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La situazione dei migranti in transito in Val di Susa, tappa della rotta balcanica

Migranti in attesa all’interno del rifugio Fraternitá-Massi. Maggio 2021 © Medu

Le montagne al confine tra Francia e Italia continuano a rappresentare un crocevia per i migranti provenienti da Afghanistan e Iran. Sono numerose le famiglie e le persone fragili. Medici per i diritti umani (Medu) chiede alle istituzioni di garantire l’accoglienza e un presidio medico in valle

Nei primi cinque mesi del 2021 la cittadina di Oulx -nell’alta Val di Susa- ha continuato a rappresentare un crocevia di due diversi flussi migratori che attraversano l’Italia, con una presenza di circa mille persone al mese nelle due strutture presenti in valle: il rifugio Chex JesOulx (sgomberato il 23 marzo 2021) e il rifugio Fraternità Massi, gestito dalla Fondazione Talità Kum. La maggior parte delle persone in transito che arrivano a Oulx provengono dall’Afghanistan e dall’Iran, hanno raggiunto il nostro Paese dopo aver attraversato i Balcani: il loro obiettivo, raggiungere la Francia attraversando a piedi il colle del Monginevro. Più ridotto invece il numero di migranti che sono arrivati in Italia dai Paesi dell’Africa sub-sahariana dopo aver attraversato il Mediterraneo e che spesso hanno alle spalle lunghi periodi di permanenza in Italia, che cercano di oltrepassare il valico del Frejus utilizzando Flixbus come mezzo di trasporto, facendo affidamento su documenti per l’espatrio che pensano essere adeguati.

“La caratteristica dei flussi dalla rotta balcanica è la presenza di molte famiglie, spesso numerose, di donne in gravidanza, di minori non accompagnati e di persone in età avanzata”, scrive Medici per i diritti umani (Medu) nel terzo rapporto sulla frontiera Nord-occidentale, in cui si scatta una fotografia preoccupata: “L’attraversamento delle montagne che separano l’Italia dalla Francia mette a serio rischio l’incolumità delle persone, spesso con evidenti vulnerabilità, in particolare nei mesi invernali a causa della neve e delle temperature artiche e dell’inesperienza dei migranti”, scrive ancora Medu.

Secondo le stime dell’associazione, dal 2017 e fino all’agosto 2020, circa 10mila persone avrebbero attraversato le Alpi al confine tra Italia e Francia. Tra settembre e dicembre 2020, altre 4.700 persone hanno provato a valicare le montagne. Nei primi mesi del 2021 si sono contate circa mille presenze al mese, ripartite tra i due rifugi: nel solo mese di febbraio 2021 hanno trovato riparo temporaneo presso la casa cantoniera Chez JesOulx più di 700 persone e nei primi 20 giorni di marzo (prima dello sgombero) circa 800. Il rifugio Fraternità Massi ha ospitato 490 persone a febbraio. “Dopo lo sgombero della casa cantoniera, i flussi, anche se intermittenti, sono continuati, però concentrati in un solo rifugio, con inevitabili situazioni di sovraffollamento -scrive Medu-. Più volte le presenze a Oulx, sommando le persone in arrivo dalla frontiera Est a quelle respinte al Monginevro e al Frejus, hanno superato la soglia delle 100 presenze giornaliere”. Nei mesi di aprile e maggio è stata superata la soglia delle mille presenze e la situazione è ancora peggiorata nel mese di giugno, durante il quale, in soli 13 giorni, 560 persone sono risultate presenti al Fraternità Massi, tra cui 29 nuclei familiari per un totale di 110 persone.

“I respingimenti sono stati frequentissimi, anche perché le partenze giornaliere hanno riguardato in alcuni giorni anche 60 persone, di cui molte in condizioni di forte vulnerabilità: una donna anziana, un uomo senza una gamba, 34 bambini, due donne all’ottavo mese di gravidanza, una al secondo mese che poi ha abortito -denuncia Medu-. Nel ‘game’ (il gioco, come viene chiamato anche nei Balcani) alpino l’insuccesso ha riguardato prima di tutto, in termini percentuali, le famiglie. Sono per l’appunto quelle che presentano maggiori difficoltà negli spostamenti e dunque, anche nella fuga”.

Famiglie che devono fare i conti non solo con le difficoltà dell’alta montagna (che spesso sono state fatali) ma anche con un apparato di polizia imponente. Sul versante francese del Monginevro, infatti, il controllo del territorio è sistematico e il fenomeno dei flussi migratori in transito viene affrontato con la presenza di un consistente numero di gendarmi che perlustrano giorno e notte il territorio, appostamenti in località strategiche e un uso sistematico di tecnologie sofisticate: binocoli agli infrarossi, camere termiche, droni, motoslitte e mezzi consoni al controllo dei sentieri. “Il dispositivo di dissuasione viene messo in atto anche con prassi illecite. Nella sede della Police Aux Frontières (Paf) è usuale effettuare respingimenti con fogli prestampati che gli interessati sono obbligati a firmare senza conoscerne il contenuto, impedire ai minori non accompagnati di usufruire della protezione riconosciuta dal diritto internazionale, impedire la presentazione della richiesta d’asilo”, denuncia Medu.

Negli ultimi mesi, inoltre, la stampa italiana e quella francese hanno dato spazio a diversi casi di respingimento particolarmente violenti e drammatici, anche ai danni di persone particolarmente vulnerabili. Come quello che ha coinvolto una donna incinta al nono mese che, dopo essere stata trattenuta per tutta la notte, è stata respinta poi per partorire all’ospedale di Rivoli (distante più di 80 chilometri) sebbene il punto di frontiera distasse solo 15 chilometri da Briançon. O il caso di una bambina afghana di soli 12 anni respinta al confine francese assieme ad altre 49 persone, fra cui 20 bambini.

A fronte di questa situazione, Medu chiede un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni, in risposta alla preoccupante crisi umanitaria in corso e ai bisogni delle persone in transito; il potenziamento e l’ampliamento delle strutture di accoglienza a bassa soglia e l’apertura del rifugio Fratenità Massi di Oulx 24 ore su 24; l’allestimento di un presidio medico accessibile a tutti i migranti (indipendentemente dallo status giuridico) che fornisca anche assistenza ginecologica e pediatrica. La ricerca di soluzioni umanitarie per le persone più vulnerabili che si trovano ad attraversare il confine in condizioni di elevato rischio nel tentativo di eludere i dispositivi di controllo frontaliero.

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