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“La voce di Vittorio non si è mai spezzata né è stata dimenticata”

Intervista a Egidia Beretta, mamma di Vittorio “Vik” Arrigoni, ucciso a Gaza il 15 aprile 2011. In dieci anni ha continuato a trasmettere il messaggio di suo figlio. Cambiano le generazioni che vogliono conoscerlo e il filo non si spezza

Tratto da Altreconomia 236 — Aprile 2021
Egidia Beretta è la mamma di Vittorio Arrigoni. Nel 2012, dopo la morte di suo figlio, ha aperto la Fondazione Vik Utopia: ogni anno sostiene due-tre progetti nello spirito di Vittorio. Ha appoggiato iniziative a Gaza e in Afghanistan ma anche in Sud America, Europa, Africa © Gianpietro Malosio / Fotogramma

“Mi sento ancora orfana di mio figlio”. Usa un paradosso Egidia Beretta, la madre di Vittorio Arrigoni, per parlare del decimo anniversario dell’uccisione del figlio. “Come allora, mi sento come se mi mancasse un pezzo, di cuore e di vita. Nonostante tutti questi anni siano stati anche belli, per quello che è successo attorno a me, per gli incontri, le dimostrazioni e l’enorme affetto che ho ricevuto. Le persone hanno fame di Vittorio, vogliono conoscerlo, gli vogliono bene e questo mi ha aiutato tantissimo”.

Come si sente nel decimo anniversario?
EB Per me non si tratta di una ricorrenza da ricordare in maniera diversa. In parte sono serena, ma la mancanza di mio figlio per me è sempre enorme e anche se, come ho detto, questi anni mi hanno portato tanto affetto, non dimentico mai che tutto parte da un assassinio.

Cosa ricorda oggi a mente fredda di quei giorni? Vede tutto nella stessa maniera?
EB A volte ho dei ricordi vaghi, a volte confusi, altre mi attardo a ripercorrere tutti i passi e quelle ore. Altre ancora mi scrollo tutto di dosso. Ricordo con grande dolore il momento in cui mia figlia Alessandra sentì alla tv che avevano trovato un corpo e che era di Vittorio. Andai da Ettore, mio marito, che era nel letto gravemente malato: “Il nostro Vittorio è morto”, gli dissi. La telefonata della Farnesina arrivò poco dopo.

Che cosa sa dei rapitori rimasti in vita? Ha mai cercato un contatto?
EB L’unico contatto è stato con i loro familiari, che ci chiesero di intercedere presso il tribunale militare di Gaza affinché non fosse applicata la pena di morte e così facemmo. Non mi è mai interessato, né interessa, avere un contatto con loro.

“ll fatto che venga continuamente ricordato significa tanto per me, significa che quella vita errabonda è stata la cosa più bella che Vittorio potesse fare per lui e per molti altri”

Li ha perdonati?
EB No, assolutamente. Per perdonare una persona devi conoscerla, vederla, cercare di capire. Non lo volevo allora e non lo voglio oggi.

Lei allora mi disse che aveva una sua idea su quello che è successo a suo figlio, l’ha cambiata? Perché secondo lei è stato ucciso?
EB Fin dall’inizio ho pensato che ci fosse un mandante più in alto degli esecutori, anche se non so dare contorni definiti alla mia sensazione. Forse credere che non sia stato semplicemente un colpo di testa è un tentativo di lenire il cuore. Penso che sia stato ucciso per metterlo a tacere, lo penso oggi più di ieri, anche se non ho ricevuto nuove informazioni o prove a riguardo.

Lei ha scelto di continuare a diffondere il messaggio di suo figlio invece che condurre una battaglia per rivendicare la verità di quello che è successo. Crede che non si arriverà mai alla verità? O le basta quella giudiziaria?
EB L’ho fatto perché credo che nel mio caso sia un dispendio inutile di energie, anche per la mia anima, conservare per sempre questo rancore. Apprezzo chi lo fa, come i genitori di Giulio Regeni, ma quella è un altro tipo di battaglia -su come, dove e soprattutto sulle responsabilità di quello che è accaduto- e capisco la loro scelta. Io so di avere un altro compito, il compito che Vittorio mi ha affidato e che mi aiuta a restare più serena, una condizione dello spirito migliore per quando ci rincontreremo. La mia sarebbe una battaglia contro i mulini a vento e allora mi accontento della verità giudiziaria, anche se non ho mai nascosto alcune perplessità, in particolare sulle ricerche. Il mio unico rincrescimento è che non è stata fatta luce fino in fondo sul presunto leader del gruppo, il giordano.

Vittorio Arrigoni è stato rapito e ucciso a Gaza il 15 aprile 2011. Per il decimo anniversario della sua morte, molte iniziative lo ricordano tra cui il podcast “Le ali di Vik” e il contest lanciato dall’agenzia giornalistica Nenanews © Filippo Bacciocchi

Come sono stati questi anni in giro per l’Italia a raccontare suo figlio? Che bilancio ne trae?
EB Sono contenta. L’eredità di Vittorio è ancora fortissima, la sua voce non si è mai spezzata né è stata dimenticata. I primi giovani a cui l’ho raccontato sono cresciuti e adesso ci sono le nuove generazioni, quelli che erano troppo piccoli per ricordare, che vogliono conoscerlo. È un filo che non si spezza.

Che cosa resta ai ragazzi di Vittorio?
EB Gli resta in mente il Vittorio fermo, deciso, che non ha mai rinunciato a seguire i suoi ideali, la sua via, utopia, nonostante le difficoltà e le privazioni. Li stupisce la forza interiore che lo ha portato ad andare avanti, la costanza e la voglia di superare le difficoltà. E li sorprende che io non mi sia opposta alle sue scelte, ma lo abbia lasciato “volare”. Quando mi domandano il perché, stanno pensando ai loro sogni e sperando nelle loro madri.

Cosa ha imparato da tutti questi incontri?
EB Che ci sono molte più persone di quanto si possa pensare generose, altruiste, che aspirano ad una vita in cui possano aiutare gli altri. Che l’Italia e gli italiani sono un popolo grande. L’ho capito per l’accoglienza e l’affetto che ho sempre ricevuto e che mi ha dato la forza in tutti questi anni. C’è un’Italia che si conosce poco, che esiste e resiste.

“‘Restare umani’ credo significhi guardarsi attorno, non stare rinchiusi dentro le mura dell’egoismo, ma mettersi a disposizione”

L’uccisione di suo figlio l’ha cambiata, se sì in che senso?
EB Sono sempre stata una persona che tendeva a vedere l’umanità negli altri e lo sono ancora, anzi forse ora di più, perché l’ho constatata di persona. La mia quotidianità certo è cambiata: ho molti contatti, il lavoro della Fondazione che prima non c’era e che avrei preferito non ci fosse, ma che ha dato forma alla positività degli incontri, agli scambi… È incredibile notare come tanti siano desiderosi di “appropriarsi” delle esperienze di Vittorio.

Vittorio è stato inserito tra le vittime del terrorismo e con i fondi avete rinsaldato la Fondazione Vik Utopia. Che cosa avete realizzato in questi anni?
EB La fondazione (fondazionevikutopia.org) è nata nel 2012 con fondi nostri, addirittura con i risparmi che erano rimasti sul conto di Vittorio. Il riconoscimento di vittima del terrorismo è arrivato nel 2015 e i fondi solo successivamente. Ogni anno finanziamo due-tre progetti nello spirito di Vittorio, cioè lasciare qualcosa di costruito, concreto, e che vada a beneficio soprattutto dei bambini o dei ragazzi, i più fragili e bisognosi, e a cascata naturalmente anche delle loro famiglie. A Gaza abbiamo realizzato diversi progetti, ma anche in Africa, Sud America, Europa, in Afghanistan, quest’anno in Bosnia.

A livello istituzionale è cambiato qualcosa? È stata contattata da esponenti politici in questi anni?
EB Nessuno si è avvicinato. Tutti mi chiedono perché anche a livello istituzionale non venga ricordato e io rispondo che non lo so. Di certo io non vado a cercare niente o nessuno. Io e Alessandra siamo state invitate a Roma per la giornata nazionale delle vittime del terrorismo e siamo andate un paio di volte, ci sembrava un dovere, ma è qualcosa di molto molto formale.

Anche grazie a lei ci sono state molte iniziative dedicate a Vittorio. C’è qualcosa che vorrebbe che ancora non è riuscita a fare?
EB Mi piacerebbe andasse a buon fine un documentario realizzato da due giovani laureati alla scuola d’arte di Roma. Il progetto prevede diverse forme di espressione, tra cui anche l’animazione, con la graphic novel che Stefano Piccoli ha dedicato a Vittorio. Per ora è fermo, spero riparta.

Per l’anniversario avete previsto qualche iniziativa?
EB Se ci fossimo trovati in un’altra situazione (senza Covid-19), lo avremmo ricordato a Bulciago ad aprile. Mi sto meravigliando di come tanti lo stiano facendo o lo faranno in quei giorni. Ricordo, tra gli altri, il podcast “Le ali di Vik”; un’iniziativa dell’associazione Assopace Palestina; uno spettacolo dell’Anpi di Aprilia tratto dal libro di Vittorio; l’evento “Buon compleanno Faber” organizzato dalla biblioteca di Monserrato in Sardegna, il contest lanciato dall’agenzia giornalistica Nenanews. Le persone ci hanno sostituito.

Non se l’aspettava?
EB No, anche se forse il funerale è stato un presagio. Ricordo lo stupore, la gioia e la riconoscenza per tutte quelle persone. Il fatto che venga continuamente ricordato significa tanto per me, significa che quella vita errabonda, che ci teneva un po’ in pensiero, è stata la cosa più bella che Vittorio potesse fare per lui e per molti altri.

Cosa vuol dire per lei “restare umani”?
EB Questa è la domanda più difficile perché tutte le risposte rischiano di sembrare frasi fatte. Credo che significhi guardarsi attorno, non stare rinchiusi dentro le mura dell’egoismo ma mettersi a disposizione.

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