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Diritti / Opinioni

La sorte della democrazia

Disaffezione, astensionismo e scomparsa dei partiti di massa. Perché la rappresentatività è in crisi -in Europa, in Italia- e com’è possibile invertire la rotta. Un saggio di David van Reybrouck, “contro le elezioni”. Scrive Lorenzo Guadagnucci: "non si esce da una crisi di fiducia così profonda concentrando il potere nell’esecutivo e con sistemi elettorali ultra maggioritari che allontanano ulteriormente dalle urne". Su Altreconomia 181 il nostro approfondimento sulla riforma che cambia la Costituzione, in vista del referendum autunnale

Tratto da Altreconomia 179 — Febbraio 2016

Le democrazie europee traballano. La sfiducia dei cittadini verso le istituzioni è in rapida ascesa, la partecipazione alla vita dei partiti in radicale flessione e ci sono Paesi -l’Italia fra questi- alle prese con  la corruzione endemica nel ceto dei politici di professione. Fra i tanti sintomi della crisi, c’è la crescente rinuncia all’esercizio del diritto di voto. In molti Paesi il “partito dell’astensione” è al primo o al secondo posto. In Italia, alle politiche del 2013, ha votato solo il 72% degli elettori (fino al 2008 non si era mai scesi sotto l’80%), e alle regionali di Emilia-Romagna e Toscana -un tempo le regioni più rosse e più disciplinate, anche elettoralmente, del Paese- ci si è fermati, rispettivamente, sotto il 40 e sotto il 50% della partecipazione. Le democrazie in declino si piegano spesso verso forme neo autoritarie (si pensi a quel che accade nell’ambito del lavoro), ma in materia di voto non stiamo assistendo a una compressione dei diritti, bensì a una rinuncia volontaria all’esercizio della facoltà di scegliere i propri rappresentanti.
Una spiegazione semplice di questa rinuncia si può rintracciare nelle tendenze in atto da qualche decennio: il dominio della finanza, che si è appropriata di molte funzioni di governo reale; il ruolo invadente delle tecnocrazie; la crisi delle ideologie e la scomparsa dei partiti di massa. Il cittadino è apatico e/o sente di non contare niente.

C’è però anche una spiegazione più profonda e riguarda l’origine stessa del sistema rappresentativo, come illustra David van Reybrouck nel libro “Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico” (Feltrinelli 2015). Abbiamo sviluppato un fondamentalismo elettorale, dice van Reybrouck, dimenticando che il sorteggio è sempre stato il metodo di selezione più democratico, fin dall’antichità, mentre l’elezione ha una natura aristocratica, poiché designa alcuni eletti, scelti di norma fra i cittadini illustri. In aggiunta, nella società contemporanea, il denaro e la visibilità mediatica sono diventati il motore della politica (il congresso statunitense, per fare un esempio, è composto in grande parte da multimilionari).
L’idea del sorteggio è spiazzante, educati come siamo a far coincidere il concetto di democrazia con le procedure elettorali, ma van Reybrouck fa notare come l’estrazione a sorte sia tuttora utilizzata per amministrare la giustizia nei casi penali più gravi (per la nomina dei giudici popolari nelle corti d’assise). È anche ricomparsa, in tempi recentissimi, in paesi come il Canada, l’Irlanda, l’Islanda, che hanno affidato compiti delicati -perfino la riscrittura della Costituzione- a organismi selezionati in questo modo, secondo la logica e con gli strumenti della “democrazia deliberativa”.

Il tema è affascinante e la discussione andrebbe approfondita, ad esempio per capire che posto avrebbe a quel punto la politica, intesa come confronto fra opzioni ideologiche diverse (ma van Reybrouck, citando le ipotesi di alcuni studiosi, immagina sistemi bicamerali, con un’assemblea eletta e una sorteggiata).
Dove conduce questo discorso? A due possibili conclusioni. La prima è che la rinuncia al diritto di voto ha una sua logica stringente e non va demonizzata, per quanto sia destinata ad affossare le democrazie che conosciamo. La seconda è che la via prescelta in Italia (e anche altrove, a dire il vero) è profondamente sbagliata: non si esce da una crisi di fiducia così profonda concentrando il potere nell’esecutivo e con sistemi elettorali ultra maggioritari che allontanano ulteriormente dalle urne. Lungo questa strada la democrazia muore (e forse è già morta).

Il dubbio è se sussistano vie d’uscita. Van Reybrouck è ottimista e indica la via del sorteggio, perché bisogna “democratizzare la democrazia”, un obiettivo che si può forse raggiungere anche con altri strumenti, dai bilanci partecipativi, finiti sotto i riflettori per una breve e dimenticata stagione, fino al sistematico decentramento  del potere. Quel che sembra certo, è che non c’è tempo da perdere. —

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