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Diritti / Opinioni

La vivisezione e i diritti animali

L’autoritarismo crescente nella società si manifesta anche nella nuova direttiva Ue che definisce i confini della sperimentazione scientifica. Ma il tema non entra nell’agenda politica

Tratto da Altreconomia 136 — Marzo 2012

La cosiddetta “sperimentazione scientifica” è uno dei pochi temi “animalisti” percepiti e discussi dall’opinione pubblica. Ciò nonostante il nostro Parlamento ha recepito nel silenzio generale una Direttiva europea sulla vivisezione, che segna un brutto arretramento nella tutela della dignità e dei diritti animali. La discussione è stata vissuta come una questione marginale, che agita sparuti gruppi animalisti, ma non tocca le grandi questioni attinenti il grado di libertà e di giustizia nella società. E dire che la vivisezione, ma è meglio dire il rapporto fra gli umani e gli altri animali, è una grande questione di potere, con forti implicazioni sociali e morali. L’allevamento e l’uccisione di animali costituiscono un business internazionale; la vivisezione è sostenuta da una potente lobby medica e farmaceutica, che ha ottenuto dalle istituzioni europee una normativa favorevole, che porta il titolo-beffa di  “Direttiva sulla protezione degli animali utilizzati a fini scentifici”. Queste misure di protezione prevedono, fra l’altro, la facoltà di utilizzare più volte lo stesso animale, di compiere esperimenti senza anestesia, di sopprimere gli individui utilizzati in laboratorio con tecniche come la percussione alla testa, l’asfissiamento tramite biossido di carbonio, la distruzione del cervello. L’approvazione di questa “direttiva della vergogna”, come è stata definita dagli animalisti, è in controtendenza sia rispetto alla crescente sensibilità per i diritti animali, sia rispetto al dibattito interno al mondo scientifico, che è diviso circa l’utilità della sperimentazione animale e sempre più orientato verso forme di collaudo alternative (in vitro, con simulazione digitali). Quel che emerge, alla fine, è la distanza che permane fra la politica e la “questione animale”.
Max Horkheimer, nel 1933, descrisse la società capitalistica come un grattacielo: in alto i grandi magnati in lotta fra loro; più sotto i magnati più piccoli; sotto ancora professionisti e manovalanza politica; in fondo poveri, disoccupati cronici, popoli colonizzati e così via. E ancora più sotto, scriveva Horkheimer, c’è “l’indescrivibile, inimmaginale sofferenza degli animali, l’inferno animale della società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali. Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista del cielo stellato”. Questo passo, un possibile manifesto dell’animalismo politico, è stato presto dimenticato. La società dei consumi, nel dopoguerra, ha confermato le gerarchie e messo in piedi un apparato di allevamento e sterminio degli animali di tipo totalitario, portando a un incremento dei consumi di carne e causando fortissimi danni ambientali (in termini di consumi di suolo e di acqua, e poi di liquami prodotti e di inquinamento atmosferico).
È la catastrofe del mondo animale, che nasconde anche un’espansione dell’autoritarismo. Eppure molti di noi, che si battono per i diritti umani, per l’eguaglianza, contro le crescenti forme di razzismo, osservano con indifferenza e cinismo la sorte degli animali non umani. La lotta allo specismo -cioè la pretesa del genere umano di disporre degli altri animali come oggetti- non è sottoposta alla critica che merita. Si applica al mondo animale un principio di autorità che trasforma la differenza in gerarchia: è lo stesso principio che vale all’interno della specie umana. La filosofia antispecista sostiene che liberazione umana e liberazione animale dovrebbero unirsi, rafforzandosi reciprocamente. E invece circuiti organizzativi e militanti viaggiano separati.
La Direttiva europea sulla vivisezione ha portato nuovamente alla luce questa debolezza e tuttavia proprio dall’attivismo animalista arrivano segnali promettenti. Il Parlamento italiano, nel recepire il testo europeo, ha discusso un emendamento -il divieto di allevamento di cani, gatti e primati a fini di sperimentazione- che dovrebbe portare alla chiusura dello stabilimento Green Hill di Montichiari (Bs), un allevamento di cani beagle sottoposto a una delle poche campagne animaliste entrate nel fascio di luce dei grandi media negli ultimi mesi. Montichiari nei mesi scorsi è stata teatro di azioni e cortei che hanno stupito per intensità, costanza e partecipazione. La possibile lezione è questa: in un mondo in cui l’autoritarismo e la pressione dei poteri forti crescono, la lotta per la giustizia e per l’eguaglianza può trarre vantaggio da un allargamento dello sguardo, da una tensione solidale che coinvolga quelli che Aldo Capitini definiva “i più oppressi fra gli oppressi”, ossia gli animali non umani. —

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