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La storia nera di Confindustria

Nel saggio “Confindustria nella storia della Repubblica”, Elio Catania ricostruisce le relazioni politiche della principale organizzazione di difesa degli interessi industriali. Emergono legami con l’estrema destra e un ruolo centrale giocato nel periodo della “strategia della tensione”

Ripercorre i rapporti tra Confindustria e la politica il saggio “Confindustria nella storia della Repubblica (1946-1975). Storia politica degli industriali italiani dal dopoguerra alla strategia della tensione” (Mimesis edizioni, 2021), scritto dal ricercatore indipendente in Storia Elio Catania. L’autore riannoda i fili di una narrazione finora rimasta senza un’analisi specifica: la storia politica della principale organizzazione di interesse degli industriali e il suo ruolo durante il “quinquennio nero” dal 1969 al 1974.

“Nella storiografia repubblicana e in particolare in quella della ‘strategia delle tensione’ mancava una storia complessiva di Confindustria e degli industriali che non fosse agiografica o celebrativa. Questa è stata la premessa del mio lavoro con cui ho voluto approfondire il ruolo dell’organizzazione e del capitale privato, spesso descritta come un soggetto naturalmente positivo e centrale per il progresso sociale e la ricostruzione degli equilibri economici del Paese nel secondo Dopoguerra”, spiega Catania ad Altreconomia. Laureato in Storia dei conflitti nel mondo contemporaneo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, Catania ha lavorato nell’associazione Lapsus, laboratorio di analisi storica sul mondo contemporaneo. Ha collaborato con lo storico e saggista Aldo Giannuli, che è stato consulente della Procura di Milano per la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969), della Procura di Brescia per la strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974) e della Commissione Stragi. “Sono stato suo ausiliario nella ricerca richiesta dal pubblico ministero in occasione dell’ultimo processo sulla strage di Brescia. Ho avuto la possibilità di studiare gli archivi che contengono una vasta mole di fonti, dai documenti dell’Ufficio affari riservati del Viminale e dello Stato maggiore dell’Esercito fino agli archivi di sindacati e partiti, e alle inchieste giudiziarie e giornalistiche. Sono 1,3 milioni di pagine di documenti digitalizzati”.

Nel suo saggio ricostruisce il ruolo e le azioni di Confindustria nell’età repubblicana. Quando iniziano i rapporti dell’organizzazione con la destra?
EC Confindustria ha sempre mantenuto relazioni con interlocutori politici privilegiati, in particolare nell’immediato dopoguerra con il Partito liberale. Nel momento in cui quest’ultimo ha iniziato ad avere un peso politico minore rispetto alle aspettative iniziali, l’organizzazione ha diversificato i suoi rapporti stringendo legami anche con la destra neofascista più che con quella monarchica. Già nel 1950 -quando il Parlamento stava discutendo un pacchetto di leggi speciali sull’ordine pubblico- abbiamo documenti che dimostrano contatti di Confindustria con Junio Valerio Borghese, il “principe nero” che sarà protagonista di uno dei successivi tentativi di golpe in Italia. In tale caso il rapporto si concretizza con la proposta di organizzare e coinvolgere i gruppi neofascisti di Borghese per costituire possibili milizie anti-sciopero e anti-operai da utilizzare in occasione dei cortei, oltre che da impiegare contro la mobilitazione dei sindacati. Già nella metà degli anni Cinquanta si sviluppano rapporti con il Movimento sociale italiano (Msi), sia con la segreteria di maggioranza (cioè l’opzione moderata rappresentata dal segretario del partito Arturo Michelini) sia con la corrente di destra capeggiata da Giorgio Almirante. Al 1962 risalgono le prime notizie relative a relazioni con il Centro Studi Ordine Nuovo, l’associazione di estrema destra fondata da Pino Rauti fuoriuscito nel 1956 dal Msi.

Nel suo saggio fa quindi riferimento anche ai rapporti di Confindustria con Ordine Nuovo. In che modo si sono definiti?
EC Una nota dell’Ufficio affari riservati, il servizio di intelligence del ministero dell’Interno che aveva una relazione specifica con l’organizzazione di Rauti, parla di finanziamenti da parte di Confindustria verso Ordine Nuovo nel 1962. Sappiamo che ci sono stati diversi incontri successivi nelle metà degli anni Sessanta e Settanta. Si parla di ricevimenti, organizzati da industriali, dove erano invitati esponenti dell’estrema destra. C’è poi la storia di un presunto finanziamento da 18 milioni di lire ad opera di Sarom, la società dell’industriale Attilio Monti, a Ordine Nuovo. Monti, proprietario del quotidiano Il Giornale d’Italia ed esponente della destra industriale più conservatrice, è stato processato al riguardo nel primo processo per i fatti di Piazza Fontana e poi assolto. Ci sono quindi elementi per potere raccontare una relazione di Confindustria, e in generale di singoli industriali, con organizzazioni neofasciste.

Quali erano gli obiettivi di questa strategia?
EC Bisogna fare una premessa. Quanto al posizionamento verso il sindacato e lo Stato, all’interno di Confindustria c’erano opinioni diverse. La mia tesi è che dagli anni Sessanta, l’organizzazione si è unita a quello che definisco “blocco civile militare”. Non si tratta di un’organizzazione istituzionale o un soggetto ufficiale: è un fenomeno di aggregazione di interessi specifici che nella metà degli anni Sessanta costituisce una rete di relazioni sempre più costanti tra l’intelligence militare, una parte della classe dirigente e gli apparati di sicurezza dello Stato più conservatori e anticomunisti.

Questo blocco si aggrega ai soggetti civili con cui condivide l’obiettivo di limitare la presunta minaccia del marxismo e la grande conflittualità sociale della classe dei lavoratori in Italia. In tale blocco una componente è appunto quella degli industriali. Possiamo affermare che c’erano due orientamenti prevalenti nel periodo che va dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Settanta: una corrente più favorevole a una soluzione “alla greca”, quindi a un regime militare nato con un colpo di Stato schierato a destra fino al neofascismo, e una corrente vicina alla soluzione “alla francese”, cioè un modello di presidenzialismo forte alla Charles de Gaulle. In questo contesto c’è l’obiettivo di limitare profondamente la spinta egualitaria che portava alle richieste di una maggiore distribuzione della ricchezza, dell’aumento dei salari e che chiedeva il riconoscimento di fatto dei diritti del lavoro. Un fine che unisce le singole correnti di Confindustria.

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