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La speranza collettiva

La costruzione di un mondo sicuro, equo e sostenibile ha bisogno di una radicale redistribuzione del potere, scrive il premio Nobel per l’economia "Il male più grande e il peggiore dei crimini è la povertà”. Questa affermazione di George Bernard…

Tratto da Altreconomia 104 — Aprile 2009

La costruzione di un mondo sicuro, equo e sostenibile ha bisogno di una radicale redistribuzione del potere, scrive il premio Nobel per l’economia

"Il male più grande e il peggiore dei crimini è la povertà”. Questa affermazione di George Bernard Shaw, nella prefazione della sua opera Il maggiore Barbara, del 1907, non fa riferimento alle avversità della povertà o alle disgrazie che essa porta. Shaw parlava delle cause e delle conseguenze della povertà, che nasce dal male e finisce con l’essere un crimine.
Perché questo? E come nasce questo male?
Abbiamo interiorizzato l’idea classica secondo la quale la povertà non è altro che una mancanza di entrate, ma dobbiamo considerare la povertà come una mancanza di diversi tipi di libertà, tra cui quella di conseguire condizioni di vita per lo meno soddisfacenti. Un reddito basso è, senza  dubbio, un fattore importante, ma lo sono anche  la mancanza di scuole, l’assenza di servizi igienico-sanitari, la carenza di medicinali, la subordinazione della donna, le condizioni ambientali pericolose e la mancanza di occupazione (un fattore che è più rilevante del reddito). La povertà può essere combattuta ampliando questi servizi, ma perché questo si possa fare è necessario rafforzare il potere delle persone, specialmente delle persone con difficoltà, e garantire che queste carenze vengano eliminate. Le persone continuano a non avere accesso al potere come conseguenza di una serie di processi complessi.
La condizione in cui vivono i poveri, infatti, non è il risultato di un deliberato perseguimento di asimmetria di potere da parte di persone intenzionate a fare del male e chiaramente identificabili. E se anche le privazioni mutano forma, le grandi asimmetrie non si correggono da sole. L’accettazione sommessa -da parte delle vittime e di tutti gli altri- dell’impossibilità per un gran numero di persone di dotarsi di un minimo di capacità efficaci e di godere di libertà di base fondamentali è un grande ostacolo per il cambiamento sociale.
Allo stesso modo agisce da freno la mancanza proteste pubbliche contro la terribile impotenza di milioni di persone. In questo modo, il male che affligge la società viene alimentato non solo da chi contribuisce in maniera intenzionale a mantenere soggiogate le persone, ma anche da tutte quelle persone che sono pronte a tollerare le inaccettabili condizioni di vita di milioni di esseri umani. La natura di questo male non ha relazioni con la diagnosi di specifici fautori del male. Dobbiamo pensare che le azioni e le non-azioni di un gran numero di persone insieme conducono a questo male sociale e che un cambiamento delle nostre priorità -le nostre politiche, le nostre istituzioni, le nostre azioni individuali e collettive- potrebbe aiutare ad eliminare l’atrocità della povertà.
Questo libro di Oxfam (vedi) esplora i numerosi e diversi cammini che si stanno percorrendo per lottare contro la povertà, attraverso un processo di empowerment delle persone, le cui privazioni sono dovute -in ultima istanza- alla loro impotenza in un mondo mal organizzato. Coordinato da Duncan Green, il libro prende in considerazione un certo numero di iniziative in tutto il mondo che hanno incrementato ed esteso il “potere di chi non ha potere” e, in questo modo, hanno ridotto la mancanza di libertà che caratterizza la povertà degli oppressi. Ovviamente, nel portare avanti questi cambiamenti lo Stato può svolgere un ruolo importante, ma in ogni caso lo Stato non è l’unico attore che può fare la differenza, e non è nemmeno l’unico strumento per affrontare il male comune della povertà che la società tende a tollerare e accettare.
Se il male della povertà, e il crimine ad essa associata, possono derivare dalle azioni e dalle non-azioni di un gran numero di persone, anche il rimedio può arrivare da uno sforzo congiunto di tante persone.
Quello che il libro chiama “cittadinanza attiva” può essere un modo efficace per cercare e garantire soluzioni a questi eterni problemi di impotenza e mancanza di libertà. Il lettore conoscerà molte esperienze tese ad aumentare il potere delle persone senza potere, dalla lotta per i diritti delle donne in Marocco, fino alla campagna internazionale per mettere al bando le mine terrestri in tutto il mondo. Tutte le iniziative descritte possono fare un’enorme differenza nella lotta contro intollerabili e inaccettabili situazioni di deprivazione. Uno dopo l’altro, i case study dimostrano come i cambiamenti si possano raggiungere attraverso sforzi organizzati e intenzionali. Discutendo i modi e i mezzi di ridurre e eliminare le privazioni, i case study mostrano fino a che punto l’impotenza generi privazione e fino a che punto l’empowerment sia efficace per superare privazioni molto estese.
Studi di questo tipo sono utili a correggere la tendenza, sempre più diffusa, di associare la lotta contro la povertà alla crescita economica. Senza ombra di dubbio in molti Paesi del mondo la crescita economica ha ridotto il numero di persone con entrate molto basse, anche se spesso si tendono ad esagerare gli obiettivi raggiunti. L’attrazione -e anche l’intossicazione- di questi risultati hanno contribuito anche all’erronea conclusione che un aumento del reddito sia l’unica forma -e l’unico modo sicuro- per eliminare le mancanza di libertà della povertà (idea che minimizza il ruolo di un miglioramento generale delle opportunità economiche, sociali e politiche); e che una forte crescita economica debba essere per forza un metodo infallibile per aumentare il reddito dei poveri (idea che sottovaluta i cambiamenti sociali necessari per estendere la libertà dei poveri, affinché possano godere di una quota accettabile di crescita economica basata sul mercato).
Per correggere il dibattito è fondamentale mostrare con esempi reali che la povertà ha molte dimensioni, e che per superare una situazione di deprivazione c’è bisogno di molto più della -pur importante- crescita economica. Il fatto di ricordare iniziative che, attraverso l’empowerment, sono riuscite a eliminare situazioni di deprivazione, ci aiuta a contrastare un diffuso pessimismo, che oggigiorno è diventato così comune, riguardo la possibilità di ottenere i cambiamenti necessari. Una fiducia esagerata nella fragilità degli sforzi pubblici -sia dello Stato, sia dei cittadini attivi- genera un clima di cinismo e prepara il terreno per l’inazione e il torpore, sebbene privazioni diffuse e sofferenze si conoscano molto bene. Ricordare ciò che è stato effettivamente raggiunto, e come, può essere un antidoto molto importante per l’inattività dovuta a un pessimismo esagerato. George Bernard Shaw ha scelto parole inusuali per descrivere la povertà come un “male” e un “crimine”, ma dietro quella scelta lessicale c’è un richiamo all’azione, attraverso un’analisi sociale più incisiva sulla natura e sulle cause della povertà, che possono portare a sforzi più decisi nella lotta contro la disuguaglianza e la povertà. Dicendoci cosa può essere raggiunto attraverso un’azione organizzata delle persone comuni, questo libro genera speranza, anche quando ci fa capire di cosa c’è bisogno per sradicare la povertà. Il mondo ha bisogno di speranza, oltre che di conoscenza, e abbiamo ragione di essere grati per quello che offre questa analisi di un’ampia raccolta dell’azione sociale collettiva.

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