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Economia / Opinioni

La transizione ecologica o mette in discussione la crescita o non è “vera” transizione

Efficienza e riduzione sono le due gambe della transizione ecologica, scrive Francesco Gesualdi, fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo e anima del consumo critico. Altrimenti resisterà il “gigantismo” capitalista e il suo “mito della ricchezza”, causa del degrado attuale e nemico della dignità delle persone

Balmy Alley, San Francisco © Koushik Chowdavarapu - Unsplash

Dopo aver messo il Pianeta a ferro e a fuoco, ora il sistema capisce di dover fare qualcosa, ma lo fa con lo stesso istinto che ha provocato il disastro e non fa che ingannare se stesso. Diciamolo chiaramente: il Pianeta vive uno stato di crisi a 360 gradi che si manifesta sotto due forme. L’assottigliamento delle risorse e l’accumulo dei rifiuti. 

Per quanto riguarda le risorse, fino a ieri la preoccupazione principale era il petrolio, oggi si guarda soprattutto all’acqua, alla terra fertile, alla biodiversità, alle foreste, ma anche ai minerali, in particolare le cosiddette terre rare che stanno alla base delle nuove tecnologie dell’energia rinnovabile, della digitalizzazione, della robotizzazione. Ma è rispetto ai rifiuti che il sistema sta tentando la più grande operazione di autoinganno facendoci credere che il problema sia limitato all’anidride carbonica. Da quando abbiamo scoperto che il clima ha già cominciato a cambiare e che le sue conseguenze possono essere catastrofiche per gli eventi estremi che possono condurre ad alluvioni e canicole, alla desertificazione, alla perdita di raccolti agricoli, a migrazioni di massa connesse all’innalzamento dei mari, anche i capi di Stato hanno riconosciuto che bisogna cercare di ridurre le emissioni di gas serra. 

Ma che dire della plastica che si sta accumulando ovunque e che ci torna indietro sotto forma di particelle dissolte nell’acqua che beviamo e nei pesci che mangiamo? E che dire dei veleni e delle sostanze chimiche che ogni anno buttiamo a milioni di tonnellate sui suoli agricoli che oltre a provocare l’avvelenamento delle falde acquifere, ci fanno perdere migliaia di tonnellate di suolo fertile? E che dire delle polveri sottili che appestano l’aria delle città esponendo a rischio cancro non solo i nostri polmoni ma qualsiasi altro organo?

Se facciamo un’analisi seria del come siamo arrivati a tanto degrado, scopriamo che parte della colpa è di una mentalità che considerando la natura un bene senza valore, l’ha trattata come un magazzino da saccheggiare e una pattumiera da riempire. Ma l’altra pezzo di colpa sta nei miti posti a fondamento della concezione capitalistica: il mito della ricchezza, della mercificazione, dell’accumulo, dell’onnipotenza. In una parola il mito della crescita che ha portato al gigantismo, all’inurbamento, al produttivismo, al consumismo, all’accelerazione, da cui derivano tutti i nostri guai. Dunque se volessimo davvero fare pace con la natura e riportarci nel perimetro della sostenibilità, quella vera che tiene conto dell’equità a livello planetario e del rispetto delle generazioni future, è la crescita che dovremmo mettere in discussione. Ma da questo orecchio il sistema non ci sente e riduce tutto a una questione di efficienza. 

Fino a qualche tempo fa l’efficienza era concepita solo in chiave quantitativa. Vedendo le cose solo dal lato dei costi e dei ricavi, la sfida era come riuscire ad ottenere il massimo di produzione col minimo di materia prima, ossia di spesa. Oggi l’efficienza si comincia a concepire anche in chiave qualitativa e la sfida di molte imprese è come accrescere l’uso di materia prima seconda per limitare il consumo di materia prima vergine. Per cui, oggi l’idea di efficienza comprende anche le tecniche di recupero e di riciclo. Non a caso quando si pensa alla transizione ecologica si pensa soprattutto all’economia circolare e alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Due pratiche senz’altro necessarie ma non sufficienti per ridurre sul serio la nostra pressione sul Pianeta. 

Già nel 1800 un economista inglese di nome Jevons fece notare che non bastava avere caldaie più efficienti per ridurre il consumo di carbone. Se contemporaneamente si moltiplicavano le caldaie in uso, il consumo complessivo di carbone ovviamente sarebbe aumentato. E di fatti così è successo. Tutto questo per dire che la vera transizione ecologica deve necessariamente camminare su due gambe: l’efficienza e la riduzione. Se vogliamo ridurre il consumo di alberi dobbiamo produrre e consumare meno carta, se vogliamo ridurre il consumo di plastica dobbiamo produrre meno imballaggi che si ottiene con uno stile di vita complessivamente più sobrio, se vogliamo ridurre i veleni in agricoltura dobbiamo mangiare meno carne, se vogliamo ridurre il consumo di energia dobbiamo ridurre i nostri elettrodomestici e i nostri spostamenti. E se proprio vogliamo continuare a viaggiare, allora dobbiamo disporre di mezzi pubblici capillari, frequenti e all’avanguardia da un punto di vista energetico. 

La conclusione è che la transizione ecologica non si attua solo sul lato della produzione, ma in ugual misura da quello del consumo. E qui l’intervento del soggetto pubblico è ancora più determinante che in ambito produttivo, premesso che l’obiettivo da raggiungere è la riduzione dei consumi senza sacrificare la dignità di nessuno. Per garantire il diritto alla lettura a basso impatto ambientale ci vuole una fitta rete di biblioteche pubbliche, per garantire il diritto alla mobilità riducendo l’uso del mezzo privato ci vuole un buon servizio di trasporto pubblico, per ridurre il consumo di energia in ambito domestico ci vogliono ampi interventi di ristrutturazione edilizia che molte famiglie possono sostenere solo se adeguatamente sorrette da contributi pubblici. 

Tutte tematiche che automaticamente sollevano molte altre questioni, prima fra tutte un’adeguata politica fiscale affinché lo Stato possa incassare tutte le risorse di cui ha bisogno per garantire servizi adeguati ai cittadini, prelevando la ricchezza dalle tasche di chi ce l’ha. E poi c’è la questione del ruolo dello Stato in economia. Dopo l’ubriacatura neoliberista, che pretendeva di estrometterlo da qualsiasi servizio che non fossero quelli di interesse generale come l’anagrafe, la polizia e la magistratura, la concezione sociale è riuscita a riguadagnare un po’ di spazio solo in termini di assistenza al reddito. Ma una vera transizione ecologica richiede una collettività forte non solo come fornitrice di servizi, ma anche come datrice di lavoro di ultima istanza. Perché la riduzione dei consumi potrà essere accolta con favore solo se la gente saprà come avere un lavoro pur in presenza di minori consumi. E la risposta può venire solo da una solida economia pubblica che col lavoro di tutti garantisce i bisogni fondamentali di tutti e la tutela dei beni comuni. 

Quando la sicurezza delle nostre vite sarà garantita dalla comunità organizzata, quel giorno torneremo alla vera sovranità di chi può imporre al mercato tutte le regole ambientali e sociali che servono per il rispetto della natura e delle persone senza paura di ricatti occupazionali come invece avviene oggi. 

Francesco Gesualdi (1949), allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, nel 1985 ha fondato a Vecchiano (PI) il Centro nuovo modello di sviluppo (cnms.it), da cui vengono lanciate le prime campagne di sensibilizzazione e informazione per un consumo critico in Italia. Per Altreconomia edizioni ha scritto tra gli altri “L’altra via” (2009) e “Cambiare il sistema” (2014)

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