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La storia di Daza, chiuso dentro il Cpr albanese di Gjadër e convinto di essere ancora in Italia

L’uomo di origine camerunense è stato trasferito dal Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino a quello di Gjadër a fine maggio nonostante le segnalazioni della Garante dei detenuti torinese Monica Gallo, che ne aveva segnalato le fragilità psichiatriche. Era isolato e dormiva nella mensa. Intanto i dati ottenuti da Altreconomia dimostrano che la tesi della mancanza di posti nelle strutture italiane alla base dei trasferimenti oltre Adriatico è totalmente infondata
Da quasi un mese Daza, nome di fantasia, è rinchiuso nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) albanese di Gjadër gestito dalla cooperativa sociale Medihospes. Secondo quanto raccontano a metà giugno i suoi compagni di stanza, l’uomo di origini camerunensi starebbe bevendo le sue urine da diversi giorni. Lo hanno riferito alla deputata del Pd Rachele Scarpa, che il 18 giugno ha visitato il centro in Albania. “Risponde poco alle domande e non sembra comprendere a pieno quello che sta succedendo -spiega Scarpa ad Altreconomia-. Lui è convinto di essere ancora in Italia”.
La fragilità di Daza, però, non è una novità. Prima di essere trasferito era già stato descritto da chi l’aveva incontrato al Cpr di Torino come persona in forte difficoltà. “La mia richiesta che venisse visitato è stata ignorata -dice Monica Gallo, Garante dei diritti dei detenuti del capoluogo piemontese-. Ho scoperto solo a trasferimento avvenuto che era stato portato in Albania”.
Riavvolgiamo il nastro. La sera del 19 maggio l’uomo fa ingresso nel Cpr di Torino dopo un decreto di trattenimento del questore di Bergamo e il personale dell’ente gestore -Sanitalia- nella sezione “altre osservazioni” del documento di valutazione clinica d’ingresso annota “non vuole lavarsi” e “visita psichiatrica”. Il giorno successivo la Garante Gallo entra al “Brunelleschi” per una visita ispettiva e incontra Daza. “Era una persona isolata e in un’evidente condizione di malessere psicologico e difficoltà di adattamento al contesto”. L’uomo dorme nella sala mensa e non come tutti gli altri nelle stanze di pernottamento. Il 21 maggio durante l’udienza di convalida di fronte al giudice di pace, il giovane racconta di essere arrivato in Italia il 24 novembre 2017, a sedici anni, per poi descrivere il motivo per cui è stato fermato dalle forze dell’ordine.
“Mi trovavo in un supermercato Lidl di Romano di Lombardia (BG) e ho comprato una bottiglia di liquore che costava 2,99 euro, la cassiera si è rifiutata di darmi la bottiglia e ha chiamato i carabinieri”. A questo l’uomo aggiunge di non prendere nessun medicinale e di non sapere dove siano i suoi famigliari. “In Camerun non ho nessuno”. Durante l’udienza l’avvocato difensore Marco Melano fa presente le fragilità psicologiche del suo assistito: il giudice convalida ma sottolinea di ritenere “opportuno sollecitare la questura a segnalare il caso alla autorità sanitaria competente per l’effettuazione degli opportuni accertamenti psichiatrici”.
Sulla necessità di una visita insiste anche Monica Gallo che, con una nota inviata il 23 maggio alla prefettura di Torino, chiede di fissare “al più presto una visita psichiatrica” per valutare l’effettiva idoneità dell’uomo con la vita nel Cpr. L’ufficio torinese del Viminale risponde sottolineando che la persona è stata segnalata all’ente gestore che monitorerà la situazione. Quello stesso giorno, però, il medico di Sanitalia firma il via libera al trasferimento di Daza “per mezzo aereo o/e altro tipo di trasporto” attestando di nuovo una “buona condizione generale”.
La visita psichiatrica non verrà mai effettuata. Il 27 maggio, infatti, l’uomo viene portato a Brindisi e poi imbarcato sulla nave militare Spica diretta in Albania. Daza si trova così a Gjadër dove il 18 giugno incontra appunto Scarpa. “Abbiamo parlato con lui ed è emerso chiaramente che è straniato, sconnesso dalla realtà -racconta la deputata-. Dice di stare bene, che non vuole tornare in Camerun e di voler restare ‘qui in Italia’. Non ha la contezza di essere in un altro Paese ed è poco propenso a farsi aiutare. Solleciteremo la sua liberazione: il Cpr non è un luogo adeguato per lui”. L’avvocato difensore, nel frattempo, ha chiesto il riesame del trattenimento al giudice di pace di Roma per valutare la compatibilità o meno del suo trattenimento. La storia di Daza ricorda, per certi versi, quella di Ibrahima, rinchiuso per oltre quattro mesi in tre diversi Cpr italiani tra cui in Albania nonotante la pluritossicodipendenza e l’Hiv.
Dopo il trasferimento del 27 maggio, quello che ha portato Daza in Albania, il governo non ha più inviato nuove persone a Gjadër, probabilmente a causa della decisione della Corte di Cassazione di rinviare alla Corte di giustizia dell’Unione europea la legge che ha trasformato i centri albanesi in Cpr. Al 18 giugno di quest’anno i trattenuti sarebbero una trentina: il condizionale è d’obbligo perché sono stati “contati” uno a uno dai parlamentari in visita che non hanno potuto accedere ad alcun dato ufficiale durante la visita.
Altreconomia però, per provare a fare chiarezza, ha chiesto tramite accesso civico al Viminale i dati dei transiti del centro albanese. Dall’11 aprile, quando è stato riaperto, fino al 21 maggio 2025 sono state portate in totale 57 persone, per una durata media di 14,19 giorni di permanenza. L’Algeria è la nazionalità più rappresentata (undici) seguita da Nigeria e Marocco (dieci), Pakistan (otto), Bangladesh (cinque) ed Egitto (cinque). Si registra poi la presenza anche di quattro persone di origine tunisina, una georgiana, una ghanese, una moldava e una senegalese. Le persone rimpatriate, sempre secondo i dati del ministero dell’Interno, sono state 24, meno del 50% di quelle finite oltre Adriatico. Anche se il Viminale li classifica come rimpatri da Gjadër è importante sottolineare come nessuna di queste operazioni, fino a ora, sia avvenuta dall’Albania: le persone sono state prima portate in Italia e poi caricate sui voli diretti verso il Paese d’origine. Il passaggio dal Cpr albanese non è quindi in alcun modo necessario. E una giustificazione non sembra neanche poter essere quella della mancanza di posti nelle strutture italiane.
Lo dicono i numeri. Tra fine dicembre 2023 e inizio 2024 la capienza totale dei Cpr è scesa da 708 a 662 -secondo i dati di ActionAid che veranno pubblicati a fine giugno sulla piattaforma “Trattenuti”– principalmente a causa dei danneggiamenti al centro di Trapani. I posti disponibili sono rimasti stabili per tutto il 2024 per poi tornare a crescere nel 2025: a marzo, infatti, è stato riaperto il Cpr di Torino e la capienza di altre strutture è aumentata. Il risultato? Al 10 giugno 2025, dati dal Garante nazionale dei detenuti alla mano, c’erano 813 posti (escluso Gjadër) con un aumento di quasi il 25% rispetto al 31 dicembre 2024.
Quindi più posti e addirittura meno persone dentro. Infatti, i primi mesi del 2025 si caratterizzano per un numero di ingressi perfino inferiori rispetto a quelli degli anni precedenti. Prendendo come esempio il mese di febbraio, se nel 2023 erano state in totale 636 le persone transitate dai Cpr, quest’anno sono scese a 441. È possibile stimare che, quando ad aprile è stato aperto il centro di Gjadër, il 50% dei posti delle strutture italiane non era affatto occupato. Lo scollamento tra l’obiettivo dei Cpr (il rimpatrio) e il loro funzionamento è sempre più evidente. Nei primi cinque mesi del 2025 sono state rinchiuse persone originarie dell’Ucraina, del Sudan, dell’Afghanistan, del Ruanda, della Repubblica Democratica del Congo. Addirittura, a maggio, un cittadino palestinese.
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