena né ferma la “speculazione edilizia” su suoli liberi o agricoli, e sembra scritta negli anni Cinquanta. “Piano terra”, l’editoriale di Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 191 — Marzo 2017
Il rudere di un immobile in costruzione su suolo agricolo - https://gruppodinterventogiuridicoweb.com

Non è consentito il consumo di suolo tranne che per “gli interventi e i programmi di trasformazione […] previsti nei piani attuativi […] per i quali i soggetti interessati abbiano presentato istanza per l’approvazione prima della data di entrata in vigore della presente legge, nonché le varianti, il cui procedimento sia attivato prima della data di entrata in vigore della presente legge, che non comportino modifiche di dimensionamento dei piani attuativi”.

Non state leggendo un estratto da “La speculazione edilizia”, scritto da Italo Calvino nel 1957. La frase arriva dal disegno di legge che il Senato sta decidendo se approvare o no, nel 2017. Alcuni articoli vanno bene, ma molti altri, come questa che è particolarmente grave e fa l’esatto contrario di quel che abbiamo bisogno, nient’affatto. Con poche parole si sta dicendo che a) i piani attuativi che galleggiano vuoti e stanchi da anni nelle carte della nostra pianificazione urbanistica non si toccano: sono “salvi”; b) basta che si faccia una domanda o semplicemente si inizi una variante a un piano perché entrambe queste azioni abbiano il via libera al consumo di suolo: non devono essere verificate e approvate da un qualche organismo, ma solo depositate. Assurdo. Tutto è delegittimato di fronte al furore del “soggetto interessato”. È come se un imputato chiedesse di essere prosciolto e questo bastasse a non fare il processo. Tutto ciò fa fare al Paese un balzo indietro e lo consegna al capriccio speculativo di proprietari terrieri, di immobiliari e finanziarie e di impresari senza scrupoli che affolleranno gli uffici tecnici comunali giusto un attimo prima si approvare la legge.

Basta una semplice domanda… capite? Un timbro del protocollo! Quello di cui invece abbiamo un bisogno urgente è invece una legge che di fronte alla sciagura del consumo di suolo e dei suoi perversi effetti sociali, economici e ambientali dica con chiarezza che le previsioni non attuate, evaporano, fintanto che ciò che già abbiamo (volumi inutilizzati, incompiuti, da recuperare, aree dismesse…) non verrà utilizzato. C’è bisogno di un congelamento preventivo delle domande di consumo di suolo e non una nuova variante smart di uno pseudo-condono. Il Consiglio di Stato nel 2012 aveva già detto chiaramente che non esiste una vocazione edificatoria dei suoli se non quando su essi ci siano già dei volumi (n. 6656).

2383 è il disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo che il Senato sta discutendo (già approvato alla Camera il 12 maggio 2016, A.C. 2039) e che contiene pericolosi scivoloni che rischiano di spalmare inutile cemento su quel che rimane del nostro Bel Paese

Se il Parlamento approva una legge del genere, addio recupero, addio rigenerazione urbana e ristrutturazioni varie. Sarà il far west: tutti correranno a costruire fin tanto che ce n’è. Anche culturalmente queste parole sono un abisso. Già, perché negli anni ’60 ci si è dannati l’anima per dire che non basta essere proprietari o “soggetti interessati” per essere automaticamente autorizzati a costruire: ora invece si torna indietro di 50 anni. Il consumo di suolo prende forma nella legge che dovrebbe fermarlo e il piano urbanistico diventa ancor più carta straccia. Il potere del sindaco viene amputato perché di lui serve solo il braccio che deve depositare cemento su suolo e non quello che può toglierlo, visto che i suoli sono bene comune e risorsa ecosistemica (così la proposta afferma, palesando il suo carattere bipolare). Mi appello al buon senso dei Senatori della Repubblica, quell’istituzione che ha l’ambizione di essere “esente da difetti” e “di esempio agli altri” (Cicerone), per statuto indifferente ai soggetti interessati, quell’istituzione che conosce il bordo pericoloso delle leggi pavide e sa che “una società non è migliore della propria idea di diritto” (Philip Allott).

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