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Esteri / Varie

La Siria si rifugia

La Turchia ospita il maggior numero di persone in fuga dalla guerra: il nostro viaggio nel campo profughi che ospita chi arriva da Kobane

Tratto da Altreconomia 170 — Aprile 2015

Ho ancora le scarpe sporche di fango quando faccio il primo passo sul ghiaino immacolato del campo profughi gestito dall’Afad a Suruç. È la più grande tendopoli mai costruita in Turchia dall’Autorità nazionale per la gestione dei disastri naturali e delle emergenze (Afad), che ne gestisce altre 23 in tutto il Paese, e si trova nel Sud, a 15 chilometri di distanza dal confine con la Siria. La visito quando i lavori devono ancora essere completati, a inizio febbraio, mentre alcuni operai stanno issando l’imponente striscione che ne annuncia il nome all’ingresso: i grandi caratteri blu recitano in turco “Afad Suruç çadirkent konaklama tesisi” e poi inglese “Afad Suruç tent city accomodation center”. Sopra di loro, si staglia un’enorme bandiera turca. L’accesso al campo non è consentito a tutti e ci sono controlli sia in entrata che in uscita: in base alle disposizioni del governo turco, si viene perquisiti in entrambe le direzioni e si può passare solo dopo aver fornito i documenti ed essere stati registrati. La nostra delegazione del progetto “Rojava calling” riesce a entrare solo grazie ai pass stampa, ma questa resta, comunque, una visita “guidata” con un’unica tappa: la tenda della direzione del campo. Siamo accompagnati da Mehmethan Özdemir, il direttore, un uomo in giacca e cravatta che ci fa accomodare in una tenda pavimentata di mattoni, riscaldata a 27° (fuori ce ne sono meno di 10) e arredata con mobili in legno e poltrone di pelle nera, dove sediamo. Da dietro una scrivania, mentre ci servono un çay (il tipico tè nero), Özdemir ci illustra le caratteristiche di questo campo e da un pc portatile mi fa vedere un video ripreso da un drone. Dall’alto è facile vedere che la disposizione delle tende del campo “ha la forma di un cuore”, come sottolinea il direttore. “Perché questo campo, il più grande del Paese e il più sofisticato al mondo, rappresenta il cuore della Turchia che si apre ai profughi”. I profughi di cui parla sono, in particolare, i curdi fuggiti dalla città siriana di Kobane, situata subito al di là del confine, e dai villaggi limitrofi.

I rifugiati siriani: i numeri
A 4 anni dall’inizio del conflitto in Siria, 3.900.000 siriani (secondo i dati del marzo 2015 dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) sono stati costretti a lasciare il loro Paese. Di questi, 2,2 milioni sono stati registrati in Egitto, Iraq, Giordania e Libano -che ospita la più grande popolazione di rifugiati pro capite al mondo, con oltre 1,1 milioni di rifugiati siriani su una popolazione totale di 4,5 milioni-. Un altro milione e mezzo di persone provenienti dalla Siria è stato registrato dal Governo turco; altre 24mila si trovano oggi nel Nord Africa. Il 51% sono donne; 1 milione i bambini (oggi, solo il 20% dei bambini siriani va a scuola). Altri 7 milioni e mezzo di siriani (secondo l’Unocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari) sono sfollati all’interno del loro stesso paese. Nell’ultimo rapporto dell’Unhcr (giugno 2014) si legge che al mondo sono 51 milioni i rifugiati, profughi e richiedenti asilo. 6 milioni in più rispetto all’anno precedente, proprio a causa della guerra in Siria.
La Turchia è il Paese che oggi ospita il maggior numero di rifugiati siriani: solo dal settembre 2014, quando è iniziata la controffensiva militare dell’Isis nei confronti della comunità curda nel cantone curdo di Kobane, 200mila persone si sono rifugiate oltre confine. Dei 525mila abitanti del cantone, oggi ne sono rimasti solamente 25mila.

Il campo Afad a Suruç
Degli 800mila siriani presenti in Turchia (secondo le fonti del Governo turco), 265mila sono ospitati in 24 tendopoli gestite da Afad in 10 diverse Province. Le 7mila tende del campo Afad a Suruç, nella provincia sudorientale di Şanlıurfa, possono ospitare fino a 35mila persone. All’inaugurazione del 5 marzo scorso, erano presenti 5mila rifugiati. “Dobbiamo diffondere meglio la notizia dell’esistenza di questo campo: molti non lo conoscono”, spiega Mehmethan Özdemir. In realtà, la tendopoli gestita da Afad è tanto conosciuta quanto boicottata da molti rifugiati curdi (la maggioranza in questa zona del Paese), per la repressione da parte del Governo turco nei confronti della loro comunità.
L’Afad Suruç çadirkent, costruito in 40 giorni su un terreno di proprietà del ministero del Tesoro, è costato al Governo turco 35 milioni di dollari. “Il campo ospita 7 cliniche, 15 strutture per il tempo libero e lo sport, 6 supermarket, 6 asili e 5 scuole da 24 classi ciascuna, per un totale di 10mila studenti cui sarà insegnato il turco, l’arabo e la dottrina coranica. Ciascuna tenda è dotata di 3 stanze e frigorifero, tv e cucina. Ognuno dei 15 quartieri del campo ha 8 lavatrici, 8 stanze televisione, 8 lavanderie”. Ogni abitante del campo ha a disposizione una tessera con 80 lire turche al mese e, in collaborazione con la Mezzaluna rossa, sono garantiti 3 pasti al giorno.
“Gli insegnanti sono 400, 260 gli addetti alle pulizie, 325 i dipendenti della sicurezza, 60 i traduttori, 63 le persone che lavorano nell’amministrazione del campo, 48 i pompieri”.
Non c’è nulla di tutto questo nei 6 campi profughi allestiti dalla municipalità di Suruç e gestiti volontariamente dalle comunità curde, dove vivono oggi circa 15mila persone.
C’è molto fango, quello che ancora porto sulle scarpe dopo la pioggia dei giorni scorsi, e nessun comfort, ma la possibilità di muoversi liberamente, senza alcun controllo.
Precisato che con noi non parlerà di “questioni politiche”, Özdemir ci accompagna sopra una delle torrette che circondano il campo: le tende bianche marchiate Afad luccicano al sole; le file ordinate sono racchiuse in una recinzione dove le donne stendono abiti a tappeti ad asciugare. Molti di questi tessuti, portano la sigla dell’Unhcr.

Gli aiuti internazionali
Per l’emergenza Siria, l’Unhcr -l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati fondata nel 1950- ha attivato 2.300 operatori umanitari e distribuito solo nell’ultimo anno 3 milioni di “kit di emergenza” alla popolazione. Ciascun kit contiene 3 materassi, 5 coperte (termiche nei mesi invernali), 3 materassini, utensili per cucinare, un bidone per l’acqua, una lampada solare, un telo di plastica, un ventilatore per i mesi estivi e oggetti per l’igiene, come si legge sul sito www.unhcr.org.
“Oltre 175mila persone hanno ricevuto un sostegno economico diretto; 266mila hanno ricevuto cure mediche di base. Attualmente -dice l’Agenzia- il numero di siriani sotto il mandato dell’Unhcr è superiore rispetto a qualsiasi altra nazionalità sulla Terra”.
Nel dicembre 2014, l’Onu ha fatto appello alla comunità internazionale per raccogliere nel 2015 8,4 miliardi di dollari: è la cifra stimata nel “Syria strategic response plan 2015” per sostenere i bisogni di base di 18 milioni di persone in Siria e nei Paesi vicini. Questo piano strategico include il “Regional refugee and resilience plan”, che è stato presentato con queste parole dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il portoghese António Manuel de Oliveira Guterres: “Abbiamo bisogno di una nuova architettura degli aiuti umanitari, capace di collegare il sostegno ai rifugiati con delle azioni di supporto a lungo termine delle comunità che li ospitano”. Per sostenere questa strategia a livello internazionale, alla fine di marzo dovrebbe riunirsi a Kuwait City, sotto l’egida dell’Onu, la terza “Conferenza internazionale dei donatori per la Siria”. Le prime due Conferenze hanno raccolto “sulla carta” 1,5 miliardi di dollari da 43 Paesi partecipanti nel gennaio 2013 e 2,4 miliardi da 69 Paesi lo scorso anno. Nel 2014 l’Unione Europea si è impegnata a donare 753 milioni di dollari. Dall’inizio della crisi, la Commissione europea e gli Stati membri hanno donato 3,35 miliardi di dollari; per il 2015 sono stati stanziati 136 milioni di euro in aiuti umanitari, che -secondo il programma della Direzione generale per gli aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea (Echo)- sarà diviso al 50% tra “gli sfollati interni, tramite l’assistenza transfrontaliera fornita dai Paesi limitrofi” e “i rifugiati siriani e le comunità che li ospitano in Turchia, Libano, Giordania e Iraq”. L’accoglienza, infatti, è l’altro volto degli aiuti: secondo l’Unhcr, tra il 2011 e il 2014 sono 218mila (134.500 solo nel 2014) le persone fuggite dalla guerra in Siria che hanno trovato asilo politico in Europa; il 52% di queste, si trova tra la Germania e la Svizzera. Nelle parole del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il fondo della Conferenza internazionale dei donatori -cui l’Italia, terzo donatore europeo dopo Gran Bretagna e Germania, ha contribuito con 38 milioni di euro, il 70% in più rispetto al 2013- servirà alle agenzie umanitarie e ai loro partner a finanziare priorità, come il cibo e l’acqua potabile, le cure mediche, l’educazione e le e-card per la spesa che aiutano a “ricostruire economie locali”.

Il cibo e l’accesso agli aiuti
All’ingresso di tutti i campi profughi che visito in Turchia trovo sempre dei mercanti che, nella polvere, nel fango o nel ghiaino di Afad, hanno allestito per terra, sopra a un tappeto, cassette di frutti e ortaggi, pacchi di biscotti, saponette e sacchi di cereali. Il direttore, ci ha detto che il campo Afad a Suruç è provvisto di cucine e che ogni tenda ha un cucinino. Infatti, la maggior parte degli aiuti umanitari alimentari arriva ai profughi nella forma di una carta elettronica. L’“e-Food card programme”, realizzato dal World Food Programme (Wfp, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite) è stato avviato nel 2012 e oggi raggiunge circa 140mila rifugiati siriani, per un investimento di circa 58 milioni di dollari. Le carte prepagate sono caricate ogni mese e si possono usare in dei negozi selezionati, “per acquistare cibo, esclusi alcuni beni proibiti come il tabacco e l’alcol”, precisa il Wfp.
Un sistema che “stimola le economie locali delle comunità ospitanti e consente alle famiglie di scegliere cosa acquistare”, con una ricaduta sull’economia turca stimata dal Wfp in circa 266 milioni di dollari. I profughi curdi, tuttavia, non hanno accesso a questi aiuti gestiti dal Governo turco. La tendopoli curda più grande, quella di Külünçe, è in costruzione quando la visito: arriverà a ospitare 8mila persone in 1.200 tende. Selava, che ci accompagna, ha 21 anni ed è una delle responsabili del campo. Incontriamo gli operatori della onlus fiorentina “Cristo è la risposta” che stanno montando un grande tendone proprio davanti a quella che sarà la cucina del campo: con i bagni, è l’unica struttura in mattoni.
“L’alimentazione resta un problema -spiega Selava-, perché è molto povera e monotona. I pasti, gratuiti, sono preparati fuori e portati qui”. Il problema dell’accesso agli aiuti è stato recentemente sollevato da una rete di 21 organizzazione non governative di diversi Paesi (tra cui Un ponte per), nel rapporto “Failing Syria” (marzo 2015), in cui denunciano l’inefficacia degli interventi Onu in Siria. Gli aiuti umanitari, scrivono, “continuano a subire restrizioni alle frontiere” e nel 2014 è stato distribuito solo il 57% degli aiuti destinati ai siriani. In Siria, il numero delle persone raggiunte dai convogli si è ridotto del 63%: 4,8 milioni di persone non hanno accesso agli aiuti, 1 milione in più rispetto al 2013. La comunità internazionale deve adottare le Risoluzioni 2139, 2165 e 2191, che dal febbraio al dicembre 2014 sono state approvate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu per consentire il libero accesso agli aiuti umanitari. Per far luce sulla Siria, come scrivono le ong, “il blocco intenzionale deve cessare immediatamente”. —
 

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