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Diritti / Approfondimento

La storia di M. che su TikTok documenta la vita dentro i Centri di permanenza per il rimpatrio

Trattenuto nei Cpr di Gradisca d’Isonzo e di Palazzo San Gervasio, il giovane originario del Marocco è riuscito a riprendere e a condividere le condizioni disumane della detenzione amministrativa. Ne è derivata una sorta di diario che raccoglie le sofferenze dei trattenuti, tra cibo scadente, abuso di psicofarmaci e atti di autolesionismo. Ora è libero ma non ha interrotto questo gesto di resistenza e solidarietà

Un uomo in biancheria intima è in piedi al centro del piccolo cortile che sta fuori dalla sua stanza nel Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO) mentre viene lavato da un operatore con un tubo di gomma attraverso le sbarre. I suoi compagni riprendono la scena con il telefono e pubblicano il video su TikTok, dove lo vede M., che riconosce immediatamente il luogo.

Fino a poche settimane fa, del resto, anche lui era lì dentro. Da febbraio ad aprile del 2025, M. è stato trattenuto all’interno del Cpr di Gradisca d’Isonzo, ora è libero grazie all’aiuto della rete Mai più lager-No ai Cpr, ma non dimentica ciò che ha passato. Ripubblica il video del ragazzo e di tutti gli altri che filmano le condizioni disumane e degradanti all’interno dei centri.

Sa bene che raccontare significa resistere, lui che aveva documentato sui social i suoi mesi all’interno di Gradisca d’Isonzo. Aveva iniziato a usare TikTok per gioco, fino a trasformare il suo profilo in un diario online attraverso cui raccontare la vita all’interno dei Cpr. Nella maggior parte delle strutture non è possibile avere un telefono personale, soprattutto se dotato di fotocamera: i Cpr di Milano e di Gradisca d’Isonzo rappresentano un’eccezione. La cosiddetta “direttiva Lamorgese” (dal nome della prefetta ed ex ministra dell’Interno) del 19 maggio 2022 stabilisce l’obbligo di consegna dei telefoni personali all’ente gestore, una volta entrati nelle strutture. Il Tribunale di Milano ha tuttavia permesso l’utilizzo dei telefoni personali per i richiedenti asilo all’interno del Cpr di via Corelli, mentre nella struttura friulana questi vengono semplicemente consentiti dal gestore. M. ha fatto buon uso di questa “deroga” e tramite i social è riuscito a portare la realtà dei Cpr sulle schermate di migliaia di utenti.  

Cresciuto in Marocco dalla nonna, nessun precedente penale, M. è arrivato in Italia tre anni fa, vivendo tra Bergamo e Novara per lavorare nel mondo dell’edilizia, cercando di regolarizzare la sua posizione ma trovando spesso solo sfruttamento. Era proprio al lavoro quando è stato trovato senza documenti e portato nel Cpr di Gradisca d’Isonzo a inizio 2025. Appena è entrato non riusciva a capire dove si trovava, ad Altreconomia racconta che erano in quattro nella sua stanza e che sono stati una settimana senza sapone, dentifricio e carta igienica. Il cibo gli creava spesso problemi intestinali, era frequente infatti che lui e i suoi compagni si sentissero male dopo i pasti, condividendo un unico bagno.  

I suoi video hanno tutti lo stesso sfondo, scandito da sbarre e reti di ferro che bloccano il cielo. Gli operatori filmati si muovono come fantasmi nello sfondo, ignorano le urla e proseguono tra i corridoi labirintici che dividono i moduli del Cpr di Gradisca. Per attirare la loro attenzione i trattenuti sono costretti a ricorrere a gesti estremi. “Lì tutti cercano di farsi del male a causa dei gravi maltrattamenti subiti- racconta M.-. Ho passato cinque giorni a urlare e richiedere medicine per i denti e la schiena ma nessuno mi ha risposto. Quando ne ho avuto occasione sono uscito verso il medico ma ho trovato la polizia di fronte a me. Gli ho raccontato la mia storia ma mi hanno comunque detto di tornare in camera mia, a quel punto ho iniziato a tagliarmi le mani e i piedi davanti a loro e, nonostante ciò, mi hanno portato con la forza nella mia stanza e mi hanno picchiato sulla schiena”.

M. mostra così le foto dei lividi, delle ferite profonde delle gambe e delle braccia. Il referto medico rilasciato il 19 marzo del 2025 parla di otto punti di sutura. “Due persone invece avevano bisogno di assistenza medica, uno per i denti, l’altro per una ferita al piede, hanno urlato per ore e non hanno ricevuto risposta, così hanno ingerito per protesta del detersivo per pavimenti”. Mentre filma i due uomini sdraiati a terra vicino al loro vomito, M. urla disperato per attirare l’attenzione di qualcuno, ma i soccorsi tardano quaranta minuti ad arrivare, mentre la polizia in tenuta antisommossa è già di fronte a loro. L’assistenza medica per i trattenuti sembra non esistere se non quando si giunge in situazioni emergenziali. “Quando chiedi le medicine per i denti o la schiena ti danno la medicina per dormire, il Valium”.

La sedazione dei trattenuti risulta funzionale al contenimento delle proteste nei Cpr, ma soprattutto per molti diventa l’unica soluzione per sopravvivere alle condizioni alienanti delle strutture. Nei suoi video spuntano appesi alle grate anche dei cappi bianchi ricavati dalle lenzuola. Quando ha iniziato a raggiungere visibilità sono arrivate le minacce di un rimpatrio accelerato o di un trasferimento verso un altro Centro dove non avrebbe più potuto avere un telefono. M. però ha continuato a filmare, voleva che gli altri sapessero ciò che erano costretti a sopportare. Inoltre, ogni contenuto pubblicato era un ponte con il mondo esterno, un modo per sentirsi ancora libero. M. e i suoi compagni resistevano come potevano all’isolamento, cercando di ritagliarsi degli attimi di svago, senza mai riuscire a dimenticare dove si trovavano.

Le minacce si concretizzano e a fine marzo 2025 M. viene trasferito nel Cpr di Palazzo San Gervasio (PZ) in Basilicata, in cui da inizio anno l’ente gestore Engel Italia, diventato poi Martinina Srl, è sotto processo per frode nelle pubbliche forniture e maltrattamenti aggravati per il periodo compreso tra il 2019 al 2022. “Sapevo che qualcosa non andava. Non ho dormito per tutta la notte, verso le sette del mattino sono arrivati a prendermi circa quindici poliziotti, mi hanno detto che dovevo prendere i miei vestiti e venire con loro, che dovevo stare tranquillo e che non mi avrebbero rispedito in Marocco, ma io gli ho risposto che preferivo tornare in Marocco piuttosto che essere trasferito in un altro Cpr senza telefono”.

Nella struttura lucana, infatti, i telefoni messi a disposizione sono per uso comune e privi di fotocamera: continuare a documentare diventa così impossibile. Ciò che sciocca M. al suo arrivo nel nuovo Cpr è la presenza dei codici identificativi. “A Palazzo San Gervasio non ti chiamano neanche per nome, lì sei soltanto un numero, quando ti tolgono anche nome e cognome per te è finita. Ho chiesto a un operatore che cosa significasse quel numero, mi è stato risposto che indica quante persone sono passate nel Centro prima di te, stando al mio numero sono più di cinquemila”.

Durante il trattenimento nella nuova struttura M. condivide il telefono di proprietà del Cpr con i suoi compagni di stanza, riuscendo fortunatamente a sentire i suoi legali e a ottenere la libertà.

Ora M. ripubblica i video di chi come lui sta avendo il coraggio e la possibilità di denunciare cosa avviene nei Centri, ma non solo, sul suo account mostra che c’è vita dopo i Cpr. Una vita che non è di certo come si immaginava. Lasciato in libertà, senza soldi, M. è una sorta di anti-influencer e mostra che cosa significa trovare il proprio posto in un mondo che non accoglie chi non ha documenti. Ha lasciato l’Italia, e ora viaggia per Francia e Spagna, arrangiandosi come può, sentendosi solo e ripensando a come se la immaginasse diversa questa Europa. 

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