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Ambiente / Varie

La salute dei ponti

Costruiti in buona parte tra il 1955 e il 1980, i manufatti a servizio delle infrastrutture viarie del nostro Paese necessitano di monitoraggio e manutenzione. E di un censimento puntuale. Il caso del Po: dei 29 collegamenti presi in esame dallo studio di Éupolis Lombardia, ben 12 presentavano l’esigenza di interventi urgenti

“Quanto dura un ponte?”. Il professor Piergiorgio Malerba, docente di Bridge Theory and Design del Politecnico di Milano, risponde stendendo un foglio A4 sulla scrivania, e disegnando una linea del tempo: “La maggior parte di ponti e viadotti del nostro Paese sono stati costruiti tra il 1955 e il 1980. Sono, quindi, opere che hanno caratteristiche simili, e che sono state realizzate utilizzando le medesime tecnologie. Per questo, oggi risentono, tutte insieme, degli stessi effetti del tempo in termini di ammaloramenti e di perdita di funzionalità”.
Secondo Malerba, che è anche vice-presidente dell’International Association for Bridge Maintanance and Safety e coordinatore di Iabmas Italia (www.iabmas-italy.it), un’associazione di studiosi, ricercatori e progettisti che si occupano di manutenzione, sicurezza e gestione dei ponti, “gli anni di vita utile effettiva per un’opera di questo tipo, nel nostro Paese, può variare tra i 50 anni e i 90 anni”.
Malerba fa riferimento al concetto di Life-Cycle, “ciclo di vita”, che dev’essere esplicitamente indicato per tutti i ponti progettati e realizzati a partire dal 2008. Parla anche di “sicurezza di piena funzionalità”, evidenziando tutte le possibili cause di degrado. Dall’erosione del calcestruzzo alla corrosione delle armature, dai rigonfiamenti per ruggine al danneggiamento degli appoggi.

Il Viadotto Himera, lungo l’autostrada A19 tra Palermo e Catania, in Sicilia, è stato abbattuto il 22 dicembre 2015, alle 15.48. Per farlo sono stati impiegati 250 chilogrammi di esplosivo, spiega un comunicato stampa di Anas spa, la società per azioni controllata dal ministero dell’Economia che è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale.
Otto mesi prima, nell’aprile dello scorso anno, il viadotto era stato danneggiato da un movimento franoso, che aveva fatto cedere uno dei piloni che sostenevano il manufatto. A seguito del danneggiamento, e forse a causa della grande eco mediatica che l’evento ha avuto, Anas ha annunciato un investimento di ben 842 milioni di euro sull’A19, per un “programma straordinario di potenziamento e riqualificazione dell’itinerario, che comporta la realizzazione di nuove pavimentazioni e barriere, il risanamento di tutti i viadotti e nuove dotazioni tecnologiche per le gallerie del tracciato”, come racconta l’azienda.

Il programma straordinario è stato presentato a fine novembre, nel corso di una conferenza stampa cui hanno partecipato -tra gli altri- il ministro alle Infrastrutture, Graziano Delrio, il presidente dell’Anas, Gianni Vittorio Armani, il capo della protezione civile, Fabrizio Curcio, e il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta. Se la scelta di investire oltre ottocento milioni di euro sull’A19 fa seguito al crollo del Viadotto Himera, è importante ricordare che si tratta di appena una delle 11mila “opere d’arte maggiori”, come l’Anas descrive ponti e viadotti, presenti lungo la rete in concessione, che misura oltre 25mila chilometri.

L’ingegner Fulvio Maria Soccodato, responsabile della manutenzione straordinaria per Anas, spiega che “per circa la metà delle 11mila opere presenti nel corso degli anni 2010-2014 è stato espletato un accurato monitoraggio dei manufatti, eseguito con i più moderni strumenti di rilevazione, e che ha permesso una precisa analisi dei difetti e, in alcuni casi, anche la stima dei costi di interventi per la riduzione degli stessi”. L’altra metà non è ancora stata valutata. Intanto, a fine novembre, la società ha presentato anche il proprio “Piano pluriennale 2015-2020”, che per la prima volta prevede un impegno significativo per la manutenzione straordinaria e per le opere di messa in sicurezza, attività che interesseranno 2.919 chilometri e a cui verranno dedicate il 40,6% delle risorse disponibili, pari a 8,2 miliardi di euro. L’ingegner Soccodato definisce questa scelta “una tangibile controtendenza”, spiegando ad Ae che “negli anni a cavallo 2010-2012 si è registrata una significativa riduzione degli stanziamenti pubblici per l’attività di manutenzione straordinaria”.

Il pericolo maggiore non sarebbe quello di un crollo, che potrebbe anche essere frutto di un evento eccezionale (è successo per il Viadotto Himera, ma anche a un ponto sul fiume Aulella, in Lunigiana, lungo la Ss 63 del Cerreto, a causa dell’alluvione del novembre 2012), ma l’interruzione prolungata di un ponte o di un viadotto, oggetto di una inadeguata manutenzione. Nell’ambito di una ricerca condotta da Éupolis per Regione Lombardia e dedicata a “I ponti sul Po: un collegamento fondamentale”, cui Malerba ha collaborato assieme alla società Trasporti e territorio srl, è stato calcolato il costo di un’interruzione,  che ridurrebbe la funzionalità del sistema di trasporto, obbligando ad esempio a scegliere itinerari diversi (e più lunghi). Il mancato utilizzo potrebbe arrivare a provocare un danno di 400 milioni di euro all’anno per un ponte autostradale, mentre un attraversamento su strada provinciale (o statale) potrebbe “costare” fino a 135 milioni per un anno.
Dei 29 collegamenti presi in esame dallo studio di Éupolis Lombardia, ben 12 presentavano l’esigenza di interventi urgenti.

Il professor Malerba sottolinea l’esigenza di una visione d’insieme, o almeno di una regia istituzionale presso il ministero delle Infrastrutture, l’unico che dovrebbe essere in grado di “pesare tutto il patrimonio, oggi gestito da Anas, province, Comuni e concessionari autostradali, oltre a Rfi, per valutare insieme le priorità d’intervento”. Secondo il docente del Politecnico di Milano, l’anagrafe delle opere esiste solo a “macchia di leopardo”. Alcuni enti -come la Provincia di Trento, www.bms.provincia.tn.it– si sono dotati di un Brigde Management System (BMS), ma l’accuratezza dei dati raccolti non è uniforme in tutto il Paese. “A partire da una storia delle ispezioni e degli interventi di manutenzione, un sistema BMS è in grado di realizzare previsioni sul progredire dello stato di ammaloramento, e può essere utile per calcolare la capacità portante residua e la vita utile residua dell’opera, agevolando così le scelte decisionali ed economiche sulle priorità d’intervento”.

Quello di “capacità portante residua” non è un concetto astratto: significa che il ponte o il viadotto potrebbe non essere più in grado di sopportare un traffico normale, e può tradursi -davanti a un guidatore- in un senso unico alternato o in una limitazione di velocità di attraversamento. Accorgimenti contri i quali, mediamente, un automobilista protesta. Manca, al momento, uno strumento in grado di comunicare ai cittadini l’importanza delle manutenzioni. Che non possono essere vissute solo come un disagio attuale, ma devono essere guardate “in una logica di sviluppo del Paese”, come sottolinea Malerba.

Altri elementi aiutano a comprendere questo concetto sono riassunti dall’ingegner Soccodato di ANAS: “I tempi di attivazione per questi lavori di manutenzione sono molto rapidi, 3-6 mesi rispetto a  uno o due anni per le nuove opere. Rapidi sono quindi anche gli effetti sulla crescita economica e sul prodotto interno lordo, l’impiego di risorse umane, forniture e fatturati per cantieri. Questi interventi aumentano la capacità trasportistica senza consumare territorio e con basso impatto ambientale, allungando il ciclo di vita dell’infrastruttura”. L’Anas lo sa, il governo non ancora: Eppure: dei quasi 4 miliardi di euro erogati dal governo con lo Sblocca-Italia del novembre 2014 per le “opere cantierabili”, alla “Manutenzione ordinaria e straordinaria di ponti viadotti e gallerie della rete viaria nazionale” vanno appena 300 milioni, meno del 10 per cento delle risorse. —

Il ponte al massimo ribasso
Nell’estate del 2015 è stato assegnato -dall’Anas- l’appalto per la costruzione di un nuovo ponte sul fiume Verdura, lungo la statale 115 fra Sciacca e Ribera, in provincia di Agrigento. Quello esistente aveva subito un crollo nel 2013. La ditta che sta realizzando i lavori, L. & C. srl ha “offerto” un ribasso del 37,9 per cento rispetto alla base d’asta. Secondo il Cresme, l’Anas, che è stata la prima stazione appaltante d’Italia nel 2014 (3,7 miliardi di euro aggiudicati) nello stesso anno ha registrato mediamente un ribasso medio del 28,7%, che è salito al 32,4% nei primi otto mesi del 2015.

Sospesi sullo Stretto
Anas spa è il principale azionista della società Stretto di Messina spa, che è stata costituita l’11 giugno del 1981, per progettare, realizzare e gestire il Ponte sullo Stretto di Messina. Si dava così attuazione a una legge del 17 dicembre 1971,“Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente”. Esattamente 41 anni dopo, il 17 dicembre 2012, la società è stata messa in liquidazione, con un provvedimento del governo guidato da Mario Monti, e a metà gennaio 2016 il sito internet strettodimessina.it non risulta in funzione.
L’idea era quella di realizzare il ponte a campata sospesa più lungo del mondo (3 chilometri e 300 metri), sostenuto da due torri alte 400 metri costruite sulla terraferma -in Calabria e in Sicilia-: alcuni elementi progettuali sono ancora visibili sul sito ponteurolink.it, che fa riferimento alla società di progetto Eurolink, il cui primo azionista è l’impresa di costruzioni Salini-Impregilo.
Nel marzo del 2006 Eurolink aveva firmato un contratto che la individuava come contraente generale, ed aveva elaborato un progetto definitivo, che il 29 luglio 2011 era stato approvato da Stretto di Messina spa.
Il 27 marzo 2013, dopo che il governo aveva cancellato la realizzazione del ponte dall’agenda, era arrivata dal ministero dell’Ambiente una valutazione di incidenza ambientale (VIA) negativa. E il 7 gennaio 2014 la Commissione europea aveva archiviato l’esposto di Eurolink contro l’Italia. A novembre 2015, è stato il premier Matteo Renzi a “ritornare” sul Ponte, intervistato dal giornalista Bruno Vespa lo avrebbe definito “un altro bellissimo simbolo dell’Italia”, da realizzare.

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